Anche Palestrina non si sottrae a questi nuovi orientamenti stilistici e, a partire dagli anni Ottanta del Cinquecento, si occupa, in misura sempre crescente, dell’interpretazione «espressiva» del testo. È questo il momento nel quale, nella sua produzione motettistica, si palesa la costante subordinazione della musica alla parola e alla signoria di quella su questa. La declamazione del testo secondo i princípî dell’oratoria diventa determinante per la configurazione della linea melodica e per la disposizione delle voci in assetto contrappuntistico. Alla scrittura, spesso rigida e immobile dei motetti del giovane Giovanni Pierluigi, infarcita di procedimenti canonici e di complesse elaborazioni contrappuntistiche su cantus firmus che impediscono ogni tentativo di declamazione espressiva della parola devozionale, subentra un « novum genus » di scrittura teso a superare gli artifici costruttivi e a realizzare una struttura sonora nella quale la partecipazione emotiva al testo letterale avviene in maniera compiuta.
Un altro mirabile esempio di Libro Corale, il celeberrimo Codice Chigi, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, con una pagina miniata che illustra un Kyrie dalla Missa Ecce ancilla Domini di un altro famoso compositore fiammingo, Johannes Ockeghem.
XVI e ciò secondo una prospettiva estetica di segno umanistico che informa l’espressione musicale a partire dal tardo Quattrocento. Questo connubio, questa consanguineità di poesia e di musica ha radici profonde e si spiega con la stretta affinità esistente fra «Musica» da un lato e «Grammatica» e «Retorica» dall’altro, ovvero fra discipline fortemente imparentate fra loro, in quanto appartenenti ai curricula di studi delle Università e delle Scuole rinascimentali di latino, presso le quali lo studio dell’oratoria e della retorica era assiduamente praticato e tenuto nella più alta considerazione. E se la «Grammatica» veniva considerata un insieme di regole necessarie per la corretta formulazione del linguaggio scritto e parlato, la «Musica» era concepita come l’arte del comporre ed eseguire bene i suoni, secondo procedimenti costruttivi che a tali regole facevano di continuo riferimento. Un siffatto modo d’intendere l’opera musicale veniva denominato anche col termine di «musica reservata», ovvero una musica composta di « singulorum affectum vim exprimendo rem quasi actam ante oculos ponendo », ossia un tipo di musica nella quale gli affetti insiti nel testo sono visibili per mezzo delle note, posti - per così dire - davanti agli occhi degli ascoltatori; un tipo di musica ispirata da concetti umanistici e destinata, come spiega con malcelata ironia il teorico Nicola Vicentino (1511-1577), «precipuamente in privati intrattenimenti di Signori e Principi per accarezzare le loro purgate orecchie». È appena il caso di osservare come questi forti cambiamenti che si incontrano nella musica fra Cinque e Seicento, posero innanzi ai teorici del tempo non pochi problemi, in quanto la teoria musicale che dall’antichità era stata di appartenenza, con l’Aritmetica, la Geometria e l’Astronomia, del cosiddetto Quadrivium (le discipline scientifiche delle sette Arti liberali), fu costretta a adottare nuovi parametri teorici che avevano il loro fondamento nelle leggi della Retorica. Di qui la formulazione di una teoria delle «figure musicali» creata a immagine e somiglianza di quella delle «figure retoriche» e la messa a punto di una tecnica della forma o struttura della composizione.
Frontespizio del Primo libro delle Messe di Giovanni Pierluigi da Palestrina, pubblicato a Roma nel 1554 dal tipografo Valerio Dorico.
È stato più volte sottolineato come la forza propulsiva della formidabile macchina contrappuntistica palestriniana sia l’elemento orizzontale delle singole linee melodiche componenti la trama polifonica. Dunque, non tanto punctum contra punctum di medievale memoria, ma piuttosto linea contra lineam . Questa concezione presuppone sia l’individualità e l’indipendenza delle voci, sia la loro integrazione in una struttura verticale comune, frutto di una padronanza della tecnica intervallare che Palestrina possedeva e sapeva applicare come nessun altro al suo tempo. L’elemento orizzontale porta in sé il ritmo e la melodia di ciascuna linea di canto. Essa, a sua volta, interagisce con le altre parti vocali formanti l’insieme del tessuto contrappuntistico, le colonne portanti della costruzione polivoca. A conferire unità e coesione al discorso contrappuntistico provvede poi la melopea gregoriana che informa di sé l’intera opera del nostro autore. Rispetto ai suoi predecessori, Palestrina ha il merito di aver perfezionato il contrappunto d’estrazione josquiniana al fine di renderlo adeguato alle nuove tendenze che si stavano manifestando intorno alla metà del secolo XVI, sulla spinta, come già s’è detto, delle disposizioni tridentine in materia di musica sacra. Ma ciò che rende straordinario il suo stile è la semplicità con la quale esso si manifesta: «egli ricorre a strumenti così modesti, così esattamente calcolati e ne amministra gli effetti con tale cura
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