più musicale, profondo, “analogico” - suonerà meglio, vi avvolgerà, vi incanterà, vi trasmetterà una sensazione di fisicità, di matericità, che il file può solo approssimare. E si badi: la stessa cosa non avverrà se invece il confronto è fatto fra lo stesso file e il corrispondente vinile. Dunque, fra nastro e vinile c’è uno spazio, ampio, dentro il quale si posizionano molte realizzazioni digitali ad alta risoluzione. Ciò, naturalmente, sempre a patto che gli strumenti di riproduzione siano equipollenti in termini di classe realizzativa (e, ça va sans dire , di costo). Il discorso sui supporti di riproduzione musicale è un discorso complesso, si carica di molte cose che non hanno direttamente a che fare con le caratteristiche tecniche ma ineriscono la dimensione culturale, sociale, estetica. I recuperi storici di vecchie tecnologie sono spesso il frutto di sapienti strategie di marketing , il quale ultimo cerca di sopperire alle difficolta di mercato attuali con profonde siringate di passato, facendo leva - come si è già detto - sulla nostalgia (per gli ascoltatori di una certa età) e la curiosità (per quelli giovani). Il meccanismo del mito, nella sua declinazione data da Roland Barthes come struttura di senso costruita su codici passati quasi del tutto decontestualizzati, è sempre in azione e macina al suo interno mode, valori, esperienze. Ma il reel to reel è una cosa che ha un suo valore intrinseco, a prescindere da tutte le incrostazioni mitologiche che lo riguardano: suona dannatamente bene, suona meglio di qualunque altro sistema analogico, suona meglio di grandissima parte del digitale. Alcune chicche Oggi si può cercare qualche nastro commerciale sul web, a prezzi anche piuttosto bassi. Si tratta certamente di materiale vecchio e dunque occorre stare molto attenti: il rischio è di trovarsi fra le mani roba che si spezza con estrema facilità o, peggio, che sporca vistosamente le testine e il pinch roller del nostro Revox. Si può invece attingere al catalogo - da poco arricchito - di marchi blasonati come la Sony o specializzati come Hemiolia, a costi a volte sbalorditivi. Nel giusto mezzo si trovano case discografiche o testate giornalistiche che propongono titoli in bobina a prezzi più che sostenibili, varianti in un range da poco più di 120 euro a un massimo di 400 euro a seconda del formato scelto (due o quattro piste, 19 o 38 cms, bobina in plastica con attacco cine o in metallo con attacco NAB). La Analogy Records ha un catalogo di produzioni originali, spesso registrate live , che propone nel meraviglioso taglio del reel to reel . I titoli spaziano dal jazz al classico al pop d’autore, con dentro perle come i trittici di Peter Erskine (con la Marcotulli e Palle Danielsson) e di John Patitucci (con i fenomenali Brian Blade e Chris Potter). La Velut Luna ha da poco implementato un servizio golosissimo di tailoring musicale, confezionando su richiesta bobine per ogni titolo del suo ricchissimo catalogo. Abbiamo parlato, poco tempo fa, del sapido Project One di Marco lo Muscio. Un titolo che abbiamo ascoltato con emozione è Illegal Love , di Chiara Pastò, una meraviglia di calore e di profondità. AudioFileShop ha già da tempo la disponibilità di alcuni titoli, in confezioni eleganti, che offre a un prezzo convenientissimo, appena 199 euro, a fronte di un prodotto preparato a regola d’arte (bobine da 26 cm, registrate a due piste e a 38 cms). Da segnalare uno strepitoso concerto di Arturo Benedetti Michelangeli, dalla dinamica portentosa.
Lo Studer A80, quello che può essere definito la “madre” di tutti i registratori a bobine.
consolle che contiene anche i vu-meter). E questo solo per dire del marchio svizzero/ tedesco, il più blasonato, lo Studer/Revox appunto. Ma c’è una discreta abbondanza anche di altri marchi: Telefunken, Nagra, Akai, Pioneer, Technics, non tutti all’altezza del primo, ma in alcuni casi perfino superiori. La ricerca dei nastri pre-registrati d’epoca deve essere molto accorta: il rischio è quello di incappare in oggetti pericolosi per la salute del registratore, sporchi di residui metallici, fragili e dunque a rischio di rottura dentro il percorso della macchina, inascoltabili perché smagnetizzabili. Quando va bene ci si porta a casa quasi sempre registrazioni realizzate a quattro tracce e a 19 cms., il classico formato “commerciale”, ma siamo già dentro l’area dell’Hi-Fi per dinamica, correttezza timbrica, distribuzione spaziale. Se si riesce a mettere le mani su master copies registrate a due tracce e a 38 cms., realizzate a partire da master di produzione di seconda generazione, allora si concretizza pienamente la condizione per la quale l’affermazione che il reel to reel è la sorgente audio più performante in termini musicali - non potendolo essere, né mai potrebbe, in termini rigorosamente tecnici - diventa inoppugnabile. E diviene, con essa, palese la differenza fra fedeltà oggettiva ed esperienza di ascolto. Il reel to reel è esattamente questo: la prova provata che il jitter , la linearità, il campionamento, la risoluzione sono tutti fattori fondamentali nell’universo digitale ma letteralmente scompaiono - come elementi decisivi, pregnanti - nell’esperienza percettiva del nastro di alto livello. E non solo nel senso banale che in quest’ultimo caso si tratta di un’esperienza fatta nel dominio analogico, ma proprio nel senso che ciò che si ascolta è la cosa più vicina a una riproduzione reale, di strumenti reali, in uno spazio reale. Come cioè se fra l’evento registrato e la sua registrazione non si frapponesse nulla. Ciò fa sì che se confrontate un nastro a due tracce e a 38 cms. con il suo file corrispondente in DSD 256 (un’altissima risoluzione audio, a un passo dalla vetta del 512), il test vi sorprenderà: il nastro - per quanto il DSD sia il formato digitale
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