la loro espressività su tessiture, su timbriche simili o quanto più prossime a quelle della voce umana. Tenendo a mente ciò, è ovvio che il passaggio successivo coinvolse, in tale processo di immedesimazione, anche il canto degli uccelli, ai quali l’uomo aveva fin dalle epoche remote prestato attenzione e ammirazione. Da qui, la pletora di autori e di conseguenti composizioni che fecero in modo, con il loro strumentare, di trovare ispirazione e un parametro di sicuro appoggio in ciò che la natura poteva offrire loro. E ciò che i nostri tre interpreti hanno voluto offrire con questo disco è la chiara, lampante dimostrazione di questo processo imitativo, che fu di capitale importanza affinché, nel corso dei decenni, la musica strumentale si potesse affrancare da un bisogno, da una necessità puramente imitative, scaturite dal conforto dato dalla presenza della voce umana. La crestomazia sonora elaborata in questo disco dai tre interpreti ha di fondo una grande qualità, quella di evitare uno scopo puramente “effettistico”, mettendo in luce, al contrario, come la musica barocca prima e rococò poi inquadrò e sviluppò il concetto imitativo del canto degli uccelli. Inoltre, proprio per rispettare l’idea di una “uccellaja” (il titolo del disco riprende quello omonimo della composizione per solo cembalo del compositore avellinese Alessandro Speranza), quasi un ideale rimando all’“ornitologo” Messiaen e al suo Catalogue d’oiseaux , la tracklist è stata organizzata in modo che l’ascoltatore possa comprendere come i compositori abbiano “imitato” con la loro musica il canto del cuculo, della rondine, di tortore e colombe, di galli e galline, dell’usignolo, di vari e indistinti uccelli canori e, infine, del cardellino. Tale metodologia “ornitologica” permette dunque di apprezzare un approccio per così dire onomatopeico quando la musica si raffronta con la gallina e il gallo ( Il gallo e la gallina per cembalo del toscano Alessandro Poglietti e La gallina per traversiere e basso continuo di Johann
aria Porquoy deux rossignols di Jean-Baptiste de Bousset, che fu trascritta da Jacques Hotteterre per traversiere e basso continuo). Al contrario, il sentore ritmico non poteva che essere fornito dall’immagine e dal canto del cuculo, come appunto fanno Georg Philipp Telemann, con l’Aria Flieg hin flieg hin e Minuetto per cembalo e violoncello, ancora Louis-Claude Daquin con Le Coucou
per traversiere e cembalo, il grande organista Michel Corrette con Le Coucou per flauto d’amore in la e basso continuo e un anonimo italiano del XVII secolo con il Capriccio fatto sopra il Cucchù per cembalo. Maestro assoluto della melodia fu Antonio Vivaldi, il quale seppe attingere, come ben sappiamo, dagli elementi naturali per dare vita a pagine memorabili anche tramite il contributo degli uccelli, come accade nel brano tratto dalla Cantata RV 659 Indarno cerca la Tortorella per flauto d’amore in la bemolle e basso continuo, in cui il canto dell’uccello viene soavemente fissato dallo strumento a fiato e, ancor più, dal Cantabile del concerto Op. X n. 6 Il Gardellino , in cui il canto dell’uccello diviene simbolo aulico di una perfezione, donata all’uomo dalla natura, e che rimanda inevitabilmente ad una dimensione arcadica.
Louis-Claude Daquin, altro esponente della scuola francese, in una stampa dell’epoca.
Heinrich Schmelzer), oppure quando armonicamente si fa più propositiva, ossia prendendo a prestito il canto della rondine, come fanno tre maestri della scuola francese ( L’hirondelle per traversiere e basso continuo di Antoine Dornel, L’hirondelle per cembalo di Louis-Claude Daquin e L’hirondelle per traversiere e basso continuo di François Danican Philidor, e non Françoise, come riportato invece nell’ inlay del disco, fratello maggiore del ben più famoso François-André, quest’ultimo eccelso musicista e magistrale scacchista della prima metà del Settecento), per sviluppare in maggiore autonomia un costrutto intriso di raffinatezza ed eleganza (a tale proposito, è indubbio che il primato, per tali caratteristiche, vada alla meravigliosa
Il coinvolgimento e la bellezza propositivi di questa registrazione, e questo vale soprattutto per coloro che non sono avvezzi alla musica barocca, risiede anche nella capacità dei tre interpreti, a cominciare da Mario Folena, nell’aver saputo delineare idealmente la caratura squisitamente espressiva di questi venti brani proposti non solo nella messa a fuoco dell’obiettivo primario, ossia far comprendere come la musica a volte si appropria di elementi extramusicali a proprio beneficio, ma anche nel mettere debitamente a fuoco le caratteristiche epocali di un tempo, fissato tra il XVII e il XVIII secolo, in cui il descrittivismo sonoro ebbe un scopo non dissimile da quello pittorico. Ecco, allora, che Mario Folena, Roberto Loreggian e Francesco Galligioni, se questo è stato il loro primario scopo, sono riusciti perfettamente a calarsi nei panni di tre “pittori” che, attingendo dalla tavolozza dei loro strumenti, hanno saputo dipingere e raffigurare scene, immagini, prospettive le cui linee e i cui colori sono stati sostituiti dai suoni, tecnicamente ineccepibili ed espressivamente accattivanti. Per ciò che riguarda la presa del suono, effettuata da Marco Lincetto, con la collaborazione di Matteo Costa per l’ editing , c’è un aspetto che dev’essere messo in risalto, a livello di ascolto audiofilo, quello che riguarda la sontuosa messa a fuoco degli strumenti, sia a livello individuale, sia quando sono chiamati a esibirsi insieme. Questa messa a fuoco di primissima qualità può essere apprezzata nella ricostruzione del palcoscenico sonoro, in
Il musicista austriaco Johann Heinrich Schmelzer.
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