inizialmente naturale, poi, a partire dalla fine del XVII secolo, rivestito di filo metallico. Le corde in budello hanno tempi di assestamento piuttosto lunghi (lo strumento deve quindi essere riaccordato frequentemente) e sono particolarmente sensibili all’umidità e alla temperatura; però, a giudizio di molti, esse avrebbero un timbro più ricco di quelle di acciaio, così da conferire allo strumento un suono meno potente, ma più caldo. Ghislanzoni fonde tutti questi elementi aggiungendovi una nota fantastica e macabra, che contribuisce a creare una vicenda insolita, scapigliatamente in ritardo, senza dubbio avvincente. Noemi Manzoni Il violino a corde umane
spezzare il proprio istrumento, e con esso la sua esistenza, qualora non fosse riuscito a tenere il primo posto fra i suonatori dell’epoca. Il vecchio Klauss si compiaceva di quel nobile orgoglio, e credeva, lusingandolo, di compiere in buona fede una sant’opera. Ma prima di prodursi al cospetto del pubblico, Franz aveva aspettato con trepida impazienza che il tanto decantato italiano facesse le sue prove a Parigi. Il nome di Paganini era stato, per alcuni mesi, una spina rovente al cuore di Franz - un incubo, un fantasma minaccioso allo spirito del vecchio Samuele. Sì l’uno che l’altro aveano più volte tremato per quel nome di artista - sì l’uno che l’altro avevano presagito sinistramente della sua venuta a Parigi. Chi può descrivere le ansie, gli spasimi, gli atroci entusiasmi di quella nefasta serata? - Franz e Samuele, alle prime arcate di Paganini, avevano rabbrividito. Il maestro e l’allievo, compresi da un entusiasmo che era per entrambi angoscia tremenda, non osarono guardarsi in faccia, non che ricambiarsi un accento. A mezzanotte, dopo il concerto, rientrarono muti e lugubri nel loro appartamento. - Samuele! - disse Franz gettandosi sovra una seggiola con portamento disperato - va!... noi altri non siamo buoni a nulla - hai capito? - a nulla!... proprio a nulla!... Le rughe del vecchio maestro divennero livide. Dopo breve silenzio, Samuele riprese con voce cupa: - Eppure tu hai torto, Franz - io ti ho insegnato quanto si può insegnare da un maestro, e tu hai tutto imparato ciò che l’uomo può imparare dall’uomo. Qual colpa ci ho io, se questi dannati italiani, per primeggiare nel regno dell’arte, hanno ricorso alle ispirazioni del diavolo ed agli obbrobri della magia? Franz fissò gli occhi nel vecchio maestro con espressione sinistra: quello sguardo parea dire: «ebbene! a che mai tanti scrupoli?... pur di elevarmi a tanta potenza nell’arte, ed io pure mi darei al diavolo, anima e corpo!». Samuele indovinò quell’atroce pensiero, e riprese la parola con calma simulata: - Tu conosci la storia miseranda del celebre Tartini. Egli morì in una notte di sabbato, strangolato dal suo demonio famigliare, che gli aveva insegnato la maniera di dare anima al violino, incorporando in esso lo spirito di una vergine. Paganini ha fatto di più. Paganini, per comunicare al proprio istromento i gemiti, i gridi desolati, le note più strazianti della voce umana, si è fatto assassino dell’uomo che più gli era affezionato sulla terra, e coi visceri della sua vittima ha composto le quattro corde del suo violino fatato. Eccoti il segreto di quel fascino, di quella potenza irresistibile di suoni, che tu, mio povero Franz, non potresti mai uguagliare, se prima... E il vecchio troncò a mezzo la frase. La sua voce era paralizzata da uno sgomento misterioso. Franz, abbassando gli occhi, uscì dopo alcuni minuti in questa domanda: - E tu credi, Samuele, che arriverei anch’io ad ottenere gli effetti inauditi, a suscitare gli entusiasmi di Paganini, qualora le corde del mio istromento fossero composte di fibra umana? - Pur troppo! - esclamò il maestro con singolare espressione - ma per ottenere l’intento, non basta che le corde sieno composte di fibra umana; è necessario che questa fibra abbia fatto parte di un corpo simpatico. Tartini comunicò la vita al proprio violino, introducendo in esso l’anima di una vergine ma quella vergine era morta di amore per lui; e il satanico artista, assistendola nelle ultime agonie, a mezzo di una cannuccia, avea fatto passare nello istromento lo spirito della moribonda. Quanto a Paganini, t’ho
Correva l’anno 1831. Paganini, il diabolico Paganini, si era prodotto al teatro dell’ Opera in sei concerti, suscitando entusiasmi anche maggiori di quelli che lo aveano accompagnato nelle sue trionfali escursioni in Italia e in Germania. - In presenza dell’artista fenomenale, alcuni professori d’orchestra del grande teatro aveano spezzato i loro strumenti. Alla medesima epoca, era in Parigi un altro violinista, dotato di una abilità straordinaria, ma tuttora ignorato nel gran mondo dell’arte. Si chiamava Franz Sthoeny; - era nato a Stocarda, e in quella città avea trascorso la gioventù nella pace della famiglia, alternando alle severe meditazioni della filosofia, gli esercizi dell’istrumento a quattro corde. All’età di trentacinque anni, Franz era rimasto orfano e solo. Al morire della madre che lo avea adorato, che aveva esaurite per l’unico figlio tutte le economie di un patrimonio assai tenue, Franz si era accorto di esser povero.
Il celebre dagherrotipo falso che mostra Niccolò Paganini spaventosamente magro e “diabolico”, spacciato per autentico da due truffatori che lo cedettero negli anni Novanta dell’Ottocento alla casa editrice musicale Breitkopf & Härtel.
La prospettiva dell’avvenire gli si era affacciata alla mente coi più lugubri colori. Che fare? - Il suo vecchio maestro di musica Samuele Klauss si era incaricato di rispondere alla terribile domanda. E la risposta, muta di parole, era stata eloquente. Klauss avea preso per mano il suo allievo diletto, e, condottolo nella piccola sala dove tante volte avevano diviso insieme i fantastici diletti della musica, gli aveva additato la piccola cassetta dove il violino stava rinchiuso come un essere vivente in una tomba obbliata. Quel cenno apriva a Franz Sthoeny una nuova carriera. Vendute le mobilie e le suppellettili della casa, l’artista era partito per Parigi in compagnia del suo maestro ed amico. Prima che Paganini avesse dato al teatro dell’ Opera i suoi meravigliosi concerti, Franz si era fatta, per una serie di esperienze e di raffronti, una convinzione superba ed un proposito irremovibile. - La convinzione era questa: di ritenersi superiore a tutti i più rinomati violinisti ch’egli aveva uditi nella capitate della Francia - il proposito era di
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