GrooveBack Magazine 003

Quando abbiamo deciso di dare vita a questa nuova rivista, il nostro primo pensiero, scontato e inevitabile in questi casi, è stato quello di sperare che sollevasse un certo interesse nei confronti del mondo dei cultori della buona musica, che fosse classica, jazz, rock e d’autore, e di quello di coloro che vogliono ascoltarla con la dovuta qualità e fedeltà di riproduzione. Una rivista che, a differenza di altre del settore già presenti sul mercato, fosse per il lettore del tutto gratuita, scaricabile in formato Flipbook, PDF ad alta risoluzione, oppure stampata attraverso un prodotto di nicchia, elegante, lussuoso, destinato volutamente a coloro che desiderano collezionare un periodico di pregio, destinato a restare nel tempo.

STORIE | MUSICA | ASCOLTI | HI-FI

RobertFripp L’ultimo genio

Enrico Ruggeri Il suo inno alla vecchia Europa Cesare Pavese La sua storia secondo il jazz Kurt Atterberg L’ingegnere che divenne compositore Quirino Principe Intervista a un erudito senza confini

Il Mat Limited Edition SUBLIMA Cavi RCA - XLR AUDIO QUALITY LEVEL AHLELUJA ampli per cuffie

DA VINCI JAZZ SAMPLER - “CHASING THE GROOVE” – in questo numero l’album digitale > download gratuito

GrooveBack magazine

La musica è il calice che contiene il vino del silenzio; il suono è quel calice, ma vuoto; il rumore è quel calice, ma rotto.” Robert Fripp

Issue 3

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Hanno collaborato a questo numero: Andrea Bedetti, Francesco Cataldo Verrina, Alfredo Di Pietro, Igor Daniele Ebuli Poletti, Edmondo Filippini, Marco Lincetto, Riccardo Mainardi, Enrico Merlin, Sandro Vero.

Editoriale

di Andrea Bedetti

Eccoci a questo nuovo numero! Non vi nascondo che quando si è deciso di proporre la copertina al leggendario Robert Fripp non ho potuto fare a meno di approvare entusiasticamente. Questo perché provo una fitta al cuore quando il suo nome viene accostato semplicemente al suo strumento prediletto, la chitarra. Sì, perché in realtà Fripp è un musicista davvero a tutto tondo e il fatto di essere uno dei maggiori chitarristi ancora in circolazione, così come il fatto di aver dato vita ai King Crimson, sono solo un minimo tassello di quel puzzle poliedrico e articolato che da sempre contraddistingue la sua opera di compositore e geniale manipolatore dei suoni. E per capirlo sarà sufficiente per il lettore gustarsi le schede che il buon Enrico Merlin ha confezionato per spiegare in pochi e precisi concetti sei album del musicista di Wimborne Minster, senza i quali non si può assimilare la profondità e la sensibilità del suo essere artista. Un altro personaggio attira l’attenzione, quello di Quirino Principe, il decano dei musicologi italiani, ma la cui vastità di interessi e di passioni va ben oltre il mondo musicale colto. Ne abbiamo un assaggio attraverso l’intervista che gli ha fatto Alfredo Di Pietro. E, restando negli ambiti della musica classica, Edmondo Filippini, con il suo ritratto dedicato al compositore svedese Kurt Atterberg, purtroppo ancora sconosciuto nel nostro Paese, ci ricorda che le vie della creatività sonora sono davvero infinite, visto che questo musicista condivise la sua arte con la specializzazione in ingegneria e con il lavoro in un ufficio brevetti! Che Marco Lincetto sia un passionale, lo sanno anche i sassi. E per averne un’ulteriore conferma sarà utile soffermarsi sul suo intervento che ha dedicato all’ultimo disco di Enrico Ruggeri, La caverna di Platone . Per il genere jazz, Francesco Cataldo Verrina ci presenta un pianista con i fiocchi, tra i maggiori seguaci dell’ hard bop , Horace Silver. Senza, naturalmente, dimenticare i contributi di Igor Daniele Ebuli Poletti, Riccardo Mainardi e Sandro Vero, con il primo che descrive uno dei dischi più belli di Dexter Gordon, mentre il secondo presenta, per la felicità dei melomani, la discografia del Macbeth di Giuseppe Verdi; da parte sua, Vero affronta le possibili insidie audiofile in cui si può incorrere quando si ascolta il jazz. Per ciò che riguarda i prodotti per un ascolto di alta fedeltà, non perdetevi l’articolo sui cavi di segnale Reference della Quality Audio, così come il Mat Limited Edition della Sublima. Io li ho provati e ne sono rimasto a dir poco folgorato… Buona lettura a tutti!

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Sommario

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Editoriale 10 Guida all’ascolto del Sampler

18 I mille volti del “sovrano” Robert Fripp 28 Quirino Principe, il “guardiano di Mahler” 40 Dexter Gordon. Our man in Paris. 42 Kurt Atterberg, l’ingegnere consacrato alla musica 46 L’inno di Enrico Ruggeri alla libertà e alla vecchia, cara Europa 50 Ritratto di Horace Silver con ingrandimento e cornice 58 Due note sulla discografia del Macbeth 64 Ascoltare il jazz, pregi e difetti 68 Burkard Schliessmann e la “lucida follia” pianistica in Schumann 76 Cesare Pavese, le Langhe e il jazz 82 Colazione da Henry Mancini, a base di pop, jazz e sinfonica 86 L’affascinante Skrjabin di Cristian Monti 90 Il Mat Chakra Limited Edition della Sublima 96 Il pre Linea Stereo MicroSound Technology Arhat 1 104 Brianza Audio Lab Blaze Monitor: la sintesi di un percorso 110 Quality Audio, la naturalezza fatta cavo 118 Level Ahleluja, un signor amplificatore per cuffie 126 Il fascino indiscreto del vinile

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Guida all’ascolto del Sampler Da Vinci Jazz “Chasing the Groove”

strumentazione, il suo ruolo non è solo nella pratica jazz di sostituire il pianoforte o la chitarra, ma di assumere un ruolo assoluto.

di Andrea Bedetti

Si parla ancora di ritmo, ma questa volta in chiave sudamericana, grazie all’artista brasiliana Claudia Carvalho, nata a Guarulhos, nello Stato di São Paulo, la quale fin dalla giovanissima età si è formata al ritmo delle musiche del folklore del nord-est, approfondendo differenti stili musicali come baião , reisado , frevo , ciranda , bumba meu boi , xote , xaxado , oltre naturalmente al samba . Ha partecipato a numerosi festival, ottenendo numerosi riconoscimenti. Spesso presente in Italia, Claudia Carvalho si esibisce sempre nel nostro Paese con il quartetto di Piero Delle Monache e con il quale ha registrato il CD Velho Continente , influenzato da diverse tendenze musicali brasiliane e latinoamericane e di cui è possibile ascoltare il brano Confesso . Nella categoria concept può essere ascritto il CD Don Quixote (Il cavaliere dalla triste figura) , che vede lo Stefano Corradi Matheric Quartet omaggiare la grande e tragica figura del personaggio creato da Cervantes. Il brano qui presentato, La Mancha , permette all’ascoltatore di avere un assaggio delle raffinate atmosfere architettate da Corradi, corroborate dal sax, dal contrabbasso, dalla batteria e dall’arpa. Il ritmo al servizio della raffinatezza, ammantata dall’arte di un sottile arrangiamento, è quanto esprime invece il disco Shapes , che vede il Giuseppe Urso Trio, formato da Giuseppe Urso, Valerio Rizzo e Stefano India, rivisitare e ampliare vedute musicali sotto il setaccio jazzistico, come appunto avviene nella traccia qui presentata, Nocturnes , Op. 9: No. 2 in E-Flat Major, ossia un capolavoro pianistico di Chopin, che viene diluito, disciolto e rielaborato seguendone la linea melodica. Non potevano mancare gli influssi folk e crossover e quelli poi scaturiti dal genere della classica tout court . Nel primo caso ci sono due dischi che ne derivano; il primo è Pasta Nera Jazz Project , frutto del lavoro di Antonio Pizzarelli al clarinetto e al sax, Felice Lionetti al pianoforte e agli arrangiamenti, Giovanni Mastrangelo al contrabbasso e Antonio Cicoria alla batteria e percussioni, il cui chiaro intento è stato quello di trovare un collegamento tra la materia jazz e la tradizione popolare del Gargano e dei Monti Dauni

Gli appassionati di jazz sanno che possono fare affidamento sull’etichetta discografica Da Vinci Jazz di Edmondo Filippini. Per chi non la conoscesse, ecco questo sampler, allegato digitalmente al numero della rivista, in cui le sue diciannove tracce rappresentano un’ideale introduzione alla “filosofia” che contraddistingue questa label. Credo che il titolo dato da Edmondo Filippini, il patron della Da Vinci Publishing, a questo Sampler riservato alle sue produzioni discografiche dedicate al jazz sia particolarmente azzeccato, in quanto i diciannove brani che compongono la succosa playlist inseguono realmente il concetto di “ritmo”. Un ritmo contemplato ed enunciato in modi diversi, ma sempre pulsanti, presenti, essenziali nel loro proliferare attraverso moods e stili alquanto variegati e articolati. Questi diciannove tracks possono essere suddivisi grossomodo in otto categorie, sia per intenti, sia per gli stili espressi. Cominciamo dalla traccia My Favorite Things , tratta dal disco Come - Eden! , che vede Sonia Schiavone alla voce, Fabio Gorlier al pianoforte, Stefano Profeta al contrabbasso e Gianni Virone al sax, un album che esalta la componente canora, in cui la cantante torinese, oltre a presentare tre brani di sua

creazione, rivisita classici come appunto My Favorite Things , in cui dispiega tutte le sue qualità vocali, le quali sono talmente “assorbenti”, anche in fase ritmica, da permettere addirittura l’esclusione della batteria. A proposito di ritmi, salta subito all’orecchio la prima traccia di questo Sampler Da Vinci, in cui il vibrafonista palermitano Giuseppe Mazzamuto dà prova del suo virtuosismo nel pezzo Waltz For Esbjörn Svensson , tratto dal CD Melodyterranean , che vede la partecipazione anche del Giuseppe Mazzamuto Quintet, di Alessandro Presti e del Sicilian String Quartet. Qui il vibrafono dimostra perfettamente che, a livello di

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in Puglia. Il pezzo tratto, Habanera , ne rappresenta la perfetta sintesi. Il secondo disco, invece, Nake , che vede ancora il palermitano Giuseppe Urso alla batteria, con Valerio Rizzo al pianoforte e Stefano India al basso e contrabbasso, attira e condensa stili e generi davvero diversi, che partono da Philip Glass per arrivare fino ai Tears for Fears, come si può ascoltare nel brano Sand/ Everybody Wants To Rule The World . Ora, l’influsso colto, classico viene al contrario esaltato, dilatato, scompattato fondamentalmente da altri tre dischi presenti nel catalogo Da Vinci Jazz:

cominciamo dal Melodrum Trio, formato da Salvatore Spano al pianoforte, Salvatore Maltana al contrabbasso e Francesco Brancato alla batteria e percussioni, che con il CD The Man, The Earth, The Sky dà vita a un compendio sonoro “cosmogonico” unendo i concetti di “uomo”, “terra” e “cielo” in un collage nel quale confluiscono anche elementi esecutivi votati ad arricchire la dimensione coinvolgente, come nel caso della traccia Sequenza in Blu , che vede all’inizio la presenza delle Voci bianche Lasalliane di Grugliasco, capace di sprigionare atmosfere atemporali.

Sempre nello stesso filone possono essere inclusi i CD The Wind is Coming e Find a Light ; il primo vede il compositore e pianista Paolo Paliaga elaborare e scavare la linea melodica avvalendosi di un apporto ritmico affascinante e nostalgico (si ascolti in questo Sampler il brano Surprise ), mentre il secondo ha come protagonista il duo Dimidian, composto da Massimiliano Milesi al sax e da Giacomo Papetti al basso acustico, presentare brani che istillano un senso ipnotico, basato su un ritmo “magico” e di cui la traccia Forest Trails ne è un perfetto esempio. E il jazz “duro e puro”? Quello non manca, tranquilli. A cominciare da Chance , un CD che vede protagonista il Gianni Virone Trio, composto da Gianni Virone al sax, Davide Liberti al contrabbasso e da Mattia Barbieri alla batteria, la cui “filosofia” di base può

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essere riassunta con la traccia proposta, Ornettology , che rappresenta un tipico tributo a Ornette Coleman e al suo “dio” sax. Si prosegue con il quartetto formato da Enzo Favata al sax soprano e clarinetto basso, Marcello Peghin alla chitarra elettrica, Salvatore Maiore al contrabbasso e UT Gandhi alla batteria, che con il loro disco Song Book No.1 offrono un jazz raffinato, di immediata caratura melodica, come dimostra la traccia ospitata in questo Sampler , ossia Sunset . Per dare un’impronta al suo primo disco, intitolato Postcards , il pianista e compositore Cristian Caprese ha voluto concentrare la propria ispirazione sulla cultura mediterranea, andando a scavare nei meandri delle zone assolate e di quelle all’ombra, dalle quali attingere sonorità assai particolari, di cui la traccia Medicea vuole incarnarne lo spirito. Lo accompagnano in questo viaggio Luigi Blasioli al contrabbasso, Giacomo Parone alla batteria, Manuel Trabucco al sax soprano e tenore, Alessandro Di Bonaventura al flicorno e Javier Girotto al sax soprano.

proprio frutto della compositrice coreana, anche se la traccia scelta per questo Sampler , In Your Own Sweet Way , è di Dave Brubeck. Lo stesso Antonio Fusco è poi protagonista con il suo Trio, che vede la presenza di Manuel Magrini al pianoforte e di Ferdinando Romano al contrabbasso, del CD Sete , in cui il batterista campano lascia spazio alla sua raffinata creatività jazz, visto che sei dei sette brani che compongono l’album sono suoi.

Così, per entrare nel suo mondo sonoro e per comprenderne lo spessore è sufficiente ascoltare la traccia acclusa, Wave . Ancora creatività italica, che viene da un altro notevolissimo musicista, Carlo Cattano che, alla testa della sua orchestra, dipana nel CD Overlaps sonorità aspre, in cui i fiati la fanno da padrone, lanciando nello spazio segnali spigolosi, a volte bellicosi, capaci di creare vortici timbrici di assoluta originalità. Se avete le orecchie pronte per questa sfida, ascoltate la traccia Trasparencies . Proseguendo, il nome di Arrigo Cappelletti dirà pur qualcosa a chi ama il jazz italiano. Questo compositore e pianista comasco, dopo essersi messo in tasca una laurea in filosofia e aver insegnato in alcuni licei, si è consacrato al suo strumento e alla scrittura musicale, facendoci capire che si può pensare anche con i suoni, come dimostra perfettamente nel CD Tough Love , di cui si può apprezzare la traccia Rarefied . Per finire non poteva mancare la potenza di un’intera orchestra, ossia l’esplosiva Monique Chao Jazz Orchestra, creata da Monique Chao, compositrice, pianista,

Solidità esecutiva, preparazione musicale, diversi influssi sonori dai quali provengono, queste sono le cifre del trio Hub Roots, dietro al quale si celano Luigi Tresca al sax, Claudio D’Amato alle tastiere e Pierluigi Tomassetti alla batteria, il quale ha dato vita a un jazz corposo, paludoso nei timbri e nelle istanze melodiche, in cui la libertà espositiva, il dono di accostare strumenti e sonorità differenti, di cui il CD Heritage ne fornisce un’adeguata dimostrazione. La traccia qui presentata porta proprio il titolo dell’album. Non poteva mancare una nota al femminile, qui rappresentata dalla compositrice e pianista coreana Sejin Bae, la quale con la collaborazione di Nathaniel Gao al sax contralto, Charlie Wang al basso e di uno dei più apprezzati batteristi della scena internazionale, Antonio Fusco, ha voluto dimostrare come la creatività dell’“altra metà del cielo” non ha nulla da invidiare a quella maschile nella dimensione jazz. È nato così il CD Direction , di cui cinque delle sette tracce sono

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LEOPOLD STOKOWSKI THE WAGNER SOUND

vocalist , direttrice d’orchestra e educatrice jazz taiwanese-italiana, che ha forgiato un CD, Time Chamber , in cui la vitalità e l’energia della materia jazz vengono disciplinate attraverso un ritmo a dir poco trascinante, il cui manifesto programmatico è dato dalla traccia finale del Sampler , Chester is Boss .

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E d i z i o n e d i g i t a l e i n t e r a t t i v a | D I S T R I B U Z I O N E G R A T U I T A

Composed By – Richard Wagner Conductor – Leopold Stokowski Engineer – Lewis Layton Orchestra – Symphony Of The Air And Chorus* Producer – Peter Dellheim Sleeve Notes – Charles O'Connell

Leopold Stokowski conferì all’orchestra un suono completamente nuovo, noto al grande pubblico come il “Philadelphia Sound” o “Stokowski Sound”, un tono lussureggiante e una rigorosa attenzione al colore. Fu un pioniere nell’uso dell’archetto “libero”, in quanto questa pratica contribuiva a creare un suono più ricco e omogeneo, eliminando le piccole discontinuità che possono derivare da cambi d’arco simultanei. Il risultato era un timbro degli archi più fluido, continuo e avvolgente. Prossimamente su GRooVE back Records, il primo LP della nuova collana Capsa Symphōnīa dedicata ai Grandi Interpreti della Musica Classica.

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CLASSICAL RECORDS

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I mille volti del “sovrano” Robert Fripp

Scheda uno: La rivoluzione “progressive” è servita su un piatto di genialità “Peter portò questo quadro e la band lo amò. Di recente ho recuperato l’originale dagli uffici EG perché lo tenevano esposto in piena luce, con il rischio di rovinarlo, quindi alla fine l’ho tolto da lì. La faccia della copertina è l’Uomo schizoide, mentre all’interno della copertina c’è il Re Cremisi. Se si copre la faccia sorridente, gli occhi rivelano una tristezza incredibile. Che altro si può aggiungere? Riflette la musica.” Robert Fripp

di Enrico Merlin

Si può riassumere e, allo stesso tempo, presentare la caleidoscopica vena creativa del geniale compositore e chitarrista inglese, fondatore dei King Crimson, in sole sei schede? Enrico Merlin lo ha fatto e questo è il risultato. Quindi, se volete i titoli indispensabili della sua produzione musicale, non dovete fare altro che leggere… e ascoltare.

In the Court of Crimson King è il disco manifesto della prima ondata del Rock progressivo inglese (anche se la definizione risulta strettissima se riferita a una band come i King Crimson). La sua inquietante copertina suscitò grande curiosità quando la si vide per la prima volta negli scaffali dei dischi. Una volta sul piatto, all’inizio i suoni a volume minimo inducevano l’ascoltatore ad alzarlo per cercare di decifrare, capire, distinguere… poi all’improvviso il riff «Tan Tadadan Tan Tan»… iperdistorto, così come distorta era la voce di Greg Lake che sopraggiungeva di lì a poco. Poi il brano entrava in una situazione parajazzistica a tempo sostenuto, in 12/8, su cui si svolgevano gli assoli, che infine sfociavano in una parte scritta, fatta di stacchi molto articolati, riepilogo del tema iniziale e finale free . Oggi della scoperta permane solo il ricordo, ma 21st Century Schizoid Man si staglia ancora nella storia della musica come il monolito di 2001, Odissea nello Spazio ! E anche il resto dell’album, pur riflettendo inequivocabilmente l’epoca in cui è stato concepito, regge imperturbabile il passare del tempo. Al quadro futuristico d’apertura, segue la pace di I Talk to the Wind , dal sapore vagamente rinascimentale, con la voce di Lake che risplende in tutto il suo colore. Il brano conclusivo ha la qualità dell’inno, con quel misto di maestosità ed evanescenza che diventò poi prerogativa di una delle correnti principali del Rock progressivo. La musica dei King Crimson si distingue per il contrasto dinamico suddiviso in macroaree, oltre che per le sonorità ottenute dall’abbinamento di strumenti acustici ed elettrici. Con il passare degli anni la musica di Fripp tenderà a scurirsi, i contrasti dinamici si avvicenderanno in maniera più serrata, fino ad arrivare per esaurimento a momenti di apparente stasi, in parte anche per l’esteso uso delle tessiture realizzate con l’ausilio del misterioso Frippertronics (vedi scheda su (No Pussyfooting) ). Per i fan più assatanati, nel 2009 è stata pubblicata una versione in cofanetto comprendente 5 CD e un DVD… E nel 2019 una nuova edizione per il 50° con 3 CD e un Blu-Ray. Ma se ancora non vi bastasse, allora c’è The Complete 1969 Recordings , pubblicato nel 2020. Tutto quello che avreste voluto sapere su In the Court of Crimson King e non avete mai osato chiedere… “In the Court of Crimson King”

Robert Fripp.

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Scheda due: Chi bussa alla porta? L’Ambient Music? Benissimo, fatela entrare!

Come un disco di musica africana, Larks’ Tongues in Aspic si apre con un turbine di m’bira , uno strumento appartenente alla famiglia degli idiofoni tipico dell’Africa sud-orientale, sul quale si innestano progressivamente poliritmie generate da altri strumenti acustici. Poi l’esplosione sonora sbattuta in faccia all’ascoltatore senza pietà, suoni distorti associati alla figura ritmica del violino. Fripp scatena tutta la forza dei suoi modelli ritmico- armonici di derivazione stravinskiana, con una padronanza tecnica, che raramente lascia intravedere momenti di cedimento. I 13’37” di Larks’ Tongues in Aspic, part 1 sfrecciano di fronte all’ascoltatore passando attraverso un episodio centrale che rimanda al lontano Oriente. Il suono del violino elettrificato è determinante nel colore generale, così come

“Io e Robert Fripp registreremo un altro disco molto presto. Sarà ancora più monotono del primo!” Brian Eno (No Pussyfooting) , uno dei primi esempi di Ambient Music , vede all’opera il Frippertronics prima che questo “marchingegno” assumesse tale definizione, ossia un rudimentale quanto ingegnoso sistema progettato da Robert Fripp, che permetteva la sovrapposizione di loop di nastro in maniera istantanea. Questa “proto-loop-station” era

“(No Pussyfooting)”.

“Larks’ Tongues in Aspic”

costituita da due registratori, dei quali il primo veniva posto in registrazione, mentre il secondo in lettura. Il nastro rimaneva teso tra la prima bobina della macchina A e la bobina di avvolgimento della macchina B, con la variazione della distanza tra una macchina e l’altra che determinava il lasso di tempo tra l’esecuzione reale (quindi la sua registrazione) e la sua ripetizione (riproduzione). Un sistema di testine multiple di lettura permetteva la sovrapposizione a strati del materiale musicale, con un effetto di dissolvenza naturale. In (No Pussyfooting) Brian Eno interviene sui due registratori in una forma di composizione estemporanea, operando una selezione in tempo reale dei materiali sonori che sarebbero dovuti finire su nastro. Insomma, uno dei primi esperimenti di live electronics nel campo del Rock, fra l’altro in un interessante abbinamento tra performer e manipolatore sonoro. Il primo brano, The Heavenly Music Corporation , fu registrato già l’8 settembre del 1972 in maniera domestica, anticipando di molto esperienze sonore simili, mentre il lato B, con il brano Swastika Girl venne registrato quasi un anno dopo con approccio identico, ma rifinito presso gli Air Studios di George Martin. Anche la casa discografica, la Island, ritenne (No Pussyfooting) poco più di un esperimento, mettendolo addirittura in vendita a un prezzo ridotto. Nel 2008 l’etichetta simbolo di Fripp, la Discipline Global Mobile, ha ripubblicato l’album in versione rimasterizzata ed espansa, ripartendo dai nastri originali. Scheda tre: Lo zampino di Igor Stravinskij in salsa King Crimson “Ora, se i King Crimson accettano la responsabilità di innovare la loro tradizione, non possono accettare la responsabilità per il loro pubblico. E c’è un’aspettativa tangibile e grande come un macigno in un pubblico che va a vedere un concerto dei King Crimson.” Robert Fripp

l’uso sfacciato della scala ottotonica. Il contrasto dinamico estremo rimane una delle cifre stilistiche caratteristiche della musica di Fripp, benché qui venga usato in maniera molto diversa rispetto al primo album dei King Crimson. La voce è utilizzata come uno dei tanti possibili colori, ma ha i suoi momenti di spot , come in Book of Saturday dove il timbro di John Wetton, molto simile a quello di Greg Lake, è spalleggiato dalla chitarra ritmica in una parentesi più serena. Nella parte dell’assolo Robert Fripp utilizza il lennoniano-hendrixiano reverse [tra Tomorrow Never Knows e Castles Made of Sand ]. L’inquietudine domina l’intro di Exiles , che però inaspettatamente si apre al sole, per poi tornare inesorabilmente alle cupe atmosfere iniziali. Easy Money , quasi una risposta alle sonorità del Money dei Pink Floyd in The Dark Side of the Moon , precede

uno dei brani più interessanti dell’album, The Talking Drum , che porta agli estremi l’idea del crescendo progressivo di raveliana memoria (pensiamo al celeberrimo Bolero ). L’ultima traccia riprende dove la prima aveva lasciato, in una ciclicità eliocentrica. Scheda quattro: La band ritorna con una straordina- ria “Disciplina”! “I King Crimson non sono mai facili; sono impegnativi. E mi piace così.” Adrian Belew Sembrava ormai che i King Crimson dovessero restare solo un nome scolpito a chiare lettere nella gloriosa storia passata

“Discipline”

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del Rock inglese e invece… sette anni sono passati dall’ultimo album e Robert Fripp, senza nessun preavviso, mette insieme un nuovo quartetto. A lui si uniscono tre personalità stilisticamente molto definite, nonché turnisti di lusso: il batterista Bill Bruford, sopravvissuto all’incarnazione precedente della band, il bassista Tony Levin, proveniente dal gruppo di Peter Gabriel e il chitarrista e cantante Adrian Belew (già con Frank Zappa, David Bowie e Talking Heads… E già, niente male come curriculum … ). Sulla carta una band impossibile che invece riuscirà a produrre una vera pietra miliare: Discipline , registrato dopo una serie di concerti di prova, è infatti un’epitome di equilibrio. Fripp e Belew sono Yin e Yang, con peculiarità caratteriali e stilistiche opposte che si compenetrano perfettamente. Ognuno dei due ha difatti in sé una piccola parte dell’altro. Dai video dell’epoca, la perfetta simbiosi risulta evidente anche nell’azione scenica, con Fripp immobile sul suo sgabello, mentre Belew fronteggia il pubblico, cantando, suonando, saltando, ballando come un folletto… Le chitarre si intrecciano, si affrontano, urlano, cantano, suggeriscono, declamano… Moltissime e diversificate le timbriche in gioco, espresse nei magici, caleidoscopici movimenti poliritmici, sostenuti dai solidi groove di Levin e Bruford. Il guitar synth Roland GR-300, un’icona di quegli anni, usato tra gli altri anche da Pat Metheny per tutt’altri scopi, come in Offramp , emerge impudente nel tema di Sheltering Sky . Gli incastri delle chitarre in Frame by Frame sono davvero strabilianti e si riveleranno in un DNA fondamentale per le sperimentazioni ritmiche di molti gruppi successivi. Il Re Cremisi è più vivo che mai! La versione pubblicata dall’etichetta di Robert Fripp, appartenente alla «40th Anniversary Series» nella sua componente DVD, contiene diversi materiali inediti in alta definizione. In alternativa anche la versione denominata «30th Anniversary Edition» gode di un ottimo remastering . Scheda cinque: Aspettate… Aspettate, tanto prima o poi i Re Cremisi risorgono… “La disciplina non è mai il fine, ma lo strumento per un fine.” Robert Fripp

Nella storia della musica forse nessuna band più dei King Crimson assomiglia all’araba fenice che, dopo essere morta, risorge quando meno te l’aspetti, in una forma più smagliante della precedente. Dopo tre album, ossia Discipline , Beat e Three of a Perfect Pair , con la formazione costituita da Robert Fripp, Adrian Belew, Tony Levin e Bill

“Thrak”

Bruford, il progetto King Crimson finì di nuovo in congelatore. Poi improvvisamente, dopo anni e senza preavviso, Fripp è di nuovo in tour con la stessa band, ma potenziata con un altro bassista, Trey Gunn e un altro batterista, Pat Mastelotto. Un doppio trio,

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quindi, che in questa forma non ha precedenti nella storia del Rock. Le due formazioni dialogano, suonano insieme e si fronteggiano su piani differenti. La musica è ancora più densa di quella del quartetto di Discipline , ma allo stesso tempo ancora più spaziale e intricata. Belew è splendente nella sua vocalità più matura e non si può restare insensibili quando canta: « I’m a dinosaur, somebody is diggin’ my bones ». I pezzi sono molto più articolati (possibile?) e a tratti imprendibili e imprevedibili. Sempre incredibile come Fripp riesca a creare la più estrema evanescenza partendo dalla massima concretezza possibile. Semplicità quale distillato del complicato. Poesia del metallo fuso. Molti appassionati dei King Crimson della prima ora, letteralmente odiano l’intera «fase-Belew», ma in fondo si tratta sempre del solito problema legato alle aspettative, alle abitudini e alle tribù. Per tutti coloro che «vedono tradito il messaggio originale» risulta perfetto ciò che Miles Davis rispose a quel musicista che una sera, alla fine degli anni ’60, gli disse di amare la sua musica, ma che quella svolta elettrica proprio non la capiva: «E io cosa dovrei fare? Aspettarti?». Eccezionale anche il DVD Deja Vrooom , trasposizione del concerto registrato a Tokyo nell’ottobre del 1995 e che contiene alcune avveniristiche, per l’epoca, opzioni audio multi-canale. Scheda sei:

oltre quindici anni mantiene invariato il suo fascino. La sonorità generale è di una colorazione piuttosto scura e di notevole intensità emotiva, forse specchio del dolore di Fripp per la recente perdita della madre; il parametro ritmico sembra essere quasi completamente sublimato. Tutto il costrutto musicale, intriso di un misticismo che però non si autoproclama mai, si muove lento e cangiante come il sovrapporsi di differenti strati di nubi. Armonicamente non vi sono molti azzardi, anche se giochi di sovrapposizioni politonali non sono del tutto assenti. Le asperità sono smussate per il fatto che nessun suono ha spigoli vivi con l’attacco delle note sempre ammorbidito anche nei passaggi melodico-armonico più tesi. In Returning I la registrazione è addirittura pubblicata in totale reverse , ovvero al contrario, ma il significato di fatto non si inverte… Una sorta di paradosso temporale in cui ognuno può leggervi i significati filosofici che desidera, in ogni caso Ambient senza compromessi…

Le senti, bellezza? Sono le nuove tecnologie, non ci possiamo fare niente… “La musica è il calice che contiene il vino del silenzio; il suono è quel calice, ma vuoto; il rumore è quel calice, ma rotto.” Robert Fripp Nella poetica di Robert Fripp i Soundscapes rappresentano l’evoluzione diretta dei Frippertronics degli anni ’70. L’avvento delle macchine digitali ha in sostanza mandato irrevocabilmente in pensione i vecchi registratori a bobine; i phrase sampler e i delay digitali permettono al musicista di sovrapporre infinite linee le une sulle altre e attraverso strumenti

“A Blessing of Tears - 1995 Suodscapes - Volume two”

di controllo (pedaliere, computer ecc.) di poter smistare il segnale su varie tracce o linee di campionamento, così da poter fare apparire o sparire determinati elementi, a piacimento e all’istante, quindi senza premeditazione. In queste performances in solo, Fripp sfrutta al massimo le potenzialità dei suddetti mezzi aggiungendo anche un pickup esafonico alla chitarra, con il quale pilota una serie di sintetizzatori che a loro volta espandono infinitamente le varietà timbriche dello strumento. Rispetto alla musica prodotta con i Frippertronics risulta più difficile riuscire a capire come l’artista proceda nella sovrapposizione dei vari strati, rendendo ancora più interessanti gli oggetti sonori creati. A Blessing of Tears è il secondo dei volumi della serie Soundscapes , anche se il primo in cui mi sono imbattuto come ascoltatore, e anche a distanza di

Robert Fripp

Schede tratte dal volume 1000 dischi per un secolo, 1900-2000 di Enrico Merlin (ed. Il Saggiatore).

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Enrico Merlin 1000 dischi per un secolo 1900-2000

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100 anni, 1000 dischi, 8000 artisti: gli album che hanno cambiato per sempre il modo di fare musica.

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Alfredo Di Pietro ha intervistato il celebre musicologo e germanista goriziano, il quale, oltre a insegnare ancora alla veneranda età di quasi novant’anni, viene riconosciuto come uno dei massimi studiosi del grande compositore boemo, da lui venerato insieme con Robert Schumann. Quirino Principe, il “guardiano di Mahler” di Alfredo Di Pietro

osservazione tecnica in nessuna delle grandi monografie su Verdi? Lì si parla soltanto di sensazioni. Ma spiegatemi perché dà quest’effetto! Sarà di aiuto anche ai giovani compositori, per esempio. La critica musicale dev’essere una lezione, non una generica affermazione del tipo «Oh, com’è bello!». Devo dire che ormai si sta perdendo il senso dell’amore per la precisione. Ci sono recensioni di certe persone che usano un linguaggio di filosofia della musica, essendo gli scriventi dei babbei che conoscono soltanto il rock e il rap. Sono abbonato a una bellissima rivista settimanale, ma quando si arriva alla pagina di musica c’è il crollo perché in Italia non s’insegna la musica se non nei conservatori, mentre in altri Paesi s’insegna nella scuola. Quindi si è abituati. Nella Repubblica Ceca ci sono dei bambini delle elementari che mettono in scena degli spettacoli con musica composta da loro. Suonano gli strumenti. Una scrittrice e traduttrice è stata purtroppo inclusa nella redazione di questo settimanale, la quale è debole per quanto riguarda

A.P.: Maestro Principe, parto da una sua affermazione, rilasciata durante un’intervista, che mi ha molto colpito. Lei ha detto che «Tanto più un musicologo è grande, tanto più marcata è la croce del suo fallimento». Vorrei dunque toccare l’argomento della critica musicale domandandole che ruolo a suo parere rivesta nell’attuale panorama culturale. Q.P.: Ne penso molto male. Se lei prende, poniamo, un testo classico come la raccolta delle recensioni di Schumann, che in Italia è stata pubblicata in un bellissimo libro einaudiano già alla fine degli anni Quaranta, oppure se si leggono i suoi Diari , di cui ho tradotto tre annate per una casa editrice torinese, si può arrivare a determinate conclusioni. Avendo io guardato da vicino, possedendo l’edizione tedesca originale di questi Diari di Schumann e di Clara, una lettura meravigliosa, ho visto come Schumann dà proprio una lezione di concretezza. In questi a un certo punto si dice: «Nella terza battuta del secondo

la musica, in qualità di critico musicale. Non le dico la banalità di certe affermazioni, tipo «E a questo punto la musica parte per la tangente». Ma cosa vuol dire parte per la tangente? Allora spiega cos’è la tangente! A.P.: Sono quei paroloni che fanno scena e magari non si sa nemmeno cosa vogliano dire. Q.P.: Ma il bello è questo! Una rubrica di critica musicale di questa bellissima rivista è così concepita: in due pagine affrontate si parla di tre o quattro cosiddetti album di qualche complesso rock. Poi alla fine, per decenza, troviamo una recensione a qualche composizione invece di musica alta, anche di autori antichi, una nuova orchestrazione e così via. Ma lì si potrebbe, data la sostanza, dire qualcosa di tecnico, che ci dia veramente un senso spaziale e temporale. Noi siamo fatti di spazio e tempo e dunque per noi la musica rappresenta la suprema esperienza del nostro muoverci in queste due realtà. Invece niente, parole, parole ideologiche come «Il sistema ha lavorato contro», e poi

Il musicologo, saggista e germanista Quirino Principe in una recente immagine.

tempo c’è un particolare, questo provoca inevitabilmente un effetto psicologico», cioè ricostruisce con umiltà assoluta l’ iter del passaggio da una sensazione, una αισθησις a una αισθητική, poiché estetica deriva dal termine greco αισθησις, come lei certamente sa. È una cosa che colpisce il nostro corpo, poiché l’orecchio è parte di esso, e dopo si trasfigura. Se io, per esempio, devo spiegare il finale del primo atto di Otello , quel meraviglioso duetto, arrivati alla fine Un bacio... ancora un bacio , il canto diventa una linea piatta, siamo nella tonalità di mi maggiore e questo manda in estasi le signore quando ascoltano. Otello canta Già la pleiade ardente al mar discende e Desdemona replica, sempre in mi maggiore: Tarda è la notte . Nel momento in cui lei dice il “te” della parola notte c’è una modulazione formidabile, il passaggio da mi maggiore, la triade mi/sol diesis/si, con un piccolissimo spostamento, arriva al re bemolle maggiore, in cui cambia il colore, come se un rosa invadesse l’orizzonte. Lei lo sa che io non ho trovato questa semplice

Gustav Mahler in una foto scattata nei primissimi anni del Novecento.

la frase s’interrompe. Cioè il nulla. Si continua dunque così, con questa persona che si prende magari un cospicuo emolumento. Anche io facevo critica sul Sole 24 Ore , e spero di farla ancora, però dicevo esattamente quello che succede, così come nel caso di questo passo dall’ Otello in cui spiegavo perché c’è questo lampo di luce, questa modulazione che non ci si aspetta. A.P.: Per inciso, quando lei ha suonato quegli accordi in basso, sulle note gravi del pianoforte, ho avvertito la sensazione di uno sprofondare della coscienza.

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Q.P.: Certo. Lì c’è lo sprofondare e poi si verifica la risalita. Questo bisogna non solo dire, ma spiegare tecnicamente come avviene. Adesso sto preparando un testo che dovrebbe essere quello introduttivo a una serie di atti da un convegno riguardante il momento che la musica sta attraversando oggi, s’intende quella che io chiamo forte. Qualcuno la chiama “classica” ma non va bene perché è un non senso, Alfredo Casella e Richard Wagner non ne fanno parte, è un aggettivo fuorviante. La musica classica è un breve periodo tra il 1750 e il 1790, più o meno perché già l’ultimo Mozart non lo è. Devo dunque scrivere un’introduzione che tocchi tutti i punti che oggi un critico musicale o abborda o colpevolmente evita. Prima c’è una distinzione precisa per quanto riguarda la critica musicale. Il prefatore

ragioni forti, le mette in dubbio. Sia ben chiaro che in ciò non c’è niente di male perché può essere un fenomeno che vivifica, che smuove e dobbiamo riconoscerlo come tale e affermare che non abbiamo categorie universali, ossia ciò di cui parla proprio il libro di Spengler Der Untergang des Abendlandes , “Il tramonto dell’Occidente”. La decadenza dell’Occidente e la grande ragione di questa decadenza stanno nel venir meno dei giudizi universalmente condivisibili. Sarebbero anche tali ma la vanità, la presunzione di qualcuno fa sì che venga criticata la loro condivisibilità. Questo per evitare che un errore da me commesso sia giudicato uno sbaglio d’ignoranza. No, ho semplicemente messo in crisi certe regole. Le faccio un esempio: noi sappiamo che il numero reale delle vibrazioni, in un pianoforte ben accordato con un buon diapason, del do centrale è di 256 al minuto secondo, e che il do all’ottava presenta il doppio delle vibrazioni, cioè 512 e, a seguire, 1024 e 2048. A scendere troviamo la metà, che è 128, poi 64 e 32 Hz. In mezzo che cosa c’è? Un rapporto di numeri irrazionali. Noi poi, per semplificare, questo 256 Hz lo possiamo equiparare a 1 e vedere tutti gli altri “do” in proporzione a 1. Allora quello a 512 Hz diventa 2 e così via. Qual è invece il numero di vibrazioni al minuto secondo di ognuno dei dodici suoni che formano una scala? Sono tutti numeri irrazionali. I rapporti sono costanti e ogni semitono corrisponde a un aumento del 5,9% della frequenza del suono precedente, sulla base della radice dodicesima di due, cioè 1,0594. Si arriva così al fa diesis, il cui rapporto è di 1,41421, vale a dire la radice quadrata di 2. È meraviglioso! Qual è il rapporto tra la diagonale e il lato del quadrato? Sempre la radice quadrata di 2. Questo vuol dire che le cose di cui sono fatte le forme del mondo corrispondono a misure che troviamo nella musica e che questa è la depositaria di tutte le forme. La successione di Fibonacci è nella musica, lo sappiamo benissimo. Tutto quello che noi crediamo essere astratto, geometrico, diventa poi suono, quindi anche bellezza e significato nella musica. Ecco perché la mancanza dell’istruzione musicale è terribilmente dannosa per noi occidentali e in Italia in particolare. A.P.: Nel suo libro dedicato alla biografia di Gustav Mahler indaga su tutte le sue composizioni, anche quelle più rare, a lungo inedite e incompiute. Ha voluto inoltre stilare un vero e proprio manuale mahleriano, traducendo tutti i testi delle composizioni vocali e delle poesie con il testo originale a fronte. Ha raccolto inoltre notizie genealogiche e filologiche sulle opere, sulle edizioni, sulla bibliografia e sulla famiglia del compositore. Cosa l’ha spinta a un lavoro così colossale, a una ricerca talmente appro fondita? Q.P.: Quand’ero adolescente e studiavo pianoforte, apprendendo le pagine pianistiche di Schumann, capii che quella musica parlava di me giovanotto. Ascoltando la musica di Mahler ho capito che quella parlava di me post adolescente, avviato verso la vecchiaia e la morte. In particolare, oggi la musica di Gustav Mahler è l’immagine della mia morte. Sono questi i due compositori che mi hanno sempre regolato. In qualche modo la mia consapevolezza dell’avvicinarsi della morte mi viene accentuata e nello stesso tempo confortata dalla musica di Mahler. Ho riconosciuto nella musica di Schumann una promessa che sapevo non si sarebbe mai mantenuta, cioè la fine dei dolori. Non è questa la verità, perché ho constatato, andando avanti nella vita, di aver avuto molta felicità da mia moglie e un indicibile dolore dalla sua scomparsa, avvenuta a sessant’anni esatti dal matrimonio. Invece, la musica di Mahler mi dà la sensazione

Il celebre dagherrotipo, risalente al 1850, con Robert Schumann e la moglie, la pianista Clara Wieck.

di un libro che parli di un compositore e scriva in sostanza la sua biografia, che è pure un’eccellente idea, non fa critica musicale ma stila la vita di un signore qualsiasi che per caso faceva il musicista. Si può magari leggere che il nazismo cacciò in esilio tutti i musicisti espressionisti insieme con i poeti, Bertolt Brecht, Kurt Weill, la cosiddetta musica degenerata. Ma questa non è critica musicale, è storiografia. È ora di finirla, perché quello propriamente detto è un giudizio musicale emesso da una persona che conosce la musica tecnicamente, altrimenti non ha senso, su musiche composte da altri musicisti. Non vedo come uno privo di conoscenza della musica possa fare della critica musicale. Con tutta la mia ammirazione per i pittori, scultori, non mi sognerei mai di avere la faccia tosta di scrivere sulla rivista di cui sono redattore un testo di critica d’arte, anche se so che ne sarei capace. Qualche volta l’ho fatto perché erano cose un po’ particolari, molto legate a certi fatti musicali. Per esempio, l’arte di Paul Klee a proposito dei Quadri da un’esposizione di Musorgskij; lì va bene perché s’intende istituire questo rapporto, allora cerco di non dire bestialità rispetto alla mia competenza in campo pittorico. Direi che la critica musicale è un’attività che ha bisogno di essere sostenuta dalla conoscenza della musica. C’è un noto scrittore, per esempio, considerato da alcuni un genio immortale, il quale non conosce nulla di musica, ma ha la predilezione per dare giudizi su questa dicendo «La musica di diversa ispirazione, per esempio il rock, il rap, la classica». A proposito, ma dov’è la “classica” oggi? Non ci può essere perché la nostra epoca non riposa sul concetto di classico ma su quello di critico, nel senso che è entrata in crisi. Viviamo in un tempo di smarrimento in cui il cambiamento è continuo, senza poter contare su un appiglio, su un punto fermo. Il famoso libro di Stefan Zweig [ Il mondo di ieri , N.d.A.], l’ultimo che scrisse prima di andare in esilio, parte proprio dalla descrizione di quella che era la cultura dell’Austria imperiale antecedente alla Prima guerra mondiale. Una cultura vivace, in grado di sapere nel suo oggi ciò che sarebbe successo domani e che domani avrebbe saputo ciò che sarebbe accaduto dopodomani. Tale è la continuità di una cultura che ha delle ragioni forti. Ma una volta che perde le

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che ci saranno tante cose che mi potrebbero essere concesse, ma non avrò il tempo di apprezzarle. Così la musica di questo grande compositore mi fornisce indicazioni agghiaccianti e folgoranti di quello che mi aspetta dopo, che non ho capito se sarà il paradiso, l’inferno, oppure il limbo. Ma se ascolto la musica di Schumann, vengo

sprofondato nella mia infanzia e ritorno bambino. Mi fa venire in mente il famoso Lied Der Lindenbaum dal ciclo Winterreise di Schubert… Ma è naturale! Questo e altri Lieder, per esempio quello bellissimo di Schumann su testi di Eichendorff che si chiama Mondnacht , “Notte illuminata dalla luna”, e inizia con questi versi: Era come se il cielo avesse baciato la terra affinché essa, nello splendore notturno, dovesse sognare soltanto di lui . Un atto magico. Che significato aveva “come se”? Il poeta non lo dice. A.P.: Esiste un considerevole nesso tra la produzione liederistica e quella sinfonica di Mahler, tanto che non è da considerare peregrina l’idea di due vasi comunicanti. Quanto è importante conoscere la prima, quella liederistica, per una limpida comprensione della seconda, la sinfonica? Q.P.: È immensamente importante! Risulta chiaro che questa connessione riguardava proprio una sua pulsione naturale. Gustav Mahler era un uomo fatto in un modo particolarissimo,

L’industriale e magnate Gilbert Kaplan, collezionista delle partiture manoscritte di Mahler, che volle improvvisarsi anche come direttore d’orchestra, dirigendo soprattutto, con scarsi risultati, la Sinfonia n. 2 del compositore boemo.

ogni sua vibrazione da una parte diventava canto allo stato puro e dall’altro costruzione. Diceva da un lato: «Via tutto, ci sono soltanto io» e dall’altro: «Datemi il mondo da ricostruire». Era inevitabile che queste due forme di evocazione suscitassero qualcosa che non appartiene a questo mondo. Tutto in lui non appartiene a questo mondo, ma è evocato. Ciò lega fortissimamente le due produzioni. Nel Lied, inteso come genere musicale, fa sempre capolino, anche prima di Mahler, questo nesso. Nelle sinfonie di Schubert, per esempio, s’incontrano temi di Lieder, nei quartetti, anzi taluni prendono il nome dal titolo del Lied, come La morte e la fanciulla . A.P.: Di Schubert ci sono anche quelle bellissime variazioni per pianoforte e flauto sul Lied Trockne Blumen. Q.P.: Sono d’indicibile bellezza, in esse a un dato momento c’è una variazione che assomiglia al singhiozzo di un pianto, un sospiro se vogliamo. Ma anche in altri compositori, come per esempio Schumann, anche se non se ne parla, sussiste questo rapporto. Lui utilizza sempre nei suoi pezzi pianistici frammenti melodici di Lieder o viceversa, anche nel Trio n. 2, che è fatto tutto di pezzi di Lieder uniti a pezzi delle Davidsbündlertänze . Dunque, esiste certamente quest’osmosi. In altre tradizioni musicali europee non c’è ma in quella tedesca sì, perciò la mia risposta alla sua domanda è

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