GrooveBack Magazine 003

pausa, di improvvisa riflessione, così come l’inevitabile strato temporale che, volente o nolente, va a depositarsi nelle nostre vite. La disciplina del gesto, il suo rigore traspaiono poi nei Nachtstücke , in cui il magistero del passato, dei grandi del passato (Bach su tutti) viene evidenziato con sapienza e partecipazione, anche grazie a un dosaggio timbrico che è lezione di stile; ciò coinvolge anche l’apporto contrappuntistico, la costruzione polifonica che va ad innevarsi perfettamente nell’arcata (penso al secondo brano, il Markiert und lebhaft). Certo, apparentemente ci sarebbe da domandarsi che cosa ci possa essere di “notturno” in questi quattro brani, tutti in tonalità maggiore, ma in realtà qui Schumann (e parallelamente Schliessmann) ci fanno comprendere come le ore notturne per il poeta, per il musicista, per entrambi, possano essere foriere di “produttività”, di articolazione intellettuale, di fervore creativo. Ovviamente, il pianista bavarese non avrebbe potuto concludere questo excursus nella “folle lucidità” schumanniana se non con gli straordinari Gesänge der Frühe , saggio esemplare dell’ultimo pianismo del genio di Zwickau, dove la modernità, l’avvenire del pianismo si stemperano in un rigore classico, in modo da far “incastrare” idealmente i cinque brani che compongono il ciclo, ma che allo stesso tempo trasformano questo capolavoro pianistico in un vero e proprio rompicapo interpretativo per via delle sue molteplici sfaccettature armoniche che vanno a mutare incessantemente il costrutto espositivo. E qui Schliessmann è quantomeno “olimpico”, capace di sbrigliare, di sciogliere le asperità e i nodi che sotto le sue dita vengono sempre al pettine, decodificando i mutamenti con un’agogica che è squisitamente elastica, duttile, cangiante. Tutto questo senza sacrificare l’espressività, il grido di dolore che si alza muto e al quale Schumann affida il suo ultimo strazio, prima che la sua lucidità assoluta, quella che appartiene solo ai folli geniali, lo consegni alla gogna di Endenich. Da un punto di vista tecnico, la registrazione di questi tre SACD rappresenta una vera e propria impresa, a cominciare dalla scelta dello strumento, uno straordinario Steinway D-612236, dotato alternativamente di due tastiere, ciascuna con diversi sonorità, suoni e intonazioni. Una tastiera ha prodotto un suono brillante e luminoso, mentre l’altra ha prodotto un suono caldo e scuro. Il produttore di registrazione Julian Schwenkner, insieme con l’ingegnere del suono Jupp Wegner, ha utilizzato una tecnologia all’avanguardia, utilizzando quattordici microfoni (tra cui dei microfoni a nastro Coles 4038 e Royer R121, così come dei leggendari microfoni a valvole Neumann M49) per offrire un’esperienza Dolby Atmos realizzata nei Teldex Studios di Berlino. Così, l’impostazione tecnica e l’attrezzatura sono state fondamentali per catturare le complessità delle composizioni di Schumann durante il processo di registrazione. Chi possiede un impianto d’ascolto di qualità, non potrà non apprezzare la notevolissima velocità dimostrata dalla dinamica ma, allo stesso tempo, anche la naturalezza che riesce a sprigionare, fino a restituire le più tenue sfumature, così come la differenza del suono manifestata dall’uso alternato delle due tastiere. Il parametro del palcoscenico sonoro riesce a rendere l’immagine dello strumento nell’ambienza dello studio, non solo calandolo nella sua ampiezza, ma facendo percepire chiaramente lo spazio che si trova intorno al pianoforte, il quale, anche per via della sofisticata

microfonatura, risulta essere ravvicinato, senza compromettere l’irradiazione del suono, che va a riempire correttamente e magnificamente tutto l’ambiente di ascolto, quindi ben oltre la presenza dei diffusori. La perfetta microfonatura è andata poi a gestire il modo a dir poco ottimale l’equilibrio tonale, con la possibilità di discernere sempre, compresi i passaggi in fff e in ppp , il registro medio-acuto e quello grave, cosa che nella musica pianistica di Schumann è di fondamentale importanza, con un’attenzione assoluta dei relativi scontorni. Da ultimo il dettaglio, il cui elemento tattile raggiunge livelli realmente audiofili, con una percezione fisica del pianoforte di grandissimo impatto, per cui si avverte distintamente una dimensione tridimensionale dello strumento, oltre a permettere un ascolto che non conosce mai fatica, un aspetto assai importante questo, se si tiene conto che complessivamente oltrepassiamo le due ore e mezza di ascolto.

Robert Schumann – Fantasies : Burkard Schliessmann (pianoforte) 3 SACD Divine Art ddc 25753

Giudizio artistico: Giudizio tecnico:

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