Quando abbiamo deciso di dare vita a questa nuova rivista, il nostro primo pensiero, scontato e inevitabile in questi casi, è stato quello di sperare che sollevasse un certo interesse nei confronti del mondo dei cultori della buona musica, che fosse classica, jazz, rock e d’autore, e di quello di coloro che vogliono ascoltarla con la dovuta qualità e fedeltà di riproduzione. Una rivista che, a differenza di altre del settore già presenti sul mercato, fosse per il lettore del tutto gratuita, scaricabile in formato Flipbook, PDF ad alta risoluzione, oppure stampata attraverso un prodotto di nicchia, elegante, lussuoso, destinato volutamente a coloro che desiderano collezionare un periodico di pregio, destinato a restare nel tempo.
STORIE | MUSICA | ASCOLTI | HI-FI
Ozzy Osbourne Lunga vita al “re delle tenebre”!
Chick Corea Introduzione alla sua leggenda Steve Hackett Il gentleman della chitarra Claudio Monteverdi I Contrafacta dei suoi madrigali Velut Luna I primi trent’anni di vita
Enotorre Records Sampler 2025 – In questo numero l’album digitale > download gratuito
Da Vinci Classics Sampler – in questo numero l’album digitale > download gratuito
ANDREI GAVRILOV • MARTHA ARGERICH • ROBERTO ARONICA LUIGI ATTADEMO • GILDA BUTTÀ • VICTORIA TEREKIEV • KSENIA MILAS MARCO SOLLINI • ARIOSO FURIOSO TRIO • ANGELO MARCHESE ALESSIO BIDOLI • ENSEMBLE LA SELVA • BALTAZAR ZÚÑIGA ACCADEMIA DEGLI IMPERFETTI • PIERMARCO VIÑAS • MATTEO CORIO MARIA DE MARTINI • SALVATORE CARCHIOLO • DANIEL RIVERA ENRICO FAGONE • ORCHESTRA DA CAMERA DI MANTOVA • JOO CHO MARINO NAHON • ALESSANDRO MARIA CARNELLI • DANIELA NUZZOLI OLAF LANERI • JUSTINA AUŠKELYTĖ • CESARE PEZZI • INGRID CARBONE SCHOLA CANTORUM BARENSIS • GILBERTO SCORDARI • GIOVANNI DE CECCO GIORGIO MATTEOLI • ENSEMBLE FESTA RUSTICA • MAURIZIO PACIARIELLO Testina Zhige K101H Dischi & giradischi (seconda parte) Intervista a Paolo Carrer P R O M O DA VINCI CLASSICS
Issue 6 GrooveBack magazine
A volte sono spaventato di essere Ozzy Osbourne. Ma mi sarebbe potuta andare anche peggio. Avrei potuto essere Sting” Ozzy Osbourne
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Istruzioni per l’invio del materiale sonoro e promozionale alla redazione. supporti sonori e audiovisivi (CD, LP, DVD), i libri e il materiale promozionale in genere vanno inviati a: MCC Via Kennedy 44, 35034 Lozzo Atestino (PD) Non forniamo riscontri sull’arrivo del materiale e su eventuali recensioni o articoli che sarà possibile verificare solo direttamente sulla rivista o sul web magazine.
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Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Acciai, Simone Bardazzi, Andrea Bedetti, Michele Benignetti, Andrea Bin, Francesco Cataldo Verrina, Alvaro Gradella, Noemi Manzoni, Riccardo Mozzi, Stefano Rossi.
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Editoriale Si è chiuso un cerchio, nel senso che siamo arrivati ormai al numero sei, ossia un anno di vita di Grooveback Magazine . E, tirando le somme, per ciò che riguarda il riscontro dell’interesse e della curiosità che ha saputo stimolare, non possiamo che essere soddisfatti, se non lusingati. Sì, perché con i primi cinque numeri abbiamo sfondato quota diecimila downloads complessivi. Un risultato che non solo ci conforta, ma che ci convince che il sentiero intrapreso, con la nascita di questo progetto editoriale, è quello che in fondo ci proponevamo, ossia quello di offrire qualcosa di completamente nuovo, sia in termini di contenuti, sia nel progetto grafico. Continuiamo, dunque, a guardare avanti, a cominciare dal numero in oggetto, la cui copertina è dedicata al “re delle tenebre”, ossia Ozzy Osbourne, che ci ha lasciati lo scorso 22 luglio. A lui e alla band di cui è stato il deus ex machina , i Black Sabbath, ci parlano Simone Bardazzi e Stefano Rossi, facendo chiarezza tra la realtà del personaggio e la leggenda che si è costruita nel corso del tempo, con quest’ultima che ha inevitabilmente sfuocato e fuorviato il suo messaggio artistico. Abbiamo anche voluto omaggiare i trent’anni di vita di una etichetta discografica che ha fatto della qualità artistica e di quella tecnica la sua ineludibile filosofia di registrazione, la Velut Luna di Marco Lincetto. A tale proposito, sempre della label veneta, uno spazio è stato dato a una sua recente produzione, la versione per pianoforte e quartetto per archi del Concerto n. 2 di Sergej Rachmaninov a opera della pianista Eliana Grasso. Restando sempre nel solco della musica classica, c’è il fondamentale contributo di Giovanni Acciai dedicato ai Contrafacta di Claudio Monteverdi, l’intervista fatta da Michele Benignetti al pianista Igor Roma e l’incursione suggerita da Noemi Manzoni, nel rapporto tra letteratura e musica, su come i compositori classici abbiano attinto dalla straordinaria opera di Luigi Pirandello. Tornando al rock, quello prog , ancora Stefano Rossi ha intervistato in esclusiva Steve Hackett, il leggendario chitarrista dei Genesis, oltre a parlarci del suo ultimo disco e del concerto che ha tenuto a Vicenza. Sul versante jazz, un importante contributo di Francesco Cataldo Verrina sull’opera di Chick Corea, al quale ha anche dedicato recentemente un libro. Altra novità: da questo numero avremo anche una rubrica fissa di recensioni discografiche consacrate alla classica, curata dal sottoscritto, al jazz con la penna di Cataldo Verrina e al rock con il contributo di Bardazzi. E poi altre due “chicche”: la presentazione di GRooVE back Radio , con la voce prestigiosa di Alvaro Gradella, attore e famoso conduttore radiofonico, e la nascita di una nostra nuova “creatura” editoriale, Audiophile Hi-Fi , il cui primo numero sboccerà tra qualche settimana. Infine, nella sezione Hi-Fi, la seconda e ultima parte di Dischi & giradischi di Andrea Bin, la recensione di un fonorivelatore cinese, dall’incredibile rapporto qualità/prezzo, curata da Riccardo Mozzi, e la mia intervista a Paolo Carrer, uno dei più visionari ingegneri del suono in circolazione. di Andrea Bedetti
Buona lettura a tutti!
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Sommario
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Editoriale
Il nostro CD: la Enotorre Records 14 Ozzy Osbourne, il re delle tenebre 22 Ozzy Osbourne e i Black Sabbath 30 Enotorre Records, dischi e buon vino 34 Pirandello e la musica 38 Alla scoperta di Chick Corea 48 Il concerto n. 2 di Rachmaninov in versione da camera 54 Steve Hackett: una vita spericolata 62 I Contrafacta dei Madrigali di Claudio Monteverdi 70 Igor Roma, un universo chiamato pianoforte 76 Velut Luna, trent’anni di assoluta qualità 84 In giro per la classica 92 Nel regno del jazz 98 Rock e dintorni 102 La radio di GRooVE back Magazine 104 Il fonorivelatore Zhige K101H 108 Dischi & giradischi (seconda parte) 116 Paolo Carrer, il “guardiano del suono perfetto” 126 Nasce Audiophile Hi-Fi 128 I critici musicali: vil razza dannata!
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Tutti i diritti di riproduzione dei testi pubblicati sono riservati. La riproduzione anche parziale di testi, documenti e fotografie è vietata.
La filosofia di questa label è presto detta: bandire ogni tipo di trattamento e non effettuare alcuna manipolazione al mixer nel totale rispetto del segnale audio originale. Conosciamola meglio, dunque, anche attraverso il sampler di brani che ha confezionato appositamente per la nostra rivista Il nostro CD: la passione per il jazz secondo la Enotorre Records
alta qualità riservati ai singoli strumenti, delle apparecchiature di registrazione e dei cavi di segnale e alimentazione utilizzati. Tutti questi accorgimenti tecnici sono dettagliatamente elencati nel booklet di ogni singolo CD realizzato. Sulla base di ciò, come si può ben intuire da parte degli appassionati, la Enotorre Records lavora in modo certosino nella fase di preproduzione, ottimizzando il più possibile la registrazione in modo da ridurre all’essenziale il lavoro di post- produzione al mixer , un lavoro che si limita esclusivamente al taglio dei tempi morti tra un brano e quello successivo. Naturalmente anche la scelta di utilizzare per la registrazione i convertitori Merging Technologies Horus System ha contribuito a ottenere questo risultato il cui file audio finale, oltre ad essere presente in streaming nelle maggiori piattaforme musicali, può essere scaricato anche in formato liquido Hi-Res Music . Grazie a tutti questi accorgimenti, «il risultato audio ottenuto si caratterizza per doti timbriche assolutamente naturali, livelli di dinamica reali e non artefatti, armoniche
di Andrea Bedetti
Questa guida all’ascolto ci permette di conoscere una nuova realtà discografica italiana, l’etichetta friulana Enotorre Records che è nata, grazie al giornalista e audiofilo Roberto Rocchi e ad Antonio Sarcinelli Postiglione, proprietario dell’Enoteca La Torre a Spilimbergo, in provincia di Pordenone, con lo scopo di realizzare registrazioni prevalentemente dal vivo e di stampo audiofilo il cui contenuto qualitativo sia incentrato sulla naturalezza di emissione. Come specifica la stessa label nelle note di presentazione alla sua iniziativa, «troppo spesso registrazioni
piacevolmente percepibili, immagine sonora plastica e concretamente tridimensionale, il tutto non propriamente scontato per quanto riguarda le registrazioni dal vivo». Così, per presentare al meglio i suoi risultati di registrazione Roberto Rocchi, che ho anche avuto modo di intervistare in questo stesso numero, ha voluto confezionare per i nostri lettori un sampler “su misura”, estrapolando nove tracce in Hi-Res Music dai primi tre titoli pubblicati dalla Enotorre Records.
definite di “riferimento audiofilo”, pur essendo di ottima qualità, presuppongono l’intervento al mixer sul segnale audio, compromettendo in questo modo la purezza del segnale originale». Al contrario, «le registrazioni Enotorre Records non hanno subito alcun trattamento e nessuna manipolazione al mixer nel totale rispetto del segnale originale». Un altro particolare assai importante, proprio in virtù della massima naturalezza e genuinità del suono da riprodurre, la label friulana ha scelto di registrare dal vivo ogni evento musicale acustico, accettando tutti i rischi che tale decisione comporta. Così, per le riprese audio dal vivo si è rivolta ad Artesuono di Stefano Amerio (che collabora spesso con la ECM di Manfred Eicher), uno studio di registrazione dotato di microfoni di assoluto pregio e delle migliori tecnologie disponibili per la ripresa audio digitale. Quindi, si è posta massima attenzione nella scelta dei microfoni di
A questo punto, andiamo a esaminare insieme la nostra tracklist . 01. Ode to Elvin (Danilo Memoli)
Il brano che apre il sampler è anche quello che ha dato il via all’avventura discografica della Enotorre Records con il CD Live at enotecalatorre del Massimo Chiarella Quartet guidato dal batterista autodidatta Massimo Chiarella, che si avvale di una batteria Gretsch, accompagnato da David Boato alla tromba (una tromba jazz Savut DB), da Danilo Memoli al pianoforte Yamaha U3 e Riccardo Di Vinci al contrabbasso, uno strumento artigianale rumeno. Ode to Elvin è stato composto da Danilo Memoli, un brano piacevolmente melodico che esalta, di volta in volta, i quattro strumenti, forgiando una struttura altamente efficace ed equilibrata.
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02. Sandbox (Leni Stern) Questo pezzo è incluso nel secondo CD della casa discografica friulana, anch’esso intitolato Live at enotecalatorre è Sandbox della chitarrista bavarese Leni Stern, e vede protagonista il New Thing Jazz Quartet, con Maurizio Pagnutti alla batteria, Mirko Cisilino alla tromba a valvole e al trombone, Nicola Barbon al contrabbasso e Bruno Cesselli al pianoforte. Qui è da notare come il suono del quartetto debba fare i conti con i rumori d’ambienza particolarmente presenti, con il risultato che l’ascoltatore sembra realmente inserito nel palcoscenico sonoro riprodotto. 03. Oclupaca (Duke Ellington) Oclupaca è un brano del “Duca” ed è intriso da un tipico sound afrocubano che qui viene ritoccato in chiave squisitamente jazz ancora dal Massimo Chiarella Quartet in un’interpretazione più “colta” e raffinata, dipanando una tessitura che resta quasi sospesa nell’aria e che non viene “disturbata” minimamente dagli avventori di quella serata. Semmai, da notare la naturalezza palpabile del suono dei quattro strumenti, che risultano essere “cristallini” per via della purezza dell’emissione timbrica. 04. Do You Know What It Means To Miss New Orleans (Eddie De Lange, Louis Alter) Qui ci troviamo di fronte a una “pietra miliare”, una canzone scritta da Eddie De Lange e Louis Alter per il film New Orleans, girato nel 1947 e diretto da Arthur Lubin. In quella pellicola la canzone fu eseguita da un duo d’eccezione, ossia con la tromba di Louis Armstrong e con la voce di Billie Holiday. Louis Armstrong ne registrò anche diverse altre versioni e la rese una sorta di suo inno personale legato alla sua città natale. A proporla in questa registrazione è ancora il New Thing Jazz Quartet e la sua interpretazione è talmente magica da magnetizzare l’ascolto degli avventori di quella serata. 05. Webb City (Bud Powell) Da un classico all’altro, visto che il quinto track del sampler presenta questo celeberrimo brano del grande pianista newyorkese, un tributo al trombettista Freddie Webster e risalente al 1946, quando venne registrato per la prima volta. In questa registrazione della Enotorre Records, Webb City chiude il CD del Massimo Chiarella Quartet, con ovviamente Danilo Memoli che si carica sulle spalle il quartetto, ottimamente assecondato dai tre compagni di avventura. 06. On the Lion (Walter Bishop Jr.) Anche questo pezzo è quello che conclude il secondo CD della casa discografica friulana, dedicato alla serata dal vivo del New Thing Jazz Quartet. Si tratta di un brano eseguito da un altro notevole pianista, il newyorkese Walter Bishop Jr., e composto da Jackie McLean. Data la verve che lo contraddistingue, in grado di coinvolgere tutti gli interpreti che lo eseguono, è il degno finale con il quale si è conclusa la serata e, di conseguenza, il disco in questione.
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07. Stanley’s Time (Stanley Turrentine) Questo brano è un altro classico senza tempo, Stanley’s Time di Stanley Turrentine. A proporlo, dal terzo CD della Enotorre Records, è il Madness Organ Trio, formato da Mauro Costantini all’organo Nord C2D, Daniele D’Agaro al sax e U.T. Gandhi alla batteria. Un trio che celebra la tradizione dell’organo jazz con un approccio contemporaneo e dinamico. Oltre all’organo Nord C2D, il sax è un Conn New Wonder II del 1928 e la batteria è una Yamaha con pelli Evans EQ1; il tutto è capace di creare un sound unico che spazia dai classici del jazz alle composizioni originali. La registrazione dal vivo cattura idealmente l’energia e la spontaneità di questa formazione, la quale sa alternare momenti di intensa groove a delicate ballate. 08. Take Your Pick (Hank Mobley) Si continua con il Madness Organ Trio che si esibisce in un pezzo che il sassofonista Hank Mobley volle inserire nel suo album Roll Call registrato nel novembre del 1960 e che vide la presenza di Freddie Hubbard alla tromba, Wynton Kelly al pianoforte, Paul Chambers all contrabbasso e Art Blakey alla batteria. Insomma… una cosuccia da nulla. Ma qui, Mauro Costantini, Daniele D’Agaro e U.T. Gandhi non sono certo da meno! 09. Night in Wien (Mauro Costantini) Il sampler della Enotorre Records si conclude con una composizione dello stesso organista Mauro Costantini del Madness Organ Trio, un pezzo che pone in risalto il dialogo tra le affascinanti timbriche dell’organo Hammond e il sax, un dialogo che no disdegna anche aspetti puramente virtuosistici, come per l’appunto quello che Costantini sviluppa nella parte centrale della composizione, con un assolo che manda in visibilio i presenti.
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Personaggio e artista del tutto unico del palcoscenico rock inglese dell’ultimo mezzo secolo, il leggendario cantante di Birmingham ci ha purtroppo lasciati recentemente. Il nostro collaboratore Simone Bardazzi ne tratteggia la sua inimitabile vita, fatta di molti eccessi e clamorose provocazioni, ma anche scandita dal desiderio di comunicare con la musica e con le canzoni i suoi disagi e il suo enorme bisogno di amore Ozzy Osbourne, il “re delle tenebre” tra genio, follia e redenzione
Ora, c’è qualcosa di più buffo della nipotina di Ozzy Osbourne che balla e sorride guardando in televisione il nonno cantare un brano dei Black Sabbath, agghindato da principe delle tenebre? Non proprio il nonno rassicurante, che ti chiama in un angolo del salotto per allungarti un paio di euro per il gelato. Eppure, proprio di queste contraddizioni è fatta la vita di Ozzy. Quando si parla di lui, è inevitabile che l’eco dei Black Sabbath risuoni in sottofondo. Tuttavia, oltre il mito fondativo dell’ heavy metal , c’è un Ozzy solista che ha tracciato un cammino personale unico, visionario, e spesso autodistruttivo, che ha saputo reinventarsi, sopravvivere a se stesso e diventare una delle figure più iconiche della cultura pop globale. Questa è la storia di John Michael Osbourne dopo i Sabbath: un uomo in guerra con i suoi demoni, ma anche un artista instancabile, un padre di famiglia, e un’icona transgenerazionale. Il giovane Ozzy John Michael Osbourne nasce nel 1948 a Birmingham. Infanzia e adolescenza sono segnate dalla povertà e dalle difficoltà scolastiche. Crescere nel dopoguerra in una famiglia operaia nel quartiere di Aston non fu facile. I genitori lavoravano sodo per mantenere ben sei figli in una piccola casa. Ozzy stesso ha spesso raccontato di come la sua infanzia fosse priva di lusso, ma ricca di affetto familiare, anche se il rapporto
di Simone Bardazzi
con il padre non era fra i migliori. La scuola repressiva della Gran Bretagna post-bellica fu per lui un’esperienza frustrante. Soffriva di una severa dislessia (che al tempo non veniva diagnosticata), che gli rendeva difficile leggere e scrivere. Gli insegnanti lo consideravano svogliato e ribelle, e spesso lo punivano perché non seguiva le lezioni. Ozzy odiava la scuola, che lasciò - senza alcun diploma - all’età di quindici anni, più o meno come tanti inglesi al tempo, essenzialmente per lavorare. Così, la dislessia rimase una delle cause della sua insicurezza e della sua fame di attenzione.
Ozzy Osbourne bambino, cresciuto nella povertà nel quartiere operaio di Birmingham.
Per un breve periodo, Ozzy fece i più disparati lavori: operaio in una fabbrica, idraulico, e addirittura in un mattatoio, esperienze che probabilmente hanno contribuito a formare il suo lato oscuro e la sua sensibilità macabra. La musica, in particolare la nascente scena rock britannica, divenne il suo rifugio e la sua speranza. In quel momento, per un giovane senza soldi e prospettive, vi erano due possibili “ascensori sociali”: il calcio e il rock. L’ispirazione per il secondo ascensore gli arrivò dall’ascolto di She Loves You dei Beatles alla radio. I quattro di Liverpool erano stati come lui giovani figli della guerra, senza prospettive. Ora viaggiavano per il mondo sfuggendo a una vita di povertà e di anonimato. La sua carriera musicale iniziò a prendere forma negli anni Sessanta. Si comprò un impianto voce, e iniziò a cercare una band. Suonava in diversi gruppi locali, ma non riusciva a trovare la propria cifra stilistica. La sua voce, potente ma con un timbro
Ozzy Osbourne in una tipica espressione del suo personaggio.
Antefatto Sono in spiaggia. Mi chiama il nostro direttore e mi chiede: «Senti, Simone, hai saputo che è morto Ozzy Osbourne. Ti andrebbe di confezionare un articolo che lo ricordi?». Sarà un caso, ma prima di rispondere, alzo lo sguardo e, poco distante da me, c’è un famiglia sotto l’ombrellone. Figli piccoli. Il padre ha la faccia di Ozzy tatuata sul braccio destro. Sarà il destino, chissà… «Sì, certo, lo faccio!».
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unico e gutturale, non era adatta a tutti i generi. La svolta arrivò nel 1968, quando rispose a un annuncio su un giornale locale scritto da un batterista di nome Bill Ward. Bill e Ozzy si conobbero e si misero alla ricerca di altri membri. A loro si unirono ben presto il chitarrista Tony Iommi e il bassista Geezer Butler. Tutti quanti condividevano il medesimo background operaio.
Il secondo disco, Diary of a Madman (1981), confermò il successo del primo e mostrò un lato più maturo e riflessivo di Ozzy. Tuttavia, la tragedia colpì presto: nel 1982, Randy Rhoads morì in un incidente aereo. Fu un colpo devastante per Ozzy, che cadde in una spirale autodistruttiva da cui solo l’amore di Sharon sembrava poterlo salvare. Gli anni Ottanta: eccessi, successi e scandali Nonostante la tragedia, Ozzy continuò a pubblicare dischi. Bark at the Moon (1983) segnò il ritorno sulle scene, con Jake E. Lee alla chitarra. Con il suo paraphernalia horror , il trucco teatrale, i videoclip spinti, Ozzy divenne ben presto una figura centrale della nuova MTV generation. I
I Black Sabbath, quindi, nascono - come un migliaio di altre band inglesi del tempo, ispirati dal blues e dal beat. Ma quale fu - brevemente - il momento scatenante per la nascita del loro sound ? Secondo quanto riportato dal bassista Geezer Butler, tutto nacque dopo aver visto i King Crimson esibirsi al Mothers Club, mentre suonavano una loro straniante versione di
Ozzy Osbourne e Sharon Arden nel giorno del loro matrimonio, celebrato alle Hawaii il 4 luglio 1982 (© Kelly Osbourne).
Ancora Ozzy in una foto del 1975, ai tempi del suo sesto album con i Black Sabbath, Sabotage.
suoi tour - sempre più spettacolari - contribuirono a costruire il mito. In quegli anni, però, emersero anche i suoi lati più controversi. Ozzy divenne il bersaglio delle associazioni cristiane conservatrici americane. Fu accusato di istigare al suicidio con canzoni come Suicide Solution e di adorare Satana. In realtà, Osbourne affrontava spesso, seppur con ironia, i temi dell’alienazione, della depressione e dell’autodistruzione. Nel 1986 uscì The Ultimate Sin , disco controverso, troppo levigato per alcuni, ma contenente la hit Shot in the Dark , che ampliò il pubblico di Ozzy. Un anno dopo, pubblicò Tribute , album live dedicato a Randy Rhoads, che servì da celebrazione e da catarsi personale. Con No Rest for the Wicked (1988), Ozzy introdusse un nuovo prodigio alla chitarra: Zakk Wylde, che divenne una colonna portante della sua band nei decenni a venire. L’album segna un ritorno a un sound più aggressivo e heavy , pur mantenendo le melodie tipiche dello stile sabbathiano. Lo stile grezzo, imbevuto di southern rock, infatti, faceva di Wylde un comprimario perfetto per la voce di Osbourne. Più rock, più intenso e più immediato. Un sound che alle soglie degli anni Novanta, ben si sposava con i rinnovati gusti del pubblico, che stava prendendo le distanze dalle produzioni plastificate degli anni Ottanta. Gli anni Novanta Negli anni Novanta, Ozzy pubblicò alcuni dei suoi album più solidi: No More Tears (1991), probabilmente il suo capolavoro solista, contiene brani che oggi sono classici assoluti, come la t itle track, Mama, I’m Coming Home e Road to Nowhere . La ballata Mama, I’m Coming Home è particolarmente significativa: scritta per Sharon, rappresenta una delle prime dichiarazioni d’amore sincere nella discografia di Ozzy. Il brano segnò anche un riavvicinamento a un pubblico mainstream , lontano dall’immaginario metal classico. I testi, si facevano via via più introspettivi e meno teatrali. Nel 1992 Ozzy annunciò il suo ritiro con un tour intitolato No More Tours . Durò poco. Il bisogno del palco era troppo forte.
Mars, the Bringer of War dalla suite The Planets del compositore Gustav Holst. Un ascolto catartico dato che, il giorno dopo, la band si mise al lavoro su un suono che ne seguisse la falsariga: potente, trionfale, super distorto e lentissimo. Gli ingredienti principali del suono doom che hanno affascinato, in seguito, band diversissime. Un salto in avanti nel tempo: l’uscita dai Sabbath e la rinascita solista Nel 1979, i Black Sabbath diedero il ben servito ad Ozzy Osbourne. Droghe pesanti, alcol e un caratteraccio ai limiti dell’inaffidabilità i motivi principali. Fu la fine della sua carriera? Ovviamente no. Come nelle migliori favole - in questo caso nere, anzi nerissime – c’è sempre un deus ex machina . In questo caso, fu sua moglie Sharon Arden, figlia del potentissimo manager Don Arden, che decise di credere in lui. Da lì, la sua totale rinascita: non solo una nuova carriera musicale, ma anche un matrimonio destinato a durare tutta la vita. Nel 1980 esce Blizzard of Ozz , il primo album solista di Ozzy. Un debutto folgorante, contenente brani come Crazy Train, Mr. Crowley (leggendaria la sua intro di synth ) e Suicide Solution . L’album miscelava tematiche oscure ed esoteriche con riff trascinanti e una produzione moderna. Al suo fianco, un giovane chitarrista destinato a diventare leggenda: Randy Rhoads. Il sodalizio tra Ozzy e Rhoads avrebbe definito il suono dei primi anni Ottanta. Il virtuosismo classico di Rhoads e la teatralità vocale di Osbourne erano un connubio perfetto. Con i suoi riff incisivi e i suoi assoli virtuosistici, Rhoads non è un semplice chitarrista di supporto, ma un vero e proprio co-protagonista. La sua tecnica, influenzata sia dal metal che dalla musica classica, dà vita a brani complessi, ma al contempo orecchiabili, perfetti per il mainstream .
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Negli anni successivi pubblicò Ozzmosis (1995) e fondò l’Ozzfest, festival itinerante che diventò un punto di riferimento per la scena metal e alternativa, dando spazio a nuove band come Slipknot, System of a Down, Limp Bizkit, Tool, Mastodon, Incubus, Marilyn Manson e Rob Zombie, ma anche veterani come Judas Priest, Iron Maiden, Metallica, Slayer, Pantera, Megadeth. Dopo il trionfale tour di No More Tours - che, ironicamente, non fu dunque l’ultimo - Ozzy pubblica, come già ricordato, Ozzmosis . Uscito nel 1995, questo album è un progetto più sperimentale e riflessivo, caratterizzato da un sound più moderno, ma dalle fosche tinte gotiche. Con lui, il chitarrista Zakk Wylde, il bassista Geezer Butler, storico sodale, il batterista Deen Castronovo e persino Rick Wakeman, leggendario tastierista degli Yes. Il risultato? Una miscela unica di heavy metal, rock progressivo e atmosfere cupe. Ozzy per le famiglie, fra ironia e reality Il vero colpo di genio arrivò però nei primi anni 2000, quando Ozzy divenne protagonista del reality The Osbournes su MTV, al fianco di Sharon e dei figli Jack e Kelly. Il programma mostrava il lato più umano, disfunzionale e bizzarro della famiglia, con un Ozzy spaesato, in difficoltà, ma irresistibilmente autentico. Ozzy, preoccupato per i figli, un po’ ansioso e un po’ rockstar in declino, che litiga con la moglie e si occupa dei cani, teneva incollate al video migliaia di persone in tutto il mondo. «Non raccolgo la merda dei cani», sbraitava, «sono una rockstar!».
a sopravvivere. Ma accanto a questa autodistruzione c’è sempre stata Sharon, non solo manager e moglie, ma la sua ancora di salvezza. I due hanno vissuto momenti drammatici, non privi di episodi di violenza domestica - come quando nel 1989 Ozzy tentò di strangolarla sotto l’effetto di droghe - ma sono sempre rimasti insieme. I figli di Ozzy hanno avuto carriere intermittenti, ma spesso al centro della narrazione familiare. Jack, dopo varie dipendenze, è diventato documentarista e conduttore, mentre Kelly ha intrapreso una carriera musicale e televisiva. Il nuovo millennio Nel 2001, Ozzy fa uscire Down to Earth . L’album segna un nuovo capitolo, con una line up rinnovata che include il chitarrista Zakk Wylde e il batterista Mike Bordin dei Faith No More. Il sound è più diretto e meno stratificato rispetto a Ozzmosis , con un ritorno alle radici heavy metal in grande stile. Black Rain del 2007 rappresenta un momento significativo nella carriera solista di Ozzy. Dopo sei anni dal fortunato Down to Earth , ritorna con un album che mescola l’aggressività del metal classico con sonorità più moderne e accessibili. Prodotto da Kevin Churko e scritto assieme al chitarrista Zakk Wylde, il disco è un crocevia di generi, con brani che passano da riff potenti e veloci a ballate struggenti e profonde.
La famiglia Osbourne ai tempi del famoso reality The Osbournes trasmesso da MTV; con Ozzy e la moglie Sharon, i figli Jack (a sinistra) e Kelly (a destra).
Le telecamere lo riprendevano mentre si lamentava dei vicini e affrontava i drammi adolescenziali
dei propri figli, il tutto condito dalla sua inconfondibile voce bofonchiata, dal suo incancellabile accento british e un umorismo involontario. Il reality lo trasformò da icona metal a una vera e propria celebrità pop globale. Ma per quale motivo The Osbournes piacevano tanto, a grandi e piccini? Difficile spiegarlo in poche battute. Tanto per fare un esempio, in una scena divenuta leggendaria, Ozzy se la prendeva con il telecomando della televisione. Confuso dai numerosi pulsanti, finiva per rimanere bloccato sul canale del meteo. «Sono un uomo semplice», urlava «adesso hai bisogno di un computer per accendere e spegnere la cazzo di TV! Schiaccio un pulsante e parte la doccia!». La vita privata: amore, dipendenze e redenzione L’abuso di sostanze ha segnato ogni fase della sua vita. Dalla cocaina all’alcol, dai farmaci agli psicofarmaci, Ozzy ha più volte dichiarato di non sapere come abbia fatto
The last show: Ozzy Osbourne durante l’ultimo concerto, tenuto con i Black Sabbath il 5 luglio di quest’anno al Villa Park di Birmingham, esattamente diciassette giorni prima di morire.
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Il 2010 si apre con la pubblicazione di Scream , un punto di svolta nella sua carriera. Dopo una pausa di quasi sei anni da Black Rain del 2007, Ozzy torna con una formazione rinnovata. L’album è il primo a non vedere la partecipazione di Zakk Wylde alla chitarra, al suo posto subentra Gus G., un talentuoso chitarrista greco che apporta una ventata di freschezza al sound . Gli anni successivi a Scream sono dominati da un evento epocale: il ritorno dei Black Sabbath. Nel 2013, la formazione storica (Ozzy, Tony Iommi e Geezer Butler) pubblica 13, un album di inediti acclamato dalla critica, seguito da un tour mondiale trionfale. Questo progetto assorbe gran parte delle energie di Ozzy, mettendone in pausa la carriera solista per qualche anno. Il tour di addio dei Black Sabbath, soprannominato The End , si conclude nel 2017. Questo evento segna un momento di profonda riflessione per Ozzy, che sembra pronto a ritirarsi dalle scene. Tuttavia, la sua natura di “ performer ” non gli permette di stare fermo a lungo. L’annuncio del tour di addio alla carriera solista, No More Tours 2 , crea grande entusiasmo tra i fan, ma viene poi interrotto a causa di una serie di problemi di salute. Vecchiaia e fragilità Dopo una diagnosi di Parkinson nel 2019, interventi chirurgici alla colonna vertebrale e numerose complicazioni fisiche, Ozzy interrompe la sua attività live , ma non smette di pubblicare album. Nel 2020 è il turno di Ordinary Man , prodotto da Andrew Watt, con ospiti come Elton John, Post Malone e Slash. Album acclamato per la sua sincerità e il tono crepuscolare. Seguito da Patient Number 9 (2022), che vede la collaborazione di Jeff Beck, Eric Clapton e del vecchio partner Tony Iommi, dimostrando che Ozzy, pur con un corpo fragile, è stato un gigante creativo fino alla fine. Oltre il personaggio Ozzy Osbourne non è stato solo un cantante, ma un autentico simbolo di resilienza, follia e autenticità. Ha attraversato decenni di cambiamenti musicali, sociali e culturali mantenendo un’identità inconfondibile e diventando un’ispirazione per quanti abbiano suonato in una band. È diventato una figura familiare anche per chi non ascolta
metal . È stato parodiato nei cartoni animati ( South Park e Simpsons fra i tanti), citato nei talk show , amato da doomers , metallari, punk, goth, rapper, fan della musica classica e del jazz. Ma soprattutto Ozzy è stato un alacre lavoratore. Non si è mai veramente fermato, neanche nei periodi più bui, dimostrando, sino al celebrato concerto di addio, pochi giorni prima della sua scomparsa, che la volontà è superiore a qualsiasi avversità.
Il tributo floreale lasciato da centinaia di fans davanti all’abitazione di Ozzy Osbourne nei giorni successivi alla sua scomparsa.
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Al di là del suo percorso da solista, il “re delle tenebre” è stato legato anche alla celeberrima band che ha dato vita al genere dell’heavy metal; il loro è stato un rapporto difficile, ma esaltante, che Stefano Rossi ricostruisce in questo articolo Ozzy Osbourne e i Black Sabbath, amore e odio senza fine
Iniziamo da una delle informazioni che più vengono citate, quei Black Sabbath che hanno inventato l’ heavy metal . Non è vero o, meglio, non è del tutto vero. Il metal come lo intendiamo oggi sarebbe nato molti anni dopo, certamente ispirandosi anche alle esperienze di band come quella di Osbourne. I Sabbath hanno invece dato senza dubbio un impulso notevole alla crescita dell’hard rock, soprattutto quello più viscerale, assieme ad altri “colleghi”: dai Led Zeppelin ai Deep Purple, dagli Uriah Heep agli Aerosmith (con qualche distinguo), tanto per citare alcuni nomi famosi.
di Stefano Rossi
La conferma arriva anche da altri artisti: «A mio parere, i Black Sabbath sono coloro che hanno dato vita a ciò che siamo soliti considerare heavy metal e non c’è una band in giro oggi che non sia influenzata, in una qualsivoglia misura, dal gruppo». A dirlo è Peter Steele, leader dei Type O Negative, nel corso di un’intervista a stradanove.net nel 1999. Certamente i Black Sabbath hanno avuto un enorme impatto sulle generazioni successive. A loro sono riconosciute influenze dirette e indirette su diversi generi musicali: heavy metal, thrash metal, stoner rock, grunge e doom metal .
Scrivere della figura di Ozzy Osbourne, mancato lo scorso 22 luglio a poche settimane dallo storico concerto d’addio del 5 luglio a Birmingham, sarebbe assolutamente facile da un lato e difficile dall’altro. Sarebbe infatti assai semplice descrivere in modo “populistico” la figura del folle ribelle che ha incarnato l’energia degli anni Settanta, mentre sarebbe assai più difficile mettere a fuoco proprio l’uomo, quel “Mr Osbourne” che tanto ha lasciato alla musica rock.
Ozzy Osbourne nel 1975, all’età di venticinque anni.
Vogliamo in questa occasione, anche per omaggiare in tutte le sue sfaccettature la figura di Ozzy Osbourne, non tanto fare il classico “coccodrillo” che molti giornalisti hanno da tempo nel cassetto, quanto ripercorrere le vicende umane e artistiche del musicista, cercando di non scadere in facili trappole da quattro soldi. Vogliamo subito sfatare un altro mito? Quello del pipistrello? A raccontarci come veramente è andata è qualcuno che era veramente presente e assai vicino sul palco: Don Airey, che con il suo Hammond affiancava Osbourne in quel periodo. Alcuni anni fa Airey passò in Italia, partecipando come selezionatore al “Premio della Critica” di Vicenz@NetMusic, una rassegna che Il Giornale di Vicenza dedicò per tantissimi anni alla musica emergente della provincia. In quell’occasione, tenne un incontro nel corso del quale raccontò proprio come andò quella serata. «Ecco la vera storia del pipistrello di Ozzy sul palco con i Black Sabbath. Qualcuno l’aveva lanciato sul palco e lui lo raccolse; pensando che fosse di plastica, ha iniziato ad andare su è giù per il palco tenendo la testa in bocca. Poi improvvisamente lo ha sputato perché l’aveva morso... Ozzy in camerino era spaventato e quindi siamo andati in ospedale dove gli hanno fatto quattro iniezioni per sicurezza. Quando è uscito, la sua espressione non era tanto felice… E infatti, al concerto successivo, avevamo appena iniziato con “Over the mountain” che è collassato ed è caduto a terra per le iniezioni. Noi ci siamo guardati come dire: “Cosa facciamo?” e… siamo andati avanti a suonare».
Il gruppo dei Black Sabbath in una foto degli anni Settanta (Ozzy Osbourne è il primo a destra).
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A prima vista, la carriera artistica di Ozzy Osbourne potrebbe sembrare quella di tanti altri cantanti e musicisti che calcarono (e calcano ancora) le scene. John Michael Osbourne nacque a Marston Green, in Gran Bretagna, il 3 dicembre 1948. Figlio di quella classe operaia che negli anni Sessanta e Settanta ha creato un vero e proprio movimento sociale e artistico, crebbe a Birmingham, lottando giorno dopo giorno con la dislessia, la balbuzie e una forma di disturbo da deficit dell’attenzione. Leggendario, ma in questo caso vero, fu lo scontro adolescenziale con un certo Anthony Frank Iommi, “quel” Tony Iommi con il quale avrebbe condiviso parte della carriera artistica. Apriamo qui una prima parentesi: molti legano la figura di Osbourne ai Black Sabbath che, seppure siano stati un vero e proprio trampolino di lancio per l’artista, non furono per molto tempo l’incarnazione del temperamento di Osbourne. L’inizio era stato assai promettente: chi scrive ricorda l’energia e la passione provate dopo l’ascolto di brani come, uno su tutti, Paranoid . Ma la vita dei musicisti negli anni Settanta era fatta anche di eccessi di tutti i tipi, pure di logorio e tutto ciò portò ben presto alla sua fuoriuscita sul finire dei Seventies dai Sabbath. Ed ecco il primo tentativo, poco fruttuoso, di mettere a fuoco il proprio talento, con band che durarono solo pochi mesi e spesso non andarono oltre il primo demo. E
Sharon, che seppe tirarlo fuori dal nascondiglio nel quale si era cacciato. Una figura molto importante fu anche quella del chitarrista Randy Rhoads, deceduto il 19 marzo 1982 nel bel mezzo di un tour per un banale e stupido incidente aereo, causato dall’autista e pilota Andrew Aycock. Osbourne, che stava dormendo nel bus, non assistette al tragico incidente, anche se un’ala dell’aereo colpì l’autobus, senza fortunatamente che ci fossero conseguenze tra coloro che stavano all’interno dell’automezzo, ma la morte di Randy segnò visibilmente il “re delle tenebre”. All’incidente assistette invece proprio Don Airey che era appena sceso dallo stesso aereo, dopo un primo volo fatto da Aycock.
anche il nuovo riavvicinamento ai Black Sabbath durò poco, lo spazio di un (criticato) album come Never say die! . Così, se la prima volta era stato lui ad andarsene dai Black Sabbath, questa volta furono i Sabbath a prendere le distanze e ad allontanarlo per i suoi eccessi, anche se a quanto pare non erano, né più né meno, dissimili, nei loro comportamenti, da quelli incarnati e vissuti da tante altre personalità del mondo della musica del tempo. La lista, a tale proposito, sarebbe decisamente lunga. Qui, però, ha inizio il momento migliore di Ozzy Osbourne, con una carriera solista decisamente cercata con le unghie e i denti e attraverso la quale ha saputo creare alcune cose giustamente entrate nella storia. Come anche in altri momenti bui, Ozzy ebbe la fortuna di avere al suo fianco la (futura, a quel tempo) moglie
Il “re delle tenebre” e la sua band nel 1980, ai tempi dell’album Blizzard of Ozz. Da sinistra: Bob Daisley, Lee Kerslake, Ozzy Osbourne e Randy Rhoads.
Ad ogni modo, in quegli anni il successo aveva arriso a Osbourne, con due album come Blizzard of Ozz (1980) che conteneva tra gli altri Crazy train e Mr. Crowley e Diary of a madman (1981). Il risultato di questi successi nacque anche grazie all’unione di molte genialità del mondo musicale: bisogna infatti pensare che molti del componenti della band avevano militato in formazioni importanti, come gli Uriah Heep, quella leggendaria di Gary Moore, i Quiet Riot e i Rainbow. Al contrario, gli anni successivi furono complicati, sia per il continuo avvicendarsi di musicisti nella band, sia per le vendite altalenanti. A questo punto, ancora una volta, intervenne Sharon che, oltre a essere diventata sua moglie, era anche divenuta la sua manager, che lo spinse a risolvere i problemi legati ancora agli eccessi. Proprio in questo periodo si inserisce una curiosità: nel 1986 esce The Ultimate Sin , realizzato con una nuova formazione che, per via delle sonorità hair metal , da
Randy Rhoads, uno dei più importanti chitarristi della scena hard rock, collaboratore fondamentale per Ozzy Osbourne e morto in un tragico e stupido incidente aereo il 19 marzo 1982.
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un lato riscosse buone vendite, dall’altro, però, alienò parte dei suoi fan che non apprezzarono quell’improvvisa svolta. Inoltre, il tour di presentazione venne intrapreso con una band di supporto esordiente a quell’epoca e destinata a ritagliarsi un pezzo di storia mica da poco dell’ hard rock : i Metallica. Un anno prima, il 13 luglio 1985, Ozzy si era riunito a Iommi, a Butler e a Ward nella formazione storica dei Black Sabbath per partecipare a un evento a dir poco unico, il Live Aid . Una nuova, quanto mai importante svolta fu segnata dall’arrivo in formazione del chitarrista Zakk Wilde, che restò poi al fianco di Osbourne per quasi tutto il proseguo della sua carriera artistica. In questo periodo, precisamente nel 1991, arrivò il maggiore successo (commerciale, ma anche di critica): No more tears. Anche in questo caso ad aiutare Ozzy nella stesura dei brani ci furono nomi di rilievo, da Zakk
Sepultura, Judas Priest, Metallica e Pantera) al fianco delle allora “nuove leve”: System of a Down, Marilyn Manson, Papa Roach, Rob Zombie, Biohazard, Lacuna Coil, Coal Chamber, Linkin Park, Slipknot. Korn. Ma che la vita e la carriera di Osbourne fossero “cicliche” lo dimostra il fatto che, ancora una volta, il “re delle tenebre” fu costretto a ritirarsi nuovamente dalle scene, alla fine degli anni Novanta, per risolvere i suoi soliti problemi di dipendenza dalle droghe e dall’alcol. Il nuovo millennio si apre con il suo ritorno e con la pubblicazione di Down on Earth , al quale partecipano nomi illustri: torna Zakk Wylde e
La band di Ozzy Osbourne nel 1988, tre anni prima del clamoroso successo rappresentato dall’album No more tears. Da sinistra: Zakk Wylde, Randy Castillo, Geezer Butler (in basso) e Ozzy Osbourne.
arrivano Robert Trujillo al basso (a quel tempo ex Suicidal Tendencies, che di lì a poco sarebbe poi entrato nei Metallica) e l’ex Faith No More Mike Bordin alla batteria. È un decennio, questo, che vede l’artista attivissimo, fra tournée , album e addirittura un reality show sulla vita della sua famiglia per MTV. Il secondo decennio, dopo una prima smentita, si apre con un clamoroso annuncio dato esattamente, tanto per essere chiari, l’11/11/2011 alle 11.11…), ossia della reunion con i Black Sabbath, con all’orizzonte un disco nuovo e una tournée . E finalmente nel 2013 vede la luce 13, il primo album con Ozzy Osbourne alla voce dai tempi di Never Say Die . Sono anni che fanno registrare un andamento altalenante per Ozzy, scanditi tra nuovi album e i primi gravi problemi di salute, con il Parkinson che gli viene diagnosticato proprio durante la promozione del nuovo disco. Ma sarà proprio il successivo Patient Number 9 a diventare uno dei maggiori successi di Osbourne: il disco debutta in seconda posizione nella classifica britannica, miglior debutto da solista in quarantadue anni di carriera e riceve, inoltre, ben quattro nomination ai Grammy Awards 2023: “Migliore album rock”, “Miglior interpretazione metal” per Degradation Rules e “Miglior canzone rock” e “Miglior interpretazione rock” per Patient Number 9 . Ma è anche il momento in cui Ozzy non può più concedersi le esibizioni dal vivo, a causa della sua salute alquanto instabile. E che il tramonto stia in un certo senso incombendo sulla sua parabola artistica, lo testimonia simbolicamente il fatto che nell’autunno del 2024 fu accettato come solista nella Rock and Roll Hall of Fame , nella quale era già entrato dal 2006 come membro dei Black Sabbath. Quella è stata una delle ultime soddisfazioni, assieme al concerto finale Back to the beginning (vedi il box), organizzato a Birmingham il 5 luglio 2025 per celebrare la sua carriera, sia con i Black Sabbath, sia come solista.
Zakk Wilde, l’altro grande chitarrista che prese il posto di Randy Rhoads e che restò al fianco di Osbourne per quasi tutto il proseguo della sua carriera artistica.
Wylde a Randy Castillo, da Mike Inez a Lemmy Kilmister, leader dei Motörhead. Il tour mondiale culminò nello storico concerto al “Pacific Amphiteatre” di Costa Mesa il 15 novembre 1992, durante il quale salirono sul palco anche Iommi, Butler e Vinny Appice, ma non il cantante Ronnie James Dio, che di lì a poco avrebbe a sua volta lasciato i Sabbath. Terminato il tour, Ozzy Osbourne si prese un periodo di un paio di anni per rimettersi in sesto dagli immancabili eccessi e ci fu perfino anche chi disse che intendesse ritirarsi. E invece, come la proverbiale araba fenice, rieccolo, instancabile, ritornare nel 1995 con un nuovo album ( Ozzmosis ) e un nuovo tour mondiale, che aveva un titolo che la diceva lunga sulle intenzioni di Ozzy: Retirement sucks , letteralmente “la pensione fa schifo”. Proprio in questi anni l’artista di Marston Green inizia a organizzare, assieme alla moglie Sharon, l’ Ozzfest , il festival che vedrà la partecipazione di “vecchie glorie” dell’ hard’n’heavy (come Motörhead, Slayer, Iron Maiden, Megadeth, Foo Fighters,
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Fu una sorta di coup de théâtre , quasi un testamento artistico, visto che solo poche settimane dopo il 22 luglio se ne andò a sorpresa all’età di 76 anni nella sua casa del Buckinghamshire a causa di un infarto, lasciando una foltissima schiera di “figli d’arte” e discepoli in tutto il mondo. A questo punto, eccoci a tirare le somme. Senza voler fare sensazionalismi gratuiti, si può dire senza ombra di dubbio che il mondo del rock non sarebbe, e non sarebbe stato, lo stesso senza il “re delle Tenebre”. Perché? In fondo, come artista non aveva una preparazione particolare, né era un musicista vero e proprio. Ma aveva talento, un’energia quasi primordiale e la capacità di incanalarla verso una visionarietà del tutto particolare. Così come nella poesia, anche nel mondo del rock di “maledetti” è stato pieno il mondo, soprattutto fra i Sixties e i Seventies . Ma Ozzy ha saputo andare sicuramente oltre, incarnando quella ribellione ai luoghi comuni e quell’energia di cui sotto sotto prima, più in superficie poi il periodo degli anni Sessanta e Settanta è stato permeato. Nonostante a un primo sguardo la sua carriera musicale possa apparire poco coerente, a un esame più ponderato si nota un filo che unisce tutta la sua esperienza. E questa sua energia è stata compresa e apprezzata non solo dai suoi fan, ma anche a testimonianza del suo valore artistico da una lunghissima serie di musicisti di valore con i quali ha collaborato, molti dei quali anche grazie all’esperienza con lui sono poi diventate stelle di primo piano del panorama mondiale.
The last show… Da tempo giravano voci su una possibile, finale reunion dei Black Sabbath. E proprio all’inizio di quest’anno, dopo che le chiacchiere si erano fatte più insistenti, era giunta la conferma: il 5 febbraio 2025 fu annunciato un grande evento nella natia Birmingham, a Villa Park, nel corso del quale Ozzy Osbourne si sarebbe esibito un’ultima volta, dopo vent’anni di assenza dal palco, proprio con la formazione storica dei Black Sabbath: Tony Iommi alla chitarra, Geezer Butler al basso e Bill Ward alla batteria. L’appuntamento, fissato per il 5 luglio, non era però dedicato solo ai Sabbath; l’evento di celebrazione avrebbe spaziato su tutta la sua carriera, sia con la band sia come solista. La serata fu intitolata Back to the beginning e vide sul palco una serie di mostri sacri chiamati a celebrare la leggenda Osbourne. La scaletta ha visto sul palco Mastodon, Rival Sons, Anthrax, Halestorm, Lamb of God, Tom Morello’s All Stars (supergroup A), Jack Black, Alice in Chains, Gojira, Tom Morello’s All Stars (supergroup B), Pantera, Tool, Slayer, Fred Durst, Guns N’Roses, Metallica e infine Ozzy Osbourne e i Black Sabbath. Per i suoi brani da solista, Osbourne è stato affiancato da una formazione composta da Zakk Wylde (chitarra), Adam Wakeman (tastiere), Mike Inez (basso) e Tommy Clufetos (batteria); per tutta la serata Ozzy ha cantato seduto su un trono. Il concerto ha avuto una durata di circa dieci ore. Non è stato certo il migliore per la voce di Ozzy Osbourne, ma sicuramente quello più “umano”, con il cantante a ripercorrere un’intera vita di successi e a incassare l’inchino dell’ hard’n’heavy di tutto il mondo. Tutti i proventi del concerto sono stati devoluti in beneficenza. S.R.
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(© Kevin Mazur for The Rock and Roll Hall of Fame)
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