GrooveBack Magazine 001

Sapete che cosa contraddistingue i grandi direttori di origine ungherese, come nel caso di Doráti, ma potremmo includere anche Fritz Reiner, Ferenc Fricsay, István Kertész, Eugene Ormandy, Georg Solti, George Szell, Sándor Végh, tanto per citare i più famosi? La loro indubbia e straordinaria capacità di saper rendere orchestralmente il senso ritmico di una composizione, ossia il suo pulsare, come se la musica che stavano dirigendo fosse un muscolo cardiaco da saper mantenere al corretto battito vitale. Prova ne è proprio la lettura fatta da Antal Doráti, uno dei maggiori interpreti delle opere del grande, grandissimo compatriota Béla Bartók, del Concerto per orchestra , composto tra il 15 agosto e l’8 ottobre 1943 ed eseguito in prima assoluta a Boston il 1º dicembre dell’anno successivo da Sergej Kusevickij con la Boston Symphony Orchestra. In questa registrazione, abbiamo un perfetto esempio di come il Finale di questo Concerto per orchestra debba essere interpretato. Il Presto finale, introdotto da poche battute in tempo pesante con una specie di motto da parte dei corni, rappresenta un vertiginoso intreccio di danze popolaresche che si alternano brillantemente nel corso del movimento. Si noti, come subito dopo il declamatorio incipit dei corni, si scatena l’elettrizzante moto perpetuo di violini e viole, il cui andamento ritmico, per ottenere un risultato così coinvolgente e convincente, dev’essere disciplinato perfettamente; e lo stesso avviene nel proseguo del Finale, in cui le varie sezioni orchestrali dipanano la loro linea melodica, che dev’essere sempre sostenuta, pungolata, stabilizzata da un andamento agogico che non dev’essere mai falsato di una sola nota, con il rischio di compromettere tutto l’edificio sonoro, anche perché qui ci troviamo di fronte a un organico orchestrale dai numeri importanti, visto che prevede ben quattro strumenti per ogni categoria di legni, quattro corni, tre trombe,

troppo veloce), con il tipico schema tripartito di uno Scherzo, in cui il senso ritmico e le innumerevoli sfumature musicali mutano continuamente, a cominciare dalla musica da taverna, espressa nel Trio centrale del movimento, con le sue carezze timbriche che fissano un malinconico valzer carico di ricordi d’infanzia. Certo, quella musica da valzer maldestra, come quella che veniva eseguita nelle locande boeme frequentate dal Mahler bambino, non sono restituite dal direttore russo con quella dolcezza carica anche di sottile ironia (quanto è difficile renderla con la musica di questo compositore!), ma la sua esecuzione, sostenuta dalla validità della compagine moscovita, permette di cogliere quelle linee essenziali, quel passaggio tra un presente oppressivo, dato

dall’incedere ora conclamato, ora sfuggente, espresso dagli ottoni, e quel passato ormai irraggiungibile nel quale trovare conforto e rifugio. E poi, Mozart con il suo Requiem , che qui viene eseguito in quella che considero una delle migliori versioni in disco mai registrate, grazie a quella meravigliosa bacchetta che fu il berlinese Hermann Scherchen, la cui missione interpretativa non fu relegata solo a beneficio delle opere di Bach e del repertorio del Novecento storico, a cominciare dall’amato e venerato Arnold Schönberg, ma capace di spaziare in largo e in lungo, coinvolgendo anche altri musicisti, proprio come Mozart. Questa registrazione fu fissata dai tecnici della Westminster tra il 13 e il 15 giugno 1958, con la presenza del soprano Sena Jurinac, del contralto Lucretia West,

tre tromboni, basso tuba, due arpe, una sezione di percussioni decisamente nutrita (timpani, tamburo militare, grancassa, tam- tam, piatti, triangolo), oltre a un massiccio schieramento di archi. Il secondo brano proviene dal catalogo della russa Melodiya, la quale a livello tecnico ha alternato delle ottime prese del suono ad altre terribilmente sciatte e indecorose. Con questa registrazione della Sinfonia n. 1 di Gustav Mahler, diretta da Kirill Kondrašin con la Moscow Philharmonic Orchestra nel 1969 e proveniente da un nastro a bobina da sette pollici (numero di catalogo CBH 191 nel formato DSD 128), la resa tecnica

del tenore Hans Loeffler e del basso Frederick Guthrie, dei Wiener Philharmoniker e del Wiener Singverein e il Sampler presenta lo straordinario Confutatis (numero di catalogo CBH 193 nel formato DSD 64). A differenza di quanto fecero i tecnici della Melodiya, quelli della Westminster ricostruirono la compagine orchestrale e quella corale a una grande profondità, con il chiaro intento di simboleggiare un qualcosa che proveniva e che aveva a che fare con l’al di là. Ecco, allora, le voci maschili, rese con un magistrale effetto tellurico da parte di Scherchen, che si alternano in questo brano con quelle femminili, che al contrario sono dolcemente eteree, restituendo così una sorta di effetto manicheo, un confronto allegorico tra ciò che resta fisico , in balia del male, distinto da ciò che è invece ancora puro, metafisico , ossia regno del bene. E, infine, ottenendo un incantevole, magico risultato, quando alla fine del Confutatis , le voci maschili si uniscono a quelle femminili, dando vita a un mix, a una compenetrazione tra ciò che è qui e di ciò che è oltre, il tutto con un apporto strumentale dato dai Wiener Philharmoniker, in cui la sezione degli archi, soprattutto quelli gravi, scandisce inesorabilmente un incedere impietoso, martellante, quando intervengono le voci maschili, così come al contrario risulta soffice, come una nuvola sonora, nel momento in cui si dispiegano le voci femminili. Certo, l’immagine di Leonard Bernstein che affronta e registra la partitura delle Quattro Stagioni di Vivaldi con gli archi della New York Philharmonic Orchestra farà inorridire i puristi delle esecuzioni filologiche, ma in questa incisione che risale al 1965, anche

è complessivamente buona, anche se, come avveniva spesso con la casa discografica sovietica, la ricostruzione del palcoscenico sonoro è oltremodo ravvicinata (all’inizio del secondo tempo, qui presentato, il triangolo è praticamente a mezzo metro sulla destra dall’ascoltatore), e la gamma grave è decisamente generosa. Sia ben chiaro, come direttore Kondrašin non è da annoverare tra i sacerdoti del tempio consacrato a Mahler, ma in questa lettura dimostra di saper mantenere il sangue freddo attraverso un suono granitico, scolpito nel marmo michelangelesco. Ci troviamo di fronte a un tempo Kräftig bewegt, dock nicht zu schnell (ossia Vigorosamente mosso, ma non

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