a un certo punto sfocia nella creatività, nello sfornare idee per creare qualcosa che prima non c’era. D: Alla fine è un po’ come un chirurgo, che non può smettere mai di addestrarsi. Solo che un musicista non salva vite. A: Però un pochino, sulle dita, hai la responsabilità dello spirito delle persone. D: Assolutamente. Per quanto mi riguarda, la musica mi ha salvato da tante pessime situazioni un sacco di volte nella mia vita. La musica è una componente fondamentale, anche se poi magari passano 20 giorni senza accendere lo stereo. Non ne ho bisogno, da quel punto di vista. Mi basta sapere che la musica esiste e cantarmi dentro una canzone o ricordare una melodia. Come scrisse Nietzsche: “Senza musica la vita senza sarebbe un errore”. Nel mio caso è esattamente così. A: Nei momenti in cui tu studi per far sì che quella scarica di energia, di contenuti, di idee non ti consumi, essere impreparato a quella scarica significa suonare e avere la percezione di non riuscire a materializzare le idee che in quel momento ti stanno scorrendo dentro. Studiare per un musicista performativo e soprattutto tanto legato all’improvvisazione significa fondamentalmente questo: sentire che ho l’immediatezza di agire il gesto che deve produrre un determinato effetto e quindi la muscolatura delle dita sul tuo strumento, determinate articolazioni devono essere a posto. Ho la schiena a pezzi come tutti i musicisti che imbracciano uno strumento asimmetrico e quindi devo compensare continuamente questa cosa. La colonna vertebrale a un certo punto urla negli anni. Quindi sì, per riuscire a farlo fino a 70, 80 spero 110 anni [ride n.d.r.] devo compensare con delle altre attività. Da un certo punto in poi naturalmente tutto diventa studio, anche il parlare con mio figlio. D: Mentre ti ascoltavo mi è venuta in mente questo: ti sei mai trovato fuori contesto? Cioè di sentirti il musicista sbagliato in quel momento e di dover dire alla persona che ti ha chiamato “guarda che non sono quello giusto, forse è meglio che…” A: Certo che sì. Mi è successo un sacco di volte. Un sacco… Per me sono state fin troppe, quindi dico un sacco. In realtà non sono state così tante [ride n.d.r.]. D: Anche una sola è stata un sacco [ridono n.d.r.] A: È stata troppa perché sono stato veramente male. Mi è successo, per esempio, in produzioni pop, intese proprio nella maniera classica e italiana in cui mi sono trovato coinvolto, ma sentivo che stavo sprecando il tempo mio e degli altri. Comunque sono momenti che insegnano molto. Sono molto chiarificatori. Sono situazioni in cui ti trovi a dover dire di sì perché hai bisogno di due soldi in più e allora accetti. Fai 5-10 date di un tour in cui non vedi l’ora di tornare in albergo e chiamare una persona cara perché non ti piace quello che succede. D: Tu hai cominciato a suonare da giovanissimo. Quando hai capito che effettivamente riuscivi a campare di musica? A: In effetti già da molto giovane insegnavo tanto professionalmente e già questo mi teneva in piedi come “professionista della musica”. Quegli anni sono stati il periodo in cui io mi sono sforzato moltissimo affinché questa cosa diventasse un mestiere.
Come ben sai con Alessandro [Parietti n.d.r.] si andava a leggere i contatori la mattina e lì il tempo era diviso 30/70: 30% a leggere contatori e poi pomeriggio, sera, notte a insegnare e provare e suonare. Queste percentuali si sono completamente spostate a favore della musica passati i 30 anni. In tutto ciò c’era poi la gestione della questione familiare. I miei non concordavano con le mie intenzioni di essere un musicista e allora mi iscrivo all’università e alla Scuola Civica di Jazz. Mi rendo però conto, nonostante mi interessasse moltissimo, che l’università restava in secondo piano rispetto alla questione musicale e quindi faccio le mie scelte. Vado a vivere da solo perché i miei genitori decidono di non supportarmi. Avevo 21-22 anni. Diciamo che la devozione a lungo andare mi ha premiato. Ho iniziato a capire che essere musicista era in grado di sostenere la mia vita al 100% dopo i 30 anni. D: Hai usato una parola che a me piace molto, ma è anche pericolosa da un altro punto di vista: devozione. Quanto la devozione è importante, cioè quanto devi essere devoto perché questa cosa funzioni? A: Intanto bisogna capire cosa intendi per “funzioni”. D: Nel senso che io da profano mi sono sempre immaginato un musicista come un matto che ha queste folgorazioni e deve assolutamente metterle giù perché altrimenti non dormirà la notte. Per me questa è la devozione. Quanto questa cosa è importante? Quante volte succede, se succede? A: Questa cosa non la fai se non hai esperito lo “stato di grazia”, la shakti di cui si parlava poc’anzi. Poi devi sbatterti per trovare il modo di dare una forma a questa intuizione e quindi ti svegli nel cuore della notte o ti fermi in autostrada, in autogrill a prendere un appunto. A un certo punto ti fai venire il vezzo, perché ricordiamoci essere un vezzo, di volerlo far diventare il tuo mestiere. Per esempio Joyce che autopubblica “Ulisse” perché nessun editore è interessato e nel frattempo fa l’impiegato. Gli artisti veri, quelli che hanno questo fuoco interiore che ti dice “devi farlo” altrimenti semplicemente non funzioni come essere umano, si rendono devoti a questa cosa. C’è un sacco di gente che soffre per questa ragione. Questa devozione mi ha portato ad abbandonarmi a questa pressione interna e a starci bene D: Perché se ci stai male allora c’è un problema. A: C’è un sacco di gente che appunto con questa pressione non riesce a conviverci. D: È una cosa che si può insegnare o è una cosa che ti arriva? A starci bene, intendo. A: Ad abbandonarmi a questa pressione interna e a starci bene. È una cosa che osservo guardando anche le centinaia di allievi che ho visto in trenta e rotti anni. È una cosa che accade, è proprio una cosa che accade spessissimo senza che neanche il ragazzino o la persona in questione se ne renda bene conto o capisca che sta succedendo. Poi nel momento in cui lo capisce poi decide “sì mi piace così tanto che mi assumo anche la responsabilità di realizzare il vezzo che diventi il mio mestiere”. Che è proprio un altro film. Quanti musicisti abbiamo visto di grande talento suonare e poi mollare… La devozione è molto importante affinché la relazione tra te e l’ispirazione sia la più produttiva possibile, sempre tenendo ben presente che non arriva da te. Tu devi essere
60 | GRooVEback001
61 | GRooVEback001
Made with FlippingBook flipbook maker