GrooveBack Magazine 003

da questa prigionia, perché se vogliamo occuparci di musica, e solo di musica, non possiamo trascurare la poesia, l’economia, geografia, storia. Così ci accorgeremo che l’affermazione “solo la musica” diventa eloquente. Tutto viene trascinato come sistema da tutto, tutto diventa tutto. L’importante è aprirsi a quest’universalità con la volontà di farla entrare dentro di noi, perché se noi non l’abbiamo non succede nulla. Quanti musicologi o critici d’arte, di pittura o altro pensano di essere chissà chi ma in realtà sono delle gatte morte, non essendo fisiologicamente e psichicamente disposti all’“intelligere”, termine composto da “intus” e “lègere”, con il significato di “leggere dentro”. Non guardare soltanto dall’esterno ma entrarci dentro. Un concetto questo che richiama il Mito della caverna di Platone: se tu continui a guardare verso l’interno della caverna non capisci molto, voltati e guarda dall’interno verso l’esterno, così ti renderai conto che le ombre sono generate dagli oggetti che ci sono tra il grande fuoco e le pareti dell’antro. A.P.: Il suo bellissimo ciclo Viaggio nel mondo di Gustav Mahler per Rete Toscana Classica, lo confesso, mi è stato da sprone per proporle quest’intervista, che lei con grande gentilezza mi ha concesso. È stato realizzato in occasione del centenario della morte del compositore e si rivela essere un avvincente viaggio attraverso la vita e il catalogo completo del musicista ripartito in dodici puntate. A chi si rivolge davvero questo ciclo, avendolo io trovato adatto sia al novizio che al conoscitore, anche se in diversa misura? Q.P.: Sicuramente interessante è la programmazione di Rete Toscana Classica, un’ottima emittente dietro la quale c’è la gentilezza e la grandezza morale di Alberto Batisti, che ne è l’ideatore e fondamentale ispiratore. Parliamo di un grande musicista che, come compositore, incontra quelle difficoltà in cui tutti i suoi colleghi s’imbattono se vogliono andare avanti in quest’ambito. La sua sostanza la conosco molto bene perché l’ho frequentato. È un uomo col quale ho parlato provando emozioni perché lui me le ha fatte nascere, ci siamo subito capiti, l’ho visto dirigere in un altro festival, quello che si svolge intorno a San Miniato. Lui ha messo in piedi questo gruppo di persone che fanno il loro lavoro gratuitamente nella sede di Rete Toscana Classica. Ciascuno ha un’altra occupazione che gli dà da vivere, ma nella Rete Toscana Classica tutti lavorano gratis e magnificamente bene. È un grand’uomo Alberto Batisti. La sua fisionomia è in qualche modo una buona risposta alla sua domanda, vale per me ma vale per chiunque possa avvicinare quel magnifico ambiente. La sua città è Perugia, non so se abiti in questa città ma lì esiste il centro della sua attività, uno che lo voglia conoscere e frequentare deve recarsi in questa. A.P.: Il compianto musicologo Paolo Isotta ha definito lei «il più grande mahleriano vivente». In realtà, più che porle un quesito desidererei da lei un consiglio su una musica che ho sempre trovato potente, in certi frangenti cataclismatica, eppure anche profondamente intima e raffinata. Penso alle due Nachtmusik (Allegro moderato e Andante amoroso), secondo e quarto tempo della Sinfonia n. 7 in mi minore. Quando si è davvero pronti a riceverla, quando “verrà il tempo” per chi desidera lasciarla percolare nel propri o animo? Q.P.: Bisogna essere avanti negli anni per capire, occorre che queste musiche risveglino in noi un senso di perdite irreparabili, devono rievocare in noi qualcosa

di molto dolente. Non possiamo utilizzarle come rivelazioni di salvezza. Il suono notturno dà l’idea veramente di quei profumi, di quegli odori che sono a volte di fiori e a volte anche di colaticcio, di fogna insomma, di bassifondi di città. A.P.: Anche l’utilizzo della chitarra e del mandolino nella seconda Nachtmusik, l’Andante amoroso, è molto interessante. Q.P.: Quello sorprende. Gustav Mahler, come in genere i compositori austro-tedeschi, capiva perfettamente che la mediterraneità non è quella delle operette viennesi, cioè la festa. Qui c’è il brutto, la paura, il viscido, ciò che ti può aggredire improvvisamente, tutte cose che attirano. L’uomo del nord è allettato da questi elementi. Io, per esempio, sono affascinato dal Sudamerica, non ci sono mai andato, non ci andrò mai, credo che se ci andassi impazzirei dall’infelicità, dall’odio perché non potrei sopportare quel tipo di vita, di società inaffidabile e anche volgare. Eppure, non so per quale motivo, ne vengo attratto. A.P.: Questi finali mahleriani poi, in cui si passa dalla tragedia più nera a un’esplosione di gioia che ha un sapore illusorio, forse troppo trionfalistica. Q.P.: Sì, io lo legherei a una sensibilità che non è mai stata studiata bene, neanch’io l’ho fatto, ma forse nella nuova edizione intendo farlo. Parlo dell’attrazione segreta, non confessata, che Mahler sentiva, al di là della storia che lo interessava, per la sociologia urbana, che gli piaceva anche descrivere, delle città, per la cosmologia. Esiste quest’improvvisa esplosione, quella che noi da sempre ci aspettiamo succeda all’universo, che in un dato momento si crei uno squilibrio nell’ordine universale, in quello delle grandezze cosmiche e delle forze che regolano queste grandezze, per cui tutto a un certo punto esplode in una pirotecnia che sembra quasi gioiosa. Non succederà nella nostra esistenza, ma potrebbe accadere ai nostri lontani discendenti poiché Mahler guarda molto lontano. La decima sinfonia, non soltanto nella parte compiuta, ma anche in quella ricostruita da Deryck Cooke, è profondamente evocatrice di sfere cosmiche. Nel Finale per esempio, un movimento lentissimo, con quell’improvvisa ascesa di tutti gli strumenti in unisono, impegnati in una sorta di scala cromatica dissonantissima. La buona direzione d’orchestra a questo punto deve esagerare e tenere il più possibile fermo quell’accordo, per poi scendere. A.P.: Già l’assolo di timpani all’inizio del Rondo-Finale della Settima sinfonia è come una scossa elettrica... Q.P.: Quello è emozionantissimo. Lei sa qual è la sua origine? Mahler era a New York, verso la fine della sua infelicissima trasferta, con Toscanini che gli faceva la forca. Racconta Alma, questa volta benemerita con il suo spettegolare, che un giorno, ospiti in un albergo a un piano molto alto, a un certo punto si avvertì che il brusio della strada sottostante, sempre molto fitto, si era come fermato, per poi sentire una musica funebre. In quel momento stava passando un funerale, in cui forse c’erano italiani del sud, con un’idea di celebrarlo alla maniera delle processioni meridionali, nelle quali c’è tanta gente, anche sconosciuta. Questo è tipico della religione cattolica, non protestante; quindi, hanno pensato a una comunità cattolica d’italiani. A un certo

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