GrooveBack Magazine 001

mi troverò ad affrontarla perché non è il mio temperamento. La mia attitudine mi ha porta a suonare qualunque cosa mi venga proposta, a patto che l’ascolto reciproco sia molto alto. Purtroppo spessissimo anche a teatro ci troviamo in ambienti in cui c’è un supernarciso che fonda una compagnia a propria misura e a propria immagine e tutti gli altri satellitano intorno a lui. Se il narciso in questione è Prince allora ci si adegua, perché ci si trova di fronte a un fenomeno rarissimo con i risultati magistrali che tutti conosciamo. Se però il narciso è solo un narciso senza alcun talento particolare, allora… D: Quando ho ascoltato il disco di Three Low Bias e ho scoperto che era completamente improvvisato, sono rimasto scioccato. Non ho potuto fare a meno di domandarmi come aveste fatto perché per me è quasi inconcepibile apprendere che tre persone riescano a produrre qualcosa di così coerente e fluido non avendo composto una sola nota di quello che hanno suonato. Sono rimasto scioccato soprattutto perché, nonostante sia un disco improvvisato, mi è comunque arrivato. Che cosa è successo fra voi tre per portare a questo risultato? A: Quando suono con Giovanni [Calella] e con Diego [Galeri] cerco di dimenticarmi completamente di tutto il background jazzistico e black perché, come ti dicevo prima, nel momento in cui ci si ascolta ci si rende conto subito che è meglio che non parli il francese con due persone che il francese, semplicemente, non lo parlano; non si sono formati studiandolo, mentre invece sono molto bravi a parlare quell’altra lingua e quindi potendone parlare un po’ anch’io mi modifico; così dialogando è venuto fuori quel disco che è un po’ un miracolo. È uno dei miei dischi di improvvisazione che mi piace di più perché è collocato in un contesto, il rock, in cui normalmente non ci si aspetta un’improvvisazione. Il rock vuole canzoni. D: Che poi non è soltanto l’improvvisazione in sé che colpisce, quanto il fatto che si tratta di un disco registrato dal vivo . C’è interplay ai massimi livelli perché stiamo parlando di persone che comunicano perfettamente senza usare parole. A: Il fatto che sia effettivamente uscito in modo così coerente, così ben organizzato, così, in una parola, bello è abbastanza inquietante e per certi versi entusiasmante. Io me la vivo come una sorta d’immensa gratitudine rispetto a chissà quali entità, non saprei neanche come chiamarle. D: Io lo chiamo semplicemente “Stato di Grazia”. A: Cosa della quale i musicisti spessissimo non sono consapevoli. Il musicista non si rende conto di quello che sta succedendo mentre lo fa, nel senso che non si rende conto dello stato di grazia mentre suona. Invece quando riascolta può stupirsi di quanto fosse ispirato in quel momento. Spesso mi è capitato, d’altro canto, di sentirmi particolarmente ispirato mentre suonavo e invece, riascoltando la registrazione del concerto, mi sono reso conto di quanto fosse mediocre [ride]. Alcuni lo chiamano spirito santo; gli indiani lo chiamano shakti; tu lo chiami stato di grazia; io la chiamo ispirazione. È lo stesso stato in cui ti trovi nel momento in cui qualcuno di superiore decide che qualche contenuto debba essere veicolato da te mentre stai facendo qualcosa. Il mio stato d’animo rispetto a questo fenomeno è “Grazie mille chiunque tu sia perché decidi di far passare questa cosa attraverso me”. E io devo essere quotidianamente

pronto fisicamente e atleticamente perché questa cosa possa accadere, quindi studio forse di più adesso rispetto a quando avevo vent’anni. D: Questa era una cosa a cui volevo arrivare, grazie per averla tirata fuori, perché quando poi parli con persone che la musica la frequentano ma non è centrale nella loro vita, queste persone appunto non riescono a capire quanta fatica ci voglia ad arrivare a certi livelli. Non parlo di quei musicisti, grandissimi per carità, che però fondamentalmente riciclano loro stessi da 30 anni. Mi riferisco quel tipo di musicista, quale sei tu, che si mette in gioco tutti i giorni e studia quotidianamente per essere sempre pronto. A: Esatto. Ci sono molti motivi per studiare. Per esempio, per mantenere un livello atletico e performativo che non vorresti perdere dopo averci lavorato così tanti anni.

Alberto N. A. Turra e Peppe Frana, due anime saldamente erranti.

D: Ormai sono quanti? 40? A: Più o meno 40, sì. Io non posso scendere mai al di sotto delle 2-3 ore al giorno di studio, giusto per il mantenimento della tecnica. Poi c’è lo studio che incrementa le conoscenze, per aggiungere competenze, contenuti e nuovi spunti; quel tipo di studio

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