tutti gli ebrei (professori e studenti), fu accusato dalla polizia di essere un «protettore di ebrei», con cui mantenne contatti nell’attività scientifica. A marzo 1944 fu condannato a 5 anni di reclusione per «ostilità al fascismo» dal tribunale di Vercelli. La condanna fu però in contumacia: nel frattempo Colonnetti era fuggito in Svizzera. Durante questo periodo, raccolse a Vevey più di 200 rifugiati (civili o militari), ex studenti di ingegneria e architettura, sfuggiti ai repubblichini o alla deportazione e creò un Campo di internamento universitario italiano, organizzando corsi accademici che poi furono riconosciuti in Italia ai fini della laurea. Il suo insegnamento, ben oltre il semplice apprendimento di nozioni, divenne per i suoi studenti l’unico nutrimento della speranza in un futuro di libertà. Il 10 dicembre 1944 Colonnetti rientrò a Roma su un aereo militare e assunse l’incarico di presidente del CNR: nel dopoguerra ebbe un ruolo determinante nella ricostruzione del Paese e nello sviluppo della Scuola italiana di ingegneria. La sua vicenda personale chiarisce, meglio di ogni commento, il valore del principio della libertà dell’insegnamento, che contribuì a inserire nella Costituzione.
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