GrooveBack Magazine 001

Misericordia lo confermò sempre nell’incarico, gli aumentò lo stipendio e lo nominò «cappellano semplice», cioè senza l’obbligo della presenza in coro, essendo stato, nel frattempo (1651), ordinato sacerdote. Oltre a ciò, era anche stato accolto fra i membri della locale Accademia degli Eccitati, fondata nel 1642 al solo scopo di riunire persone interessate alla letteratura e alla poesia. Il giovane e promettente musico sembrava dunque destinato a raggiungere in poco tempo ancor più ragguardevoli traguardi, quando, all’improvviso, il 30 dicembre 1654, il consesso direttivo della basilica, lo licenzia in tronco adducendo una colpa tanto grave (gioco d’azzardo in locali malfamati?) da non poter nemmeno essere riportata nel decreto attuativo d’espulsione. Tuttavia, a causa di un errore formale del provvedimento di licenziamento (il consiglio non aveva permesso al musicista di discolparsi), il 23 febbraio 1655, seppur obtorto collo, Legrenzi viene reintegrato nel ruolo di primo organista. Ma ormai il rapporto fiduciario con i governanti della Misericordia e, forse, anche, con i membri della cappella musicale, si era irreparabilmente deteriorato, al punto da non rendere più plausibile la permanenza in quell’ambiente del maestro clusonese. Con istanza del dicembre di quello stesso anno, Legrenzi chiede ai reggenti, «con tutta l’humiltà del mio cuore, [...] una grata e benigna licenza» dal servizio di organista, adducendo problemi famigliari. A leggere fra le righe della domanda di congedo, viene da pensare che il nostro musicista avesse architettato da tempo la sua partenza da Bergamo e conoscesse già nei dettagli quello che sarebbe stato il suo nuovo incarico professionale. Nell’ottobre del 1656 egli è infatti nominato maestro di cappella dell’Accademia dello Spirito Santo di Ferrara, presso la quale rimase fino al 1665. Lasciata Ferrara in quell’anno, cercò di farsi assumere, senza successo, presso la corte degli Asburgo, a Vienna, in quella dei Farnese, a Parma, e di Luigi XIV, a Parigi. Non miglior sorte ottennero anche i tentativi per il posto di maestro di cappella nel duomo di Milano (1669) e in San Petronio a Bologna (1671 e 1673). Decise allora di trasferirsi a Venezia per accettare l’incarico (1672) di maestro di musica presso l’Ospedale dei Derelitti (o dei Poveri), più comunemente noto con l’appellativo di «Ospitaletto» e poi, sempre con analoghe funzioni, all’Ospedale dei Mendicanti (1676) per insegnare canto alle orfanelle che vi erano ospitate. In quello stesso anno, il nostro musicista concorse per succedere a Francesco Cavalli, come maestro di cappella di San Marco, ma gli venne preferito Natale Monferrato, già vice maestro della cappella marciana. Cinque anni più tardi, nel gennaio del 1681, sostituì Antonio

Sartorio nelle funzioni di vice maestro del Monferrato. Venuto a mancare il Monferrato, il 23 aprile 1685 ottiene finalmente l’incarico di occupare quello stesso posto che era stato del sommo Monteverdi, quarant’anni prima. Giovanni Legrenzi mori a Venezia, nella sua casa di fronte alla Chiesa di San Lio, il 27 maggio 1690 e fu sepolto in Santa Maria della Fava.

Si concludeva così l’esistenza terrena di uno straordinario musicista, che con la versatilità del suo ingegno e con la vivacità della sua fantasia, era riuscito a compiere una strabiliante carriera professionale tramite la quale aveva ricevuto onori e riconoscimenti professionali riservati soltanto ai personaggi più illustri del suo tempo. Onori e riconoscimenti professionali attribuiti non solo in Italia, ma in tutta Europa e che perdurarono anche dopo la sua scomparsa. Sappiamo che Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel e Johann Adolf Hasse, fra gli altri, non esitarono a scegliere quali temi d’alcune loro pagine contrappuntistiche le idee melodiche del compositore clusonese, a conferma del valore della sua arte cuspidale e del suo ingegno senza confini. A parte un paio di messe, tra le quali la ben nota Missa Lauretana quinque vocibus, un Kyrie a sei voci, alcuni salmi, due Magnificat, un Dies irae a due cori e strumenti, motetti vari e una Liturgia per il Natale, pervenuti manoscritti, l’intera produzione musicale vocale e strumentale di Giovanni Legrenzi, è compendiata in una quindicina di volumi, affidati ai torchi degli stampatori veneziani e bolognesi, in un periodo compreso fra il 1654 e il 1692, dei quali abbiamo già riferito nel corso di questo scritto e accuratamente divisi in musiche strumentali (contrassegnate dal numero d’opus pari) e in musiche vocali (contrassegnate dal numero d’opus dispari). Rimangono manoscritti, com’era consuetudine per quell’epoca, una quindicina di drammi per musica e appena tre degli otto oratori dei quali si ha notizia che Legrenzi abbia composto. Attraverso lo studio e l’analisi di questo vasto repertorio musicale si comprende appieno come l’arte compositiva di Giovanni Legrenzi sia veramente rappresentativa dello stile barocco, ne sia il suo fulgido emblema, incarnandone e riassumendone i suoi tratti caratteristici. Un’arte, quella legrenziana, che in entrambi i generi vocali e strumentali nei quali si manifesta, si eleva a un livello di grande intensità espressiva attraverso un linguaggio musicale caratterizzato da un contenuto sottile e facile da comprendere, da una singolare raffinatezza melodica, da un erudito gusto armonico, da una impeccabile declamazione del testo. D’altronde, Legrenzi possiede un bagaglio tecnico di straordinario valore e dimostra di saperlo adeguare, soprattutto nell’alveo della musica vocale, alle nuove istanze stilistiche Il frontespizio di uno dei capolavori legrenziani, l’Harmonia d’affetti devoti a due, tre e quattro voci, opera terza, stampato a Venezia nel 1655.

Il documento che sanciva gli impegni (Capitoli) e gli obblighi a cui dovevano sottostare i cantori della Basilica di Santa Maria Maggiore, con tanto di ammende pecuniarie per i trasgressori.

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