Nico è anche I’ll Be Your Mirror, ovvero sarò il tuo specchio: un momento di delicatezza definito da trame armoniche morbide e delicate e da un canto che è quello di una sirena. Sarò il tuo specchio, riflettere quello che sei, la tua bellezza, è il tema di un carme amoroso che Reed dedica a Nico, e lo specchio parla, diventa una voce interiore. È il tema del doppio affrontato più volte in letteratura, la dualità insita in ogni essere umano qui identificato in uno specchio che prende la parola e rassicura sulla bellezza della persona facendo parlare la sua immagine riflessa, e tale bellezza raggiunge un alto valore valoriale, come in Dorian Gray. Quindi la melodia dark di All Tomorrow’s Parties, ove una Nico in veste di sacerdotessa notturna ci accompagna nel buio di vicoli maleodoranti verso culti misterici pagani, in un mondo dove bellezza e orrore si sublimano come ultima espressione di un soprasensibile. La voce morbida e sensuale di Nico è quella di una sacerdotessa che pontifica da un oracolo all’incrocio di un Avenue newyorkese. Quale miglior brano di questo capace di anticipare il concetto di dark; una melodia funerea con un canto che pare quello di una persona che non appartiene a questo mondo e l’imbastito sinfonico delle parti strumentali è uguale al canto delle prediche che accompagna un corteo di astanti vestito di nero verso un cerimoniale nella scura notte metropolitana. La musica è anche follia. E qui si chiude il circolo ermeneutico in chiave filosofica di questo disco con Nietzsche. Secondo Nietzsche l’animo umano vive fra l’apollineo e il dionisiaco, ovvero fra una parte equilibrata e razionale e una irrazionale votata alla follia, che diventa una porta verso il divino. L’apollineo - dal dio del sole Apollo, Mitra per i persiani - è l’aspetto votato all’ordine e all’armonia, mentre il dionisisco - da Dioniso, ovvero Bacco il dio del vino - è l’ebbrezza dell’irrazionale. The Velvet Underground & Nico è più di un disco sperimentale che fonde psichedelia, avanguardia, rumorismo e rock: così viene descritto sommariamente, ma è oltre tutto questo. È la traiettoria musicale secondo le coordinate filosofiche Platone-Schopenhauer- Nietzsche: un atto del daimon creativo che porta la decadenza urbana alla sua sublimazione in arte, con l’impiego di un elemento dionisiaco liberato dalle catene. Però dietro alle rovine, dietro alle scorie putrescenti di una società ai margini che il perbenismo borghese vuole tenere nascosta c’è il senso del sublime, dell’arte che si fa portavoce di un decadentismo sonoro la cui missione è la redenzione dell’essere umano. L’arte che estrapola la bellezza dalla perversione, quella bellezza salvifica secondo il principio del grande Dostoevskij.
un Virgilio dantesco che guida nei meandri di sesso e droga, per sbattere in faccia il duro volto della realtà a chi veste l’abito dell’ipocrisia. Il disco è l’atto creativo di un agente prometeico che porta il suo creatore alla catarsi. Non è forse il brano Heroin un colloquio del daimon di Lou Reed? Il vortice di chi piomba nella spirale dell’eroina è l’espressione daimonica di una catarsi spiraliforme, sorretta dalle dissonanze della viola di John Cale, come uno stato di trance generato da un antico oracolo di Delfi trasportato nei millenni nel cuore oscuri e violento dei bassifondi metropolitani. Qui non è la voce di Lou Reed ma quella del suo daimon interiore, colui che si fa aruspice, mago della creazione musicale, il demiurgo artefice dell’Unione fra l’anima e la polis nei suoi aspetti più decadenti e mostruosi. Da qui a Schopenhauer il passo è breve. Il filosofo tedesco considerava la musica come la più alta manifestazione della Volontà, un’entità che rappresenta l’espressione assoluta del mondo fenomenico.
La musica, atto daimonico per eccellenza nella concezione schopenhaueriana, è la rivelazione di quest’alta manifestazione metafisica denominata Volontà, che non è inintelligibile all’uomo: costui deve intraprendere un percorso interiore per poter accedere a questa Volontà. È sufficiente ascoltare i brani cantati da Nico, questi splendidi cammei di puro lirismo decadente: I’ll Be Your Mirror, Femme Fatale, All Tomorrow’s Parties, per rendersi conto - ma solo a un orecchio iniziato capace di andare oltre l’immanenza - come la musica abbia la forza di rivelare la trascendenza, il sublime dalla decadenza urbana, di far vedere all’ascoltatore che dietro le rovine esiste un assoluto sublime. Sunday Morning è la luce dell’assoluto che dietro la putrescenza di una marcia decadenza urbana rivela il fascino di una melodia che è una sinapsi capace di legare ambiguità e fine eleganza, con quel canto loureediano modulato in una effeminata grazia, quasi a voler far germinare dal marciume il fiore misterioso ed enigmatico del travestitismo. Bastano pochi tocchi di carillon per aprire la soglia di questo mistero.
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Nico.
Poi è Nico che ci introduce a un nuovo mistero: quello della Femme Fatale, ben iconizzato nell’omonimo brano. Una ballad dai toni malinconici che avvolge con un’infida tenerezza. L’ossimorico assunto di truce tenerezza che svela l’angelo demoniaco, la femme fatale capace di trascinare nella sua perversa spirale erotica. Il canto di una sirena diabolica che ammalia con la sua voce, aggraziata da leggiadri coretti e da delicati arrangiamenti per mostrare ai comuni mortali quanto possa essere leggiadra la perversione.
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