GrooveBack Magazine 004

una luce divina ed emette una tranquillità coinvolgente, non comune ad altri suoi dischi live , dove appare più inquieto e tormentato, a volte anche più algido e distaccato. Qualche obiettore di coscienza critica potrebbe affermare che questa è l’ennesima “furbata” della ECM, che organizzò un set live di tutto punto, con apparecchiature digitali e all’avanguardia per l’epoca, simulando un concerto, dove vengono trattati soprattutto alcuni gioielli dell’ American Songbook . Come dire: ti piace vincere facile? In realtà, la strategia di marketing che sottende l’iniziativa è arguta, ma sappiamo bene che i dischi rientrano in quella che viene chiamata arte come produzione, sono oggetti materiali e voluttuari, frutto dell’espressione artistica e dell’ingegno umano, ma stampati in serie, quindi devono essere venduti. Un album di musica contemporanea non è un quadro che si ammira e poi si torna a casa con il ricordo. In genere un disco lo si ascolta per radio, sul web, ma poi la strategia di marketing prevede un’operazione successiva, che si concretizza nell’acquisto. Si potrebbe aggiungere che Still Live sia un lavoro commerciale, poiché facile ed immediato, basato su temi e melodie immortali, ma questa non è una deminutio capitis . Soprattutto, la fortuna dell’ECM fu quella di incontrare un genio come Keith Jarrett. Avete mai sentito una versione più bella di Autumn Leaves ? Quella di Miles Davis, forse, ma non provate a cercarne altre di questa finezza, sareste perdenti e delusi. Jarrett è in uno stato di grazia e dai tasti zampilla l’ambrosia degli dèi. Il disco nella sua totalità è di una bellezza accecante, avendo racchiuso e ingabbiato un crogiolo di forti emozioni in uno di quei momenti irripetibili, quando tra i vari musicisti si crea una sorta di perfetto allineamento sinergico, come quello dei pianeti e l’ispirazione viene guidata verso un immaginario altrove da un armonioso incanto.

Bastano le prime note di My Funny Valentine , dove il fruitore è piacevolmente irretito, lasciandosi trasportare quasi sulle ali di una farfalla, mentre ogni singola nota sembra essere millesimata con perizia e cura, fino al sopraggiungere della già citata Autumn Leaves , spennellata con un’alternanza di tinte e trame sonore, dove il piano disegna passaggi che affluiscono come onde avvolgenti, mentre la retroguardia ritmica fornisce una linea guida pulita e lineare. When I Fall In Love usa la profondità delle note come arma di seduzione, la dolcezza e il lirismo del piano di Keith Jarrett, mentre il tappeto ritmico di DeJohnette e Peacock, quasi accennato e spazzolato, avvolge il costrutto sonoro del pianista, quasi a volerlo proteggere da interferenze esterne. Trattandosi di un live , si ha come l’impressione che il pubblico pagante sia come ipnotizzato, mentre The Song Is You viene srotolata sulla lunga distanza di sedici minuti, con estese traiettorie riservate alle fantasiose improvvisazioni di Jarrett, intercettate e sublimate da due sodali con un comping da manuale. In riferimento al set dei due LP in vinile, la terza facciata si apre con Come Rain Or Come Shine , una pioggia di note e un lampo di luce creativa, seguita da Late Lament . È questa la parte più intensa e romantica con schegge di lirismo e pathos perforanti. Descriviamo le sensazioni e non la musica, ma le progressioni armoniche e i cambi di passo del pianista sono frequenti e imprevedibili, senza che la quadratura melodica venga mai disattesa. La quarta facciata è quella più articolata e ricca di variazioni tematiche. La musica torna ad essere più impetuosa e le note si sollevano dal piano come onde del mare. Si comincia con la classica You And The Night And The Music , seguita da Extension , componimento a firma Jarrett, che ben si integra con il concept sonoro del progetto, così come l’intro aggiunto dallo stesso Jarrett a Someday My Prince Will Come , mentre la musica si tuffa nuovamente nell’abisso dei sentimenti, fino all’atto conclusivo, I Remember Clifford , dove la drammatizzazione musicale diventa quasi una messa in scena teatrale. Still Live ha rappresentato nel corso degli anni a venire un modello ispirativo per la classica formula del piano trio proiettato in una più moderna dimensione fatta di cambi veloci, momenti di calma apparente, discese ardite e risalite, dove ritmo, comping , improvvisazione, timing e unità di intenti esprimono una tecnica non comune. Jarrett veleggia come un impavido nocchiero sul suo pianoforte, tenendo ben stretto il timone del comando, mentre i suoi sodali garantiscono che la nave non perda mai la rotta. Il viaggio è lungo, ma l’approdo è sicuro. Analizzando la vasta discografia del pianista, è difficile trovare degli elementi di coerenza tra i vari album, se non per brevi periodi. Spesso ci siamo chiesti da che cosa nascesse questo suo perpetuo mutatis mutandis . Forse, la paura inconscia di ripetersi o di non voler replicare, a prescindere. La sua opera appare alquanto frastagliata e spesso poco catalogabile, in molti casi estranea a quelli che erano le prassi attuative del jazz. Jarrett, nel momento di massima espressività creativa, ha tagliato trasversalmente uno dei momenti più complessi e caotici della musica moderna. Gli anni Settanta furono tutto e il contrario di tutto, anni difficili per qualunque genere musicale, poiché ogni elemento tendeva a sovrapporsi e a mescolarsi, fondendosi in una specie di esperanto musicale, mai accettato dai puristi. Oltremodo parte di questo nuovo linguaggio risultò poco comprensibile alla moltitudine. Il breve periodo in cui Keith Jarrett si legò alla Impulse!, rimane uno di quelli più aderenti alla sintassi del jazz, sia pure con molte deviazioni.

Non ci sono quasi immagini del concerto di Keith Jarrett a Colonia. Qui, durante un concerto sull’Isola di Wight nel 1970. (Jean-Pierre Leloir)

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