GrooveBack Magazine 004

nel forum di turno. Inutile girarci intorno, lo zoccolo duro dell’audiofilia è costituito dall’infinito gioco del leva e metti di apparecchi, cavi, supporti, connettori, trattamenti acustici e chi più ne ha più ne metta.

certa costanza di riproduzione (a causa delle opzioni di stampa di un vinile e di registrazione di un nastro), cui oltretutto si aggiunge l’andamento a levare dei sistemi di riproduzione (giradischi/registratore a bobine). Con il digitale le cose in teoria si semplificano perché il file origine, almeno fino alla sezione digitale del DAC ha ottime possibilità di giungervi in modo perfetto; il tutto comincia a complicarsi a partire dalla sezione d’uscita dei DAC in poi, in quanto la stessa di volta in volta o fa riferimento a un chip o a un circuito a discreti, ovvero a delle valvole, il che

Questo ci deve far riflettere su un aspetto fondamentale, vale a dire che l’audiofilo in genere non punta al risultato ma al giro di giostra che si fa per raggiungerlo e, fra l’altro, questo risultato, se ci si fa caso, non è quasi mai il medesimo per due soggetti diversi, il che fa pensare che il senso della riproduzione audio sia quello di puntare all’ optimum individuale piuttosto che al risultato reale. Anche se negli anni Sessanta e Settanta gli oggetti rientranti nella categoria dei prodotti dell’Alta Fedeltà erano assai meno rispetto ad oggi e la stessa Hi-Fi era in un certo senso roba per pochi, c’erano già le prime avvisaglie di come l’abbinamento fra amplificatori e casse (si chiamavano così) non fosse così scontato. Ma è stato a partire dalla fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta (e quelli a seguire) che si è scatenato letteralmente tutto lo “scatenabile” e di fatto le odierne disquisizioni sull’Alta Fedeltà sono figlie delle stesse di almeno quaranta anni fa,

La coppia di diffusori Kef Ls60.

inevitabilmente porta la macchina di turno a “interpretare” il segnale audio. Vi faccio un esempio, da qualche anno ho un DAC della Pro-Ject, per la precisione il modello DAC Box RsII, che ha come opzione la possibilità di variare l’uscita fra stato solido e valvole. Ebbene, non appena si agisce sullo switch che consente di modificare la modalità d’uscita, la differenza all’ascolto si nota subito, senza contare che se ci si ingegna nell’operare un qualche tube rolling le differenze si fanno più pronunciate. Chissà cosa ne pensavano in quel di Sony/Philips, allorché lanciando il CD, probabilmente pensavano di aver azzerato le differenze fra apparecchio e apparecchio, tipiche dei molteplici set up possibili in ambito giradischi. Ora pensiamo a che cosa accade dopo, ossia coinvolgendo amplificatori, cavi, ciabatte, tavolini, diffusori, trattamento acustico! Insomma, la possibilità che si possa giungere al risultato auspicato, è pressoché nulla. Alcuni anni fa, produttori come Grundig (con i famosi modelli Studio) e B&O (uno per tutti il Beosystem) proposero dei sistemi all in one dove almeno la parte cavi/amplificazione veniva risolta concentrando in un unico dispositivo sorgente e amplificazione e in cui gli unici cavi erano quelli verso la presa di corrente e verso i diffusori. Indubbiamente, furono degli esempi concreti, ancorché all’epoca definiti non Hi-Fi, di come si potesse evitare tutta una serie di colli di bottiglia che, alla fine, si voglia o meno, inficiano la qualità di riproduzione di un sistema di Alta Fedeltà. Ma, paradossalmente, sono proprio questi colli di bottiglia che finiscono per alimentare quel clima da sangue e sabbia tipico di certe discussioni sul web che si animano oltremodo specialmente se si parla di cavi di qualunque genere. Ecco, l’aspetto paradossale è proprio questo, se teniamo conto che l’audiofilo dovrebbe ambire al famoso (fu definito così la prima volta credo alla fine degli anni Settanta) filo con guadagno, ossia a un sistema dove la traccia/file origine non subisca dall’inizio alla fine alcuna variazione significativa, se non un aumento di volume adeguato a

Il sistema Beosystem della B&O.

ne più e ne meno. Valvole piuttosto che transistors, cavi in rame piuttosto che in argento, accoppiare o disaccoppiare, trattamento acustico attivo o passivo, analogico o digitale, diffusori monovia o plurivia… E se a un certo punto invece si puntasse a eliminare le infinite possibili varianti per puntare con assoluta certezza a quello che dovrebbe essere, lo ripeto ancora una volta, il risultato? Sì, va bene, ma qualcuno giustamente a questo punto potrebbe obiettare: quale dovrebbe essere questo benedetto risultato? Quella che apparentemente appare una domanda senza risposta, almeno in teoria non lo è, perché poi nella realtà il tutto si disperde allorché si percorre la terra di mezzo costituita dai cataloghi che ogni costruttore propone per consentire all’appassionato di scegliere l’apparecchio che più si confà alle varie esigenze. Ma se adesso facciamo una breve riflessione sempre sul concetto del risultato, dovremo necessariamente partire dalla traccia o file origine che vogliamo riprodurre, e qui dobbiamo dare per scontato che il lavoro fatto a monte punti a consentire di fruire di musica e non di suoni, differenza non da poco. Quindi, l’unica possibile opzione che esiste per parlare realmente di Hi-Fi è che il contenuto di questa traccia/file origine giunga assolutamente intonsa alle nostre orecchie. Non ci vuole molto per capire quanto sia arduo il conseguimento di questo risultato, specialmente se parliamo di analogico, in quanto già l’ hardware da riprodurre (vinile/nastro) presenta caratteristiche per cui molto difficilmente si possa ottenere (diciamo pure che è impossibile) una

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