Alfredo Di Pietro ha intervistato il celebre musicologo e germanista goriziano, il quale, oltre a insegnare ancora alla veneranda età di quasi novant’anni, viene riconosciuto come uno dei massimi studiosi del grande compositore boemo, da lui venerato insieme con Robert Schumann. Quirino Principe, il “guardiano di Mahler” di Alfredo Di Pietro
osservazione tecnica in nessuna delle grandi monografie su Verdi? Lì si parla soltanto di sensazioni. Ma spiegatemi perché dà quest’effetto! Sarà di aiuto anche ai giovani compositori, per esempio. La critica musicale dev’essere una lezione, non una generica affermazione del tipo «Oh, com’è bello!». Devo dire che ormai si sta perdendo il senso dell’amore per la precisione. Ci sono recensioni di certe persone che usano un linguaggio di filosofia della musica, essendo gli scriventi dei babbei che conoscono soltanto il rock e il rap. Sono abbonato a una bellissima rivista settimanale, ma quando si arriva alla pagina di musica c’è il crollo perché in Italia non s’insegna la musica se non nei conservatori, mentre in altri Paesi s’insegna nella scuola. Quindi si è abituati. Nella Repubblica Ceca ci sono dei bambini delle elementari che mettono in scena degli spettacoli con musica composta da loro. Suonano gli strumenti. Una scrittrice e traduttrice è stata purtroppo inclusa nella redazione di questo settimanale, la quale è debole per quanto riguarda
A.P.: Maestro Principe, parto da una sua affermazione, rilasciata durante un’intervista, che mi ha molto colpito. Lei ha detto che «Tanto più un musicologo è grande, tanto più marcata è la croce del suo fallimento». Vorrei dunque toccare l’argomento della critica musicale domandandole che ruolo a suo parere rivesta nell’attuale panorama culturale. Q.P.: Ne penso molto male. Se lei prende, poniamo, un testo classico come la raccolta delle recensioni di Schumann, che in Italia è stata pubblicata in un bellissimo libro einaudiano già alla fine degli anni Quaranta, oppure se si leggono i suoi Diari , di cui ho tradotto tre annate per una casa editrice torinese, si può arrivare a determinate conclusioni. Avendo io guardato da vicino, possedendo l’edizione tedesca originale di questi Diari di Schumann e di Clara, una lettura meravigliosa, ho visto come Schumann dà proprio una lezione di concretezza. In questi a un certo punto si dice: «Nella terza battuta del secondo
la musica, in qualità di critico musicale. Non le dico la banalità di certe affermazioni, tipo «E a questo punto la musica parte per la tangente». Ma cosa vuol dire parte per la tangente? Allora spiega cos’è la tangente! A.P.: Sono quei paroloni che fanno scena e magari non si sa nemmeno cosa vogliano dire. Q.P.: Ma il bello è questo! Una rubrica di critica musicale di questa bellissima rivista è così concepita: in due pagine affrontate si parla di tre o quattro cosiddetti album di qualche complesso rock. Poi alla fine, per decenza, troviamo una recensione a qualche composizione invece di musica alta, anche di autori antichi, una nuova orchestrazione e così via. Ma lì si potrebbe, data la sostanza, dire qualcosa di tecnico, che ci dia veramente un senso spaziale e temporale. Noi siamo fatti di spazio e tempo e dunque per noi la musica rappresenta la suprema esperienza del nostro muoverci in queste due realtà. Invece niente, parole, parole ideologiche come «Il sistema ha lavorato contro», e poi
Il musicologo, saggista e germanista Quirino Principe in una recente immagine.
tempo c’è un particolare, questo provoca inevitabilmente un effetto psicologico», cioè ricostruisce con umiltà assoluta l’ iter del passaggio da una sensazione, una αισθησις a una αισθητική, poiché estetica deriva dal termine greco αισθησις, come lei certamente sa. È una cosa che colpisce il nostro corpo, poiché l’orecchio è parte di esso, e dopo si trasfigura. Se io, per esempio, devo spiegare il finale del primo atto di Otello , quel meraviglioso duetto, arrivati alla fine Un bacio... ancora un bacio , il canto diventa una linea piatta, siamo nella tonalità di mi maggiore e questo manda in estasi le signore quando ascoltano. Otello canta Già la pleiade ardente al mar discende e Desdemona replica, sempre in mi maggiore: Tarda è la notte . Nel momento in cui lei dice il “te” della parola notte c’è una modulazione formidabile, il passaggio da mi maggiore, la triade mi/sol diesis/si, con un piccolissimo spostamento, arriva al re bemolle maggiore, in cui cambia il colore, come se un rosa invadesse l’orizzonte. Lei lo sa che io non ho trovato questa semplice
Gustav Mahler in una foto scattata nei primissimi anni del Novecento.
la frase s’interrompe. Cioè il nulla. Si continua dunque così, con questa persona che si prende magari un cospicuo emolumento. Anche io facevo critica sul Sole 24 Ore , e spero di farla ancora, però dicevo esattamente quello che succede, così come nel caso di questo passo dall’ Otello in cui spiegavo perché c’è questo lampo di luce, questa modulazione che non ci si aspetta. A.P.: Per inciso, quando lei ha suonato quegli accordi in basso, sulle note gravi del pianoforte, ho avvertito la sensazione di uno sprofondare della coscienza.
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