All’epoca Poggioli ha 21 anni, è un giovane studente universitario e sta lavorando in modo febbrile alla sua prima fatica editoriale, un florilegio di poeti russi contemporanei, che vedrà la luce di lì a breve (La violetta notturna. Antologia di poeti russi del Novecento, 1933). Anni dopo, lasciata l’Italia fascista, si affermerà oltreoceano come studioso di slavistica e comparatistica: approdato a Harvard nel 1947, dal 1952 sarà Direttore del Dipartimento di Letterature comparate, fino a quando la sua vita verrà stroncata da un terribile incidente (1963). Ma torniamo alla missiva del giovane studente. Inviare al poeta russo le due sue traduzioni, una letterale e una in versi, apre l’ingresso nella sua officina traduttiva. Traspare, come in cartina di tornasole, ciò che il giovanissimo studioso vuole salvare. Perché il “trapianto” (l’espressione è di Poggioli) dal russo all’italiano riesca, e la poesia mantenga le sue funzioni vitali, bisogna preservare il ritmo del poeta. Il componimento di Ivanov, scritto nel 1919-1920, in una Mosca gelida e affamata, ritrae il poeta che si reca in slitta a trovare i suoi cari in un sanatorio fuori città: i versi ritmano la strada percorsa solcando campi desolati. La rigorosa simmetria sintattica del sonetto, in pentametri giambici, trasmette al lettore un senso di impotente immobilità. Poggioli percepisce questo elemento come prioritario e, pur volgendo il componimento in endecasillabi, mira a riprodurne la fisionomia, riproducendo il ritmo giambico dell’originale.
della sua attività più ampia di docente e mediatore culturale. Per lo studioso, al di là della scelta tra equivalenza metrica e equivalenza funzionale, compito prioritario del traduttore è rispettare una traduzione culturale, trovare un punto di equilibrio tra diverse tradizioni poetiche, nel rispetto e nella valorizzazione della diversità. Poggioli, d’altro canto, è comparatista in un periodo in cui lo studio delle letterature comparate significa, in qualche misura, ricostruire l’armonia in una realtà frantumata dalle guerre. Anche da qui nasce lo sforzo incessante di “tradurre i ritmi altrui”, non solo per divulgare, ma anche per ricostruire, sviluppare e rafforzare il dialogo tra paesi e culture – principio alla base della stessa cooperazione internazionale, intesa come spazio dinamico di ascolto reciproco, confronto e crescita, strumento prezioso per edificare la pace.
Questa attenzione al “ritmo altrui” s’inscrive in una concezione specifica
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