GrooveBack Magazine 006

Nel delineare la duplice traiettoria di Chick Corea, quella acustica e quella elettrica, si ha l’impressione di confrontarsi con due modalità divergenti che tuttavia mantengono un medesimo nucleo poetico. Non si tratta di compartimenti stagni, bensì delle due declinazioni di un’unica concezione musicale, analoga al modo in cui, nella letteratura, un autore può mutare registro pur rimanendo fedele a un immaginario. Come un Thomas Mann che alterna il rigore sinfonico dei Buddenbrook alle tensioni metafisiche del Doctor Faustus , Corea passò dall’intimismo cameristico alla sontuosità elettrica senza mai tradire la propria fisionomia interiore.

più lo scarto improvviso, ma piuttosto una fluidità ipnotica, con modulazioni lente che sembrano evocare spazi immaginari senza confini. Sul piano ritmico, la presenza di Airto Moreira introduce una pulsazione latineggiante, fatta di micro-suddivisioni e di poliritmie sottili, che innestano un senso di circolarità, tanto che la scansione diventa più danza che tensione, trasformando il fraseggio pianistico in parte integrante del tessuto percussivo.

Un ulteriore capitolo del percorso acustico si rintraccia in Crystal Silence (1973), frutto di un dialogo con Gary Burton che raggiunge una purezza timbrica prossima all’estetica impressionista. Il vibrafono e il pianoforte si annodano in un tessuto di rarefazioni cristalline, in cui l’armonia si regge su sospensioni, modulazioni sottili, sovrapposizioni trasparenti che evocano il silenzio come spazio abitato. La scrittura di Chick, in tale habitat , assume il carattere di un haiku musicale, in cui poche note bastano a delineare un orizzonte poetico, simile all’essenzialità dei versi

Un esempio rivelatore del suo versante acustico si trova in Now He Sings, Now He Sobs (1968), lavoro con Miroslav Vitouš e Roy Haynes che rappresenta una sorta di manifesto pianistico. L’album mostra un equilibrio mirabile fra libertà improvvisativa e rigore costruttivo: le armonie quartali, l’uso di pedal point e la manipolazione di motivi essenziali evocano un clima in cui la tradizione bebop viene filtrata attraverso l’eredità di Bartók e Debussy. La musica si dispiega con la stessa chiarezza che ritroviamo nella prosa limpida di Italo Calvino, dove la precisione del

di Matsuo Bashō. Con Crystal Silence , il disegno armonico raggiunge un grado di trasparenza quasi ascetica. I voicing di Corea si riducono a pochi intervalli luminosi, spesso sospesi su quarte e none, lasciando ampi spazi di risonanza che si avvinghiano con le campane del vibrafono. In tale imbastitura, l’armonia non procede per funzioni né per progressioni modali marcate, ma per sospensioni e dissolvenze, dove ogni accordo diventa una scheggia di luce che rimane sospesa nell’aria. Ritmicamente, il tempo risulta rarefatto, dissolto in un respiro comune, mentre il discorso procede per ampie arcate, quasi a riprodurre il flusso naturale di una poesia giapponese, dove il silenzio assume lo stesso valore delle parole. All’opposto, troviamo Romantic Warrior (1976) dei Return to Forever che rappresenta l’apogeo della stagione elettrica. Il pianismo si tramuta in vera architettura sinfonica, mentre i sintetizzatori si moltiplicano, la scrittura si articola in forme quasi da poema sinfonico e la band, con Stanley Clarke e Al Di Meola, appare come una compagine cameristica trasfigurata in veste elettrica. Le armonie si ispessiscono, i ritmi si annodano in poliritmie complesse, generando una trama labirintica che ricorda la visionarietà barocca di Piranesi, con le sue «Carceri d’invenzione». L’elettricità diventa così veicolo di monumentalità, non mero strumento di moda. In Romantic Warrior , Corea porta il proprio flusso accordale all’estremo della complessità. I sintetizzatori moltiplicano le stratificazioni, creando sovrapposizioni policentriche che funzionano come veri e propri blocchi sinfonici. Ritmicamente, l’album appare simile a un turbine fatto di poliritmie ardite, repentini cambi di metro e sezioni che si succedono con una logica quasi da poema rapsodico. Tornando alla dimensione acustica, Trio Music (1981), ancora con Vitouš e Haynes, offre la possibilità di cogliere la continuità con le origini. Il pianoforte torna al centro, i motivi melodici emergono da nuclei semplici e vengono sviluppati con coerenza logica. In questa fase il pianista sembra dialogare con la lezione della musica da camera

dettaglio non ostacola il senso di leggerezza complessiva. In Now He Sings, Now He Sobs , il trattamento armonico privilegia accordi quartali e sovrapposizioni modali, spesso sostenute da pedali prolungati che consentono alla linea melodica di divincolarsi con libertà. L’armonia non funziona come meccanismo di risoluzione, bensì come campo aperto di possibilità. Il pianista lascia intravedere lo stesso interesse per gli intervalli larghi che caratterizzeranno anche la sua scrittura successiva, sebbene in questo contesto essi siano filtrati da una purezza acustica. Ritmicamente, il dialogo con Roy Haynes produce un flusso irregolare e spezzato, fatto di anticipazioni e sospensioni, dove la pulsazione si dilata o si contrae, in una sorta di continuum instabile che ricorda le scomposizioni metriche di un Pollock sulla tela.

Al polo opposto si colloca Return to Forever (1972), primo tassello dell’avventura elettrica, dove la presenza di Flora Purim e Airto Moreira proietta il pianismo coreano verso atmosfere impregnate, intrise di lirismo brasiliano. Le tastiere sostituiscono il pianoforte acustico, mentre la scrittura accordale si distende in progressioni modali che sembrano inseguire una dimensione quasi mistica. I tessuti sonori si dilatano in maniera cinematografica, come se la musica volesse evocare taluni paesaggi di Gabriel García Márquez, sospesi fra realtà e magia. L’elettricità non agisce qui

come artificio tecnico, ma come strumento di trasfigurazione fonica. In Return to Forever , l’approccio armonico diventa più disteso, quasi contemplativo. Le sequenze di accordi, spesso fondate su progressioni modali, vengono illuminate dall’uso del Rhodes, che accentua la morbidezza e la continuità timbrica. Le strutture non cercano

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