L’INFINITO NON È ABBASTANZA
di Gabriele Pulcini*
Come noto, Jorge Luis Borges fu per tutta la vita un appassionato lettore delle Mille e una notte . A questa sterminata raccolta di racconti orientali – nella sua casa a Buenos Aires ne conservava diciassette volumi! –, lo scrittore argentino dedicò una conferenza nel 1977. Nella sua relazione Borges osserva come il fascino del titolo sia fondamentalmente dovuto alla capacità della parola «mille» di rimandare a una quantità talmente grande
da evocare una lettura infinita. Di conseguenza, con l’aggiunta di «una notte» alle già infinite mille si intenderebbe ribadire, se non addirittura superare, questo senso d’inesauribilità narrativa. A supporto di tale intuizione, Borges rammenta al lettore l’espressione for ever and a day , talvolta utilizzata dagli inglesi per rafforzare il più comune for ever. A nche in questo caso si aggiunge
espressivi e retorici, quale senso può avere da un punto di vista matematico aumentare di uno l’infinito? Se aggiungo uno a una quantità infinita, non ottengo forse ancora lo stesso infinito? Un’interessante risposta a questo problema venne data nel 1874 dal matematico tedesco Georg Cantor, considerato oggi il padre fondatore della teoria degli insiemi. Attraverso l’applicazione del metodo della diagonale, Cantor dimostrò che l’infinito dei numeri reali
uno all’infinito per esaltarne l’effetto.
Al di là degli espedienti
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*Professore associato di Logica e Filosofia della scienza - gabriele.pulcini@uniroma2.it
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