Giovanni Pierluigi da Palestrina, il padre della musica d’ogni tempo
Un altro elemento che ha tenuto vivo il ricordo di Palestrina nel corso dei secoli è stato il ruolo svolto dalla sua arte contrappuntistica nel contesto degli studi musicali. Con l’avvento, nel secolo XVII, dello stile monodico e della musica strumentale, il nome di Palestrina venne indissolubilmente associato al cosiddetto «stile antico o grave», ( stilus vetus, antiquus, gravis ) e il suo contrappunto divenne ben presto modello per l’insegnamento scolastico. Inoltre, «alla Palestrina» venne, da quel momento, chiamata qualsiasi musica vocale priva del sostegno strumentale. Anche negli scritti dei teorici e degli storici del passato Palestrina rimase sempre al centro dell’attenzione e di lui si parlò in termini apologetici come di «padre e principe della musica». Ma fu a partire dall’Ottocento che l’opera palestriniana incominciò a essere scoperta e rivalutata, soprattutto nell’ambito del «Movimento per la riforma della musica da chiesa» (il cosiddetto «Cecilianesimo») che nel
di Giovanni Acciai
Giovanni Pierluigi di Sante, detto «il Palestrina» (1525-1594) appartiene a quella schiera di musicisti che, con la loro arte, esprimono i caratteri di un’epoca e in sé tutti li riassumono. Non a caso egli è personalità artistica singolarissima, forse l’unica nella storia della musica di tutti i tempi che abbia goduto in vita e post mortem di una fama e di una reputazione così vasta e duratura.
A mantenere viva nella memoria dei posteri l’immagine di Giovanni Pierluigi da Palestrina, in epoche come quella rinascimentale e barocca, poco inclini, come si sa, alla storicizzazione del passato, contribuirono, senza dubbio, taluni episodi della sua biografia e alcune sue opere divenute universalmente famose. Basti pensare alla leggenda, del tutto infondata, che fece del Palestrina il «salvatore della polifonia sacra», colui che con la sua musica (la Missa Papae Marcelli , dedicata a papa Marcello Cervini ma scritta, in verità, una decina d’anni dopo la morte del pontefice, avvenuta il 1° maggio 1555) sarebbe riuscito a convincere i Padri del Concilio di Trento a recedere dalla loro decisione di bandire dal servizio liturgico il canto polifonico perché ritenuto corrotto e lascivo, finalizzato soltanto a esaltare il proprio virtuosismo compositivo e a dimostrare invece come fosse ancora possibile scrivere messe e motetti a più voci animati da profondo sentimento religioso.
Frontespizio del “Secondo Libro dei motetti”, stampato nel 1587, relativo alla parte del Basso.
1867 si costituì a Ratisbona nell’ Allgemeiner Cäcilien-Verband für Deutschland . Frutto, in gran parte, della concezione storicizzante dell’idealismo romantico, il «Cecilianesimo» poneva fra i suoi obiettivi principali la rivalorizzazione della polifonia romana del Cinquecento e la ferma condanna della musica sacra del tempo ovvero ottocentesca, alla quale si rimproverava di essersi storicizzata, ovvero, di essere troppo influenzata da quella di genere teatrale allora dominante. Soltanto il ritorno al canto gregoriano, allo stylus antiquus della polifonia rinascimentale, alla purezza del suono dell’organo, strumento liturgico per eccellenza, avrebbe consentito alla musica di riacquistare quella ieraticità, quella dimensione del «sacro», quella valenza universale che nel corso dei secoli era andata sempre più affievolendosi, fin quasi ad estinguersi. Nel frattempo, in Italia, quasi contemporaneamente alla coraggiosa iniziativa del Movimento ceciliano ratisbonense, il sacerdote e cantore pontificio Giuseppe Baini (1775-1844) pubblicò a Roma nel 1828 i due volumi della prima, vasta monografia su Palestrina, le Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina , ancor oggi considerata, a ragione, una fonte preziosa d’informazione sulla vita e sull’opera del compositore romano, per l’abbondanza delle fonti documentarie in essa contenute (quasi tutte di prima mano) e per l’acutezza dell’indagine esegetica
Ritratto di Giovanni Pierluigi da Palestrina presente nel testo di Andrea Adami “Osservazioni per bene regolare il coro dei cantori della Cappella pontificia” del 1721.
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