dinamico in modo tale che le traiettorie risultanti seguano un andamento desiderato o più semplicemente convergano a una configurazione di equilibrio. Sulla base di queste premesse, è particolarmente desiderabile ottenere tale risultato in maniera ottima, secondo uno specifico indice di prestazione all’origine del cosiddetto problema di controllo ottimo. Quest’ultimo può essere matematicamente formulato come un problema di ottimizzazione caratterizzato da un orizzonte temporale finito oppure infinito. Lo studio di tale disciplina rivela che, così come le differenze tra le nozioni di finito e infinito non sono limitate ad aspetti
quantitativi, così anche le politiche decisionali ottime posseggono una natura qualitativamente diversa tra loro nei due casi. La durata dell’orizzonte di programmazione assume di fatto un ruolo marginale. La vera scelta da compiere, più concettuale che numerica, è invece se sia più rilevante ottimizzare l’evoluzione transitoria oppure il comportamento di regime permanente di un sistema dinamico. Non ci si rende probabilmente conto che la differenza tra finito e infinito in problemi di controllo ottimo influenza
invadente di quanto ci si potrebbe immaginare.
Per comprendere come questo accada è necessario tornare indietro di quasi un secolo, quando avvenne uno dei più eclatanti cambi di paradigma da ottimizzazione infinita a finita. Alla fine degli anni ‘20 infatti l’evidente ottimismo degli economisti nel formulare problemi di ottimizzazione su orizzonte infinito, con l’obiettivo di pianificare investimenti e consumi per la crescita di lungo periodo, viene bruscamente interrotto dal celebre aforisma di John Maynard Keynes il quale afferma che «in the long run, we are all dead». Ovvero, usando le parole che precedono la più celebre citazione, « The long
la vita quotidiana in maniera molto più
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