GrooveBack Magazine 004

sequenze politonali. La superlativa tecnica pianistica è però sempre al servizio del parametro espressivo e in molte occasioni si mostra sotto le mentite spoglie di un’apparente semplicità. Per stessa ammissione del pianista, sappiamo che nessuno dei temi proposti è precotto. Tutto nasce al momento della performance e questo implica una serie di rischi, oltre a richiedere una preferenziale linea di connessione con l’invisibile. I presupposti possono apparire simili a quelli utilizzati nel Free totale (si pensi a Streams di Sam Rivers o Silent Tongues di Cecil Taylor), ma i risultati sono oggettivamente completamente diversi.

piuttosto comuni in molti studi prestigiosi) da Martin Wieland ed Eva Bauer-Oppelland. Il registratore a nastro utilizzato era un portatile Telefunken M-5, un’ottima macchina che ha contribuito a preservare timbro e dinamica originali. Tuttavia, il suono (complice la scarsa qualità dello strumento) è stato completamente riscolpito e rimasterizzato in studio. Non è però stata effettuata alcuna forma di editing : ciò che ascoltiamo corrisponde esattamente a ciò che è stato eseguito quella sera. Non possiamo però ignorare che la resa finale, cioè il sound che ci viene restituito in questa opera discografica, è figlia del determinante lavoro di post-produzione, volto a migliorare l’impatto timbrico e la coerenza del suono in generale. Di fatto quel lavoro a posteriori ha dato al disco una fisionomia timbrica inconfondibile, apprezzata persino dagli ascoltatori più esigenti. Quella sera, a Colonia, malgrado le pessime condizioni di partenza, fu consegnata alla storia la performance pianistica più amata e celebrata del grande pianista. Va inoltre ricordato come il Köln Concert è a tutt’oggi il disco per solo strumento più venduto di sempre, con oltre quattro milioni di copie. Non possiamo dunque che essere costretti a riconsiderare l’essenza del concetto di “perfezione”, che in questo caso viene rimessa in discussione, centrifugata e restituita in una forma, per certi versi contraddittoria.

Keith Jarrett si confronta con il leggendario produttore Manfred Eicher prima dell’inizio del concerto. (©Roberto Massotti)

Nel caso del Köln Concert sembra che la cellula germinale fosse stata ispirata dal suono della campanella del teatro, quella che segnala l’inizio del concerto. A conferma, si può sentire una risata partire dal pubblico proprio subito dopo che Jarrett ha intonato le prime note, a mo’ di imitazione. Da questa cellula motivica, di prosaica origine, inizia un viaggio di oltre un’ora caratterizzato da un’intensità espressiva unica. Il bis, nelle note di copertina identificato come Part II c, è di fatto l’unico brano che sembra aver avuto una minima preparazione. Si configura infatti come una variazione-rielaborazione di una composizione dello stesso Jarrett, intitolata Memories of Tomorrow . Dal punto di vista tecnico, sembra che per la ripresa sonora siano stati utilizzati solo due microfoni Neumann U-67 (eccellenti microfoni a condensatore a valvole,

Note audiofile

Nonostante le gravi carenze dello strumento (bassi deboli, alti metallici, pedale danneggiato), la registrazione colpisce per chiarezza e spazialità. Il posizionamento ravvicinato dei microfoni, unito all’esperienza dell’ingegnere del suono, ha permesso di ottenere una resa timbrica sorprendentemente equilibrata. Nessun editing post-concerto è stato effettuato; tuttavia, l’intervento in fase di mastering ha scolpito il suono valorizzando presenza e profondità, rendendo il disco un riferimento anche per impianti ad alta fedeltà.

The Köln Concert Tracks: Part I - Part II a - Part II b - Part II c Oper der Stadt Köln (Germania) 24 gennaio 1975 Keith Jarrett (pianoforte) Strumento: Bösendorfer 185 (modello a mezzacoda, da coro) Microfoni utilizzati: 2x Neumann U67 a valvole Registratore: Telefunken M5 (a nastro analogico) Ingegnere del suono: Martin Wieland (ECM Records) Etichetta: ECM 1064/65

Un Keith Jarrett pensieroso sulla tastiera del Bösendorfer mezzacoda durante le prove che precedono il mitico concerto.

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