GrooveBack Magazine 004

Edmondo Filippini ci parla di questo compositore nipponico il quale, dopo aver studiato nei primissimi anni del Novecento in Germania, cercò di conciliare la tradizione sonora del Paese del Sol levante con quella colta occidentale, dando vita a opere sinfoniche e a tantissimi Lieder colmi di fascino e di profondità artistica. Yamada Kōsaku, colui che fece conoscere la musica classica in Giappone di Edmondo Filippini

ancora prendendo coscienza di aver vissuto fino a quel momento in un mondo molto piccolo, per cui sentivo la necessità viscerale di espanderlo, anche se non sapevo ancora quanto fosse piccola e miope la visione che avevo all’epoca. Eppure, quel commento poco rispettoso nei confronti di Suzuki e del suo ensemble in un certo senso mi ferì, perché sentivo che nascondeva qualcosa di profondamente storto e limitante. Oggi - con molti più anni sulle spalle, definitivamente trasferitomi in Giappone e con una maggiore consapevolezza e conoscenza in ambito storico e musicale - considero l’edizione di quell’integrale delle cantate bachiane (ormai conclusasi) come una delle mie preferite in assoluto. Inoltre, ampliando i miei studi dedicati al mondo musicale nipponico, sempre a livello discografico scoprii in seguito quella splendida collezione pubblicata dalla Naxos e denominata Japanese Classics Series . Rammento che uno dei primissimi dischi che ascoltai fu proprio quello dedicato a una sinfonia di Yamada Kōsaku, autore che mi era noto allora solo perché continuamente citatomi da conoscenti giapponesi che lo conoscevano come autore di canzoni per l’infanzia. La meraviglia di scoprire il suo repertorio sinfonico, e non solo, fu più o meno eguale a quando ascoltai per la prima volta le sinfonie e i quartetti per archi di Carl Czerny, che andavano, per valore e qualità, ben al di là dei suoi studi di tecnica pianistica ai quali ero stato abituato. Ora, Yamada Kōsaku rappresenta un personaggio decisamente ingombrante, nel bene e nel male, nella storia della musica occidentale in Giappone. Nato a Tokyo nel 1886, a 33 anni dall’arrivo delle “Navi Nere” americane alla baia della capitale nipponica, che costrinsero il Paese del Sol levante ad aprirsi al mondo dopo oltre duecento anni di reclusione con limitati scambi commerciali con Cina e Paesi Bassi, in piena Restaurazione Meiji (che sanciva il ritorno del potere politico all’imperatore e l’occidentalizzazione del paese), l’intera vita di Yamada Kōsaku ha rappresentato un continuo tentativo di unire due mondi apparentemente lontani sia per cultura sia per estetica diventando una figura chiave del primo Novecento musicale. Fin da giovane mostrò interesse per la musica occidentale, influenzato dai canti di chiesa e dalle bande militari che aveva avuto modo di ascoltare durante l’infanzia.​ Le prime esperienze musicali occidentali in Giappone, infatti, furono costituiti da questi due generi, mentre furono del tutto sporadici i tentativi di far conoscere la tradizione musicale occidentale sul suolo nipponico, per lo più relegati ai circoli costituiti da stranieri che tanto a Tokyo quanto a Kobe erano nel frattempo andati formandosi. Kōsaku studiò presso la Scuola Musicale di Tokyo (all’epoca parte del Conservatorio Imperiale) tra il 1904 e il 1908, dove si formò con insegnanti di origine tedesca come August Junker e Heinrich Werckmeister per il violoncello e teoria, e con Tamaki Shibata per il canto. Deciso a diventare compositore, nel 1909 ottenne una borsa di studio della fondazione Mitsubishi, che gli permise quindi di proseguire gli studi in Europa. Si trasferì così in Germania, iscrivendosi all’ Hochschule für Musik di Berlino, dove tra il 1909 e il 1913 riuscì a studiare con importanti maestri quali Max Bruch e Karl Leopold Wolf per la composizione e Carl August Heymann-Rheineck per il pianoforte. L’esperienza berlinese fu fondamentale in quanto gli permise di confrontarsi con quello stile che già dai tempi di Tokyo stava cercando, oltre ad avere la possibilità di immergersi nella tradizione classica germanica, da Beethoven fino a Wagner. Questi studi gli diedero modo, nel 1912, di comporre la sua prima opera, Ochitaru tennyo

Yamada Kōsaku seduto davanti al suo pianoforte.

Ricordo ancora con un certo sorriso il giorno in cui arrivò uno dei primi volumi dell’edizione integrale delle cantate di Bach edite da Bis e dirette da Masaaki Suzuki alla testa del Bach Collegium Japan nella radio in cui a quel tempo lavoravo. Uno dei giornalisti, che avrebbe fatto la critica di lì a poco nel suo programma radiofonico, mentre lo ascoltava (credo fosse il vol. 6) emetteva di tanto in tanto risatine e alzava gli occhi al cielo di chi vuole far intendere di saperla lunga. E non dimenticherò mai il commento che proferì, quando si tolse le cuffie: «Ah, questi giapponesi che pensano di poter fare musica occidentale!». Rammento di avergli chiesto qualcosa a riguardo ma, onestamente, a tanti anni di distanza non ricordo più né quello che gli chiesi né ciò che mi rispose. Avevo diciassette anni, al mio primo lavoro in assoluto, e stavo

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