del suo tempo, le quali procedendo nel solco della «seconda prattica» monteverdiana, volevano al centro dell’atto creativo la «parola», declinata in tutta la sua forza espressiva, in tutta la sua corposità rappresentativa. Non il contrario, com’era stato in precedenza, nel corso del Cinquecento, per la «prima prattica» di palestriniana memoria. Rendere il suono della parola per il tramite sonoro della musica diventa l’impegno costante che guida il nostro compositore nella realizzazione della sua opera musicale di genere vocale sacro e profano. Esaltare le funzioni espressive della parola, evidenziarne le valenze semantiche attraverso l’intima aderenza del suono verbale al suono musicale è il compito primario da lui perseguito. Legrenzi non fa certo mistero di aver studiato a fondo le musiche di Claudio Monteverdi, di averle assunte a proprio modello di riferimento, di averne assimilato, fin nei recessi più profondi, la dirompente modernità insieme con la possente forza espressiva. Ma la devozione verso il «divino Claudio» non si riduce a mera opera di ricalco. Al contrario, si trasforma in una ricerca continua, in uno scavo incessante volto all’ottenimento di una personale, inconfondibile cifra stilistica. Proprio per conferire il maggior risalto possibile ai testi poetici posti in musica, il nostro autore dà fondo a ogni espediente di scrittura musicale disponibile e lo adatta al carattere e al loro recinto espressivo. In conseguenza di ciò, i recitativi, gli ariosi, i concertati con poche voci oppure pleno choro, in «stile antico» o in «stile moderno» che affollano tutta la sua produzione polivoca, non sono soltanto semplici «utensili di lavoro» nelle mani di un pur abile artigiano. Essi sono invece dei veri e proprî espedienti retorici, utilizzati scientemente per rappresentare, già a livello stilistico e formale, gli affetti e gli elementi emotivi insiti nel testo intonato. D’altra parte, per il musicista barocco, nessun’arte retorica aveva più forza di persuasione e più potere di asservimento sulla mente umana della musica. In questo contesto vanno considerate con attenzione le scelte di Legrenzi riguardanti la distribuzione delle parti nell’àmbito dell’ordito polivoco; l’esaltazione di specifici ruoli timbrici affidati a singole voci per la rappresentazione simbolica del portato emozionale delle parole; l’idea melodica sempre chiara, incisiva, elegante, sorprendente, caratterizzata da una vena inventiva e da una volontà di comunicazione espressiva inesauribili; la tessitura di una trama contrappuntistica già matura nella contrapposizione e nel contrasto dei temi che la innervano; le sapide migrazioni da un piano tonale all’altro, per il tramite di raffinate cadenze ora sospese ora d’inganno ora conclusive per esaltare i singoli episodi nei quali i brani sono articolati. E che dire delle estese sezioni stilo antiquo, nelle quali il nostro autore può dar libero sfogo a tutta la sua maestria tecnica? Nelle sue mani, tutto il repertorio del contrappunto vocale tradizionale fatto di imitazioni, di canoni, di passi fugati perde qualsiasi riflesso di esercizio accademico e si trasforma in veicolo espressivo saturo di contenuti e di significati. Ogni espediente tecnico è sempre finalizzato all’immediatezza espressiva della parola, non certo allo sterile quanto vacuo artificio combinatorio delle linee vocali: non algidi congegni contrappuntistici, ma pulsante volontà di comunicazione e di dialogo affettivo. Davvero Giovanni Legrenzi è il più significativo e degno rappresentante della nuova era spuntata all’alba del Seicento e annunciata da quel genio titanico che fu Claudio
Monteverdi. Egli è il poeta lirico al servizio dell’espressione vocale e dei sentimenti poetici; l’interprete sensibile capace di far vibrare i moti dell’animo umano e di trasmutarli per virtù d’arte; il creatore ardente ed equilibrato. La sua è musica universale e tuttora attuale e vera. Essa, a distanza di secoli, nulla ha perso della sua freschezza e della sua forza comunicativa primigenia, del suo umano accento di verità. Perché è musica eterna.
I componenti della Nova Ars Cantandi, con al centro il direttore Giovanni Acciai e l’organista Ivana Valotti.
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