GrooveBack Magazine 003

I primi due frammenti chiariscono che Further Explorations , ossia “Ulteriori esplorazioni”, come titolo sia alquanto appropriato: The Outlaw presenta progressioni armoniche più lunghe e insolite, un ritmo latino alternato, tempi a 4/4 con sezioni sonore labirintiche, veloci stoppate e ripartenze improvvise, ma con un passo rapido e deciso; la seconda composizione sotto forma di ballata, Melancholy Mood , porta subito a un cambiamento di umore. Si parte con un tiepido duetto tra Silver e Teddy Kotick (uno dei bassisti preferiti di Charlie Parker), mentre Louis Hayes accompagna la ciurma con una batteria dalla pennellata morbida e levigata. L’assolo di Silver è un gioiello, che mescola lunghi tratti di accordi secondari minori, note con frasi sensuali e ripetute stoccate funkified . Pyramid è un mélange di melodia orecchiabile, tocchi latini e cori ondeggianti, in cui Art Farmer trova la strada maestra con lunghe linee dal lirismo intenso. Moon Rays è il pezzo centrale dell’album della durata di undici minuti.

carriera come band-leader. Blowin’ The Blues Away è un disco bifronte a due velocità, eseguito in trio su due tracce e quattro in quintetto, nonché registrato in due sezioni separate: la prima il 29 e il 30 agosto 1959, la seconda il 13 settembre dello stesso anno. Il pianista si alterna alla guida a tre o a cinque marce, pur potendo contare sulla squadra di sempre, quella storica e più affiatata al suo fianco: Junior Cook sax tenore, Blue Mitchell tromba, Gene Taylor contrabbasso, Louis Hayes batteria. In tutti i formati, Silver riesce a esprimersi da eccelso solista, generando una forte propulsione alle spalle della linea frontale, quando arretra per garantire un comping perfetto e impeccabile. Blowin’ The Blues Away è uno degli elaborati più riusciti di Horace Silver in casa Blue Note, forte di sei composizioni originali; un album che segna l’apice del quintetto classico al pari di Song For My Father e Horace Silver & The Jazz Messengers . Il ritmo dell’album è impeccabile, si va a martello e si rallenta con un paio di placidi intermezzi, tanto da consentire a tutti di riprendere fiato, ascoltatore incluso. Il ventaglio di sensazioni e variazioni tematiche offerte è assai ricco. Tra i tanti, due brani spiccano per intensità: Peace , una bollente e seducente ballata, e Sister Sadie , basato sul Vangelo, un concentrato di swing , dove la band, di tanto in tanto, suona all’unisono prima che l’uno o l’altro dei solisti abbia una breve voce in capitolo. Entrambe saranno destinate a diventare degli standard del repertorio di Silver, al pari della title-track , Blowin’ The Blues Away . Melancholy Mood è un case-study per piano trio, sviluppato con il solo accompagnamento di Hayes e Taylor, dove i ripetuti cambi di ritmo lento sono magicamente lirici, diluiti con qualche martellata alla Monk e da una melodia mercuriale, che tracciano una delle più riuscite rappresentazioni dell’estetica silveriana. Della stessa pasta è fatta anche la frenetica The St. Vitus Dance (“Il ballo di San Vito”), un esempio di piano trio ad alta combustione sonora. L’esotismo e l’amore per le terre lontane affiorano, ma senza oleografia caricaturale e turistica, in The Baghdad Blues , un bop up -tempo insanguato da una mistura di soul- blues metropolitano, dal groove funky e calato in gran bazar di suoni. Break City è frutto della tipica economia a forte impatto di casa Silver con la band ai massimi livelli di tensione, dove l’esuberanza totale diventa un diktat non derogabile. Al netto di ogni considerazione, Blowin’ The Blues Away resta uno dei cardini della lunga discografia di Silver. ( Horace Silver Quintet & Trio - «Blowin’ The Blues Away», 1959 ). Arrivano gli anni Sessanta Horace Silver, figlio di un capoverdiano e di una irlandese, è sempre stato un compositore poliglotta affascinato da una mescolanza di linguaggi, apportando sistematicamente elementi di esoticità a vari livelli nell’ambito del jazz. La sua pozione magica si basa sulla chimica sonora del bilanciamento. Il pianista è sempre stato abile a lambiccare dinoccolati ritmi dal sapore caraibico con armonie complesse al fine di ottenere una balsamica mistura. Song For My Father , il suo album più celebrato, nonché una delle punte di diamante del catalogo Blue Note, possiede elementi di sofisticata signorilità arricchiti da delicate pennellate esotiche che nascono dalla genetica predisposizione del pianista di Capo

La melodia al lime dei Caraibi risulta assai accattivante, mentre la maniera in cui Silver opera sul piano rimanda a talune modalità espressive tipiche del gioco sui tasti di Thelonious Monk. Jordan e Farmer raggiungono il climax in Safari , una rivisitazione legata a Silver con Art Blakey e Gene Ramey, al suo debutto in Blue Note nel 1952, ossia

Ancora Horace Silver seduto al suo pianoforte.

The Horace Silver Trio. I’ll Wind, che appone il sigillo di ceralacca chiudendo l’album, ha una struttura insolita e non molto digeribile al primo boccone, ma condensa tutte le caratteristiche di Further Explorations che, a consuntivo ultimato, possiamo collocare fra le migliori sessioni organizzate da Horace Silver. I solisti impressionano costantemente: Farmer, pur tentando una selezione insolita e intervallata, suona in maniera molto melodica, rendendo tutte le progressioni assai attraenti. Il giovane Jordan si trasforma in una specie di Giano bifronte, espellendo dal suo mantice le sagome sonore a volte di Dexter Gordon, altre di Sonny Rollins, mentre dalle retrovie Kotick e Hayes mantengono il ritmo costante e il sangue fluido, evitando che il movimento si solidifichi, irrigidendosi. Sebbene nessuno di questi pezzi abbia preso piede come standard, l’intero set è ricco di variazioni di umore e groove cangianti; ciò garantisce al disco un carattere di forte impatto comunicativo. ( Horace Silver Quintet - «Further Explorations», 1958 ). Horace Silver ha rappresentato il jazz con l’anima, «il grande ritmo dei treni neri» con la vaporiera sempre a tutta manetta, l’uomo al comando che trasportava il popolo del blues su un convoglio a base di funk-bebop , con esecuzioni brucianti di soul e sempre in volata. Horace Ward Martin Tavares Silva, questo il suo vero nome, è stato uno dei personaggi più rappresentativi dell’ hard bop , prima con i Messengers di Art Blakey, con cui inizialmente divideva la leadership , quindi protagonista di una lunga

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