GrooveBack Magazine 006

Autore di un libro dedicato proprio al pianista italo-americano, appena pubblicato su Amazon, il nostro collaboratore Francesco Cataldo Verrina in questo articolo introduce i lettori alla figura e all’opera di questo geniale musicista, instancabile ricercatore di suoni sempre diversi e multiformi, rendendo vano ogni tentativo di identificarlo in un genere preciso e definitivo L’anticonformismo armonico di Chick Corea: itinerari fra bebop, avanguardia e sinfonismo elettrico di Francesco Cataldo Verrina

Il percorso artistico di Armando Anthony «Chick» Corea si presenta come una delle parabole più sfaccettate e fitte di significati della musica afroamericana del secondo Novecento, una vicenda in cui il rigore formale convive con l’ardimento visionario, e in cui la fedeltà alla tradizione jazzistica si accompagna a un’incessante tensione centrifuga verso territori inusitati. La sua formazione, immersa fin dall’infanzia nel repertorio pianistico europeo, lo predispose a un linguaggio in cui la disciplina contrappuntistica e le armonie modali si fondevano con le pulsioni improvvisative ereditate da Bud Powell a Horace Silver, senza però mai ricadere in mere ripetizioni di stilemi preesistenti. L’approdo nel circolo newyorkese degli anni Sessanta lo mise in contatto con figure decisive quali Mongo Santamaria, Blue Mitchell e Stan Getz, attraverso i quali il giovane pianista affinò una sensibilità armonica che avrebbe trovato pienezza solo nell’incontro con Miles Davis. La partecipazione agli esperimenti elettrici del quintetto davisiano segnò una frattura, poiché Corea si trovò a declinare il proprio vocabolario pianistico in una dimensione in cui la ricerca di timbri saturi e la dilatazione ritmica imponevano di concepire il pianoforte come un generatore di tessiture sonore, piuttosto che come mero strumento di accompagnamento. Tale fase, documentata in incisioni come Filles de Kilimanjaro, In A Silent Way o Bitches Brew , costituì un laboratorio per il futuro linguaggio fusion che avrebbe alimentato la sua produzione successiva.

All’indomani della stagione davisiana, Corea abbracciò un’estetica radicalmente differente con il collettivo Circle, accanto ad Anthony Braxton, Dave Holland e Barry Altschul. In questa esperienza, intrisa di spirito avanguardistico, l’improvvisazione si spingeva verso una libertà prossima alla disgregazione, generando una musica spesso aspra, disseminata di spigoli e rarefazioni, nella quale l’impianto accordale veniva dissolto in favore di un dialogo interattivo che si faceva processo collettivo. Tuttavia, la sua natura di costruttore di forme non poteva permanere a

lungo in quella medesima dimensione, così nacque il progetto Return To Forever, autentica pietra miliare della stagione fusion . Con i Return To Forever, Chick elaborò un linguaggio sincretico che teneva insieme il lirismo iberico, assimilato sulla scorta di una smisurata fascinazione per Joaquín Rodrigo e la cultura flamenca, con la spinta ritmica brasiliana incarnata da Flora Purim e Airto Moreira, fino a giungere a una dimensione quasi orchestrale con la successiva fase elettrica del gruppo. Album come Light As A Feather e Romantic Warrior appaiono versati nel costruire ambientazioni sonore in cui i sintetizzatori, lungi dall’essere semplici strumenti di moda, divenivano componenti indispensabili di una tavolozza armonica e un’aura fonica che ambiva a una vera e propria “sinfonicità” del jazz elettrico. Parallelamente, la dimensione cameristica e acustica non venne mai abbandonata. I duetti con Gary Burton rappresentano uno dei vertici assoluti dell’incontro fra improvvisazione jazzistica e sensibilità impressionista. Il dialogo pianistico- vibrafonico, sospeso in un equilibrio di trasparenze, riflette ciò che nel mio libro,

Chick Corea in una immagine della maturità.

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