I meravigliosi Gesänge der Frühe Op. 133 sono l’ultima opera che Schumann stesso preparò per la stampa e anticipano di pochissimo quanto avvenne il 24 febbraio 1854, ossia quando si gettò nelle acque gelide del Reno nel tentativo di abbracciare la morte. Il fulcro genetico di questo capolavoro è dato dalla poesia di Hölderlin e dalla figura di Diotima, tanto è vero che il manoscritto dei Gesänge der Frühe è intitolato A Diotima , alla quale il compositore di Zwickau volle accostare la sua dimensione psichica di quel momento (i due cupi versi finali della poesia An Diotima ( Il tuo sole, il tempo più bello, è tramontato/E nella notte gelida ora litigano gli uragani devono avere avuto un lugubre significato premonitore per Schumann), anche se poi nella versione stampata la dedica a Diotima fu sostituita a favore della poetessa Bettina von Arnim, che fu poi tra le pochissime persone che andarono a trovare Schumann, esattamente nel maggio del 1855, durante la sua reclusione nella casa di cure mentali a Endenich. In uno dei suoi romanzi più celebri, Il soccombente , lo scrittore austriaco Thomas Bernhard fa proferire al protagonista che Glenn Gould era stato tra i pianisti del Novecento il «più lucido dei folli» e in un certo senso anche l’approccio generale della lettura fatta da Burkhard Schliessmann per il suo Schumann si avvale di tale espressione. Per il pianista bavarese eseguire le opere del compositore di Zwickau significa dare una forma logica, netta, precisa a una materia espressiva a dir poco dilaniante nella sua complessità instabile e umorale. D’altronde, non dobbiamo dimenticare come dietro Schumann ci sia sempre l’ombra di Bach, al quale il musicista romantico si rivolge incessantemente per governare il proprio eloquio appassionato e disperato. Allo stesso modo, Schliessmann affronta l’esecuzione della Kreisleriana , in cui il senso ritmico, attraverso un’applicazione agogica che soventemente si fa convulsa, tende a disciplinare la dimensione sprofondante di tutta la composizione, quel “scendere nel gorgo muti”, attraverso la corazza data dalla quadratura del cerchio, perché la forma, persino per il più romantico dei romantici, non può e non dev’essere disattesa. È ovvio che, con tali premesse, l’interpretazione della Fantasia in do maggiore per Schliessmann diventi il “manifesto programmatico” della sua concezione di Schumann. La “follia” al servizio di una lucidità che si spinge al punto tale di anticipare di fatto il famoso Tristan-Akkord wagneriano contrassegnato da un accordo sospeso al termine della tonalità in do maggiore che dà inizio al primo tempo Durchaus phantastisch und leidenschaftlich vorzutragen, anche se l’arcata generale che l’artista bavarese confeziona su tutta questa pagina è equamente distribuita nell’esaltazione del secondo e del terzo tempo, considerati a lungo più “deboli” rispetto allo strabordare armonico del primo tempo. Riflessione e audacia, trasporto e rattrappimento, respiro che finisce in iperventilazione, ma sempre con un suono, un timbro eminentemente elegante, persino “classico”, intriso di nobiltà, di distacco ultraterreno, come si può notare nell’ incipit del secondo tempo. La delicatezza, l’accortezza, anche una malcelata tenerezza rappresentano il DNA che Schliessmann conferisce alla sua lettura dell’ Arabeske , e il suo rallentare su nuvole di sospensione fanno virare questa pagina nei meandri di un mondo onirico, come se l’ascoltatore più che ascoltare vedesse il progressivo dipanarsi del materiale sonoro. Da notare come l’artista bavarese abbia voluto ripresentare nel secondo SACD un’altra
Burkard Schliessmann, al centro, con Daniel Brech, a sinistra, che ha messo a disposizione il magnifico Steinway utilizzato per la registrazione, e con il produttore di registrazione Julian Schwenkner, a fianco.
esecuzione della stessa Op. 18, offrendo una lettura ancora più diafana, più intima, maggiormente trasognata nella sua essenza, come a voler ribadire che la musica schumanniana tende incessantemente a modificarsi, a cangiare nelle sue peculiarità per via del suo perenne sentore umorale. Attraverso l’interpretazione dei Fantasiestücke Op. 12 Burkard Schliessmann penetra nei meandri del fiabesco, in cui il primo degli otto brani della raccolta, Des Abends , rappresenta la porta d’ingresso. E anche nei momenti più irruenti, come l’ Aufschwung , vi è sempre nel suo pianismo una patina di evidente irrealtà, in cui sentori onirici, fantasmagorici, illusori alimentano la materia musicale. Ma questo continuo richiamo all’irrazionalità, al connotato fantastico vengono resi dal pianista bavarese attraverso una forma perfettamente dominata, con le linee marcate nettamente, spesse quel che basta per trattenere i colori e le sfumature. E lo stesso vale per quei brani, come Grillen e il conclusivo Ende von Lied , in cui le pennellate umoristiche sono rese con un infantile (nel senso schumanniano del termine, ovviamente) entusiasmo che si rende palpabile, trepidante (e ciò grazie a un sapiente utilizzo della pedaliera). Tra gli otto Fantasiestücke dell’Op. 12 e i tre dell’Op. 111 ci sono quattordici anni di distanza ma, sotto un certo punto di vista, la temperie, l’ingenuità genuina e una sedimentazione giovanile annidata nell’animo del loro autore presenti in entrambe le raccolte, non li fanno minimamente avvertire. E Schliessmann restituisce con la dovuta freschezza, con quell’irrequietezza magica quanto si annida anche nell’Op. 111, senza però dimenticare anche un timbro che va a farsi vaporoso in quei momenti di
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