Uninews TorVergata #ritmi

La velocità con cui parliamo riflette anche la complessità del messaggio trasmesso. Quando stiamo per dire qualcosa di importante, poco familiare o difficile da pianificare (es. nomi propri, concetti astratti appresi da poco) tendiamo a rallentare. Anche la frequenza d’uso delle parole e la complessità delle sequenze sillabiche hanno un ruolo; infatti, parole più comuni (es. tartaruga) e strutture sillabiche più semplici (es. tar-) vengono articolate più rapidamente rispetto a parole rare (es. psicomotricista) o nessi fonologicamente complessi (es. psi-).

Con il tempo e l’aumento della competenza, però, la velocità di eloquio crescerà gradualmente, avvicinandosi sempre più a quella dei parlanti nativi.

Infine, la velocità di eloquio è stata associata anche a dimensioni psicologiche e sociali. Alcuni studi mostrano che i parlanti veloci (soprattutto gli uomini) sono percepiti come più oggettivi e competenti. Altre ricerche sostengono che una velocità di eloquio moderata ottiene valutazioni più alte rispetto a un parlato troppo lento o troppo veloce. Tuttavia, queste percezioni dipendono spesso dal ritmo dell’ascoltatore; infatti, valutiamo come più credibile, competente e socialmente attraente chi parla a una velocità di eloquio simile alla nostra. Insomma, la velocità con cui parliamo non è solo una questione di sillabe al secondo, ma un elemento che può fare la differenza nelle nostre interazioni comunicative.

Queste dinamiche si manifestano anche nel percorso di apprendimento di una lingua straniera. Nelle fasi iniziali, l’apprendente parlerà più lentamente, sia a causa della difficoltà nella produzione di suoni nuovi, sia per lo sforzo cognitivo richiesto dalla pianificazione del messaggio, dalla scelta del lessico e delle strutture grammaticali e dal controllo degli errori.

Fonti

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