Roberto Loreggian, colui che trasforma il cembalo in un’orchestra di Gianluca Sfriso Il nostro collaboratore Gianluca Sfriso ha intervistato il grande clavicembalista e organista di Monselice, il quale spiega quali sono i meccanismi, le regole, le sensibilità che un musicista deputato al basso continuo deve seguire per ottenere un suono che sia filologicamente verosimile e, allo stesso tempo, anche piacevole e coinvolgente.
stessa lingua. Francesco Galligioni ed io come continuatisti, quando collaboriamo con altri musicisti sappiamo che il nostro modo di suonare sarà quello e non ci sarà nessun problema di comprensione sulle articolazioni, sulle dinamiche, per cui si sviluppa un modo di vedere la musica e un’affinità comune dopo tantissimi anni di amicizia e di concerti fatti insieme. G.S.: Maestro, le chiedo ora una sua riflessione su quella che adesso si chiama “prassi storicamente informata”, vale a dire un’interpretazione filologica condotta con strumenti dell’epoca e con un approccio basato sullo stile del periodo temporale preso in considerazione con una data composizione. La sua collaborazione con personaggi straordinari e diversi come Mario Folena e come Mario Brunello, con cui ha avuto la fortuna di collaborare per tanti anni, che cosa le ha dato? Insomma, queste collaborazioni con personalità così particolari del mondo della musica e con esperienze estremamente diverse hanno contribuito a una visione della prassi storicamente informata molto più attuale e moderna?
R.L.: Ritornando a quanto già spiegato prima, io vado ancora più indietro e ritorno quando andavo a scuola da Ton Koopman e ricordo una mia esecuzione di una Toccata di Frescobaldi: nella prefazione del Primo libro delle toccate, Frescobaldi prescrive di eseguire gli inizi delle toccate “adagio e arpeggiando” e ricordo che Ton durante una lezione mi fece un esempio con un arpeggio vivace, molto ricco e pieno. Al che gli feci osservare che Frescobaldi aveva scritto al contrario “adagio e arpeggiando”. Ebbene, a quel punto Koopman mi rispose
G.S.: Maestro Loreggian, in che maniera la possibilità di collaborare in questi anni di carriera con musicisti straordinari ma molto diversi tra loro, l’ha influenzata sulla sua curiosità e nel suo rapporto con il clavicembalo e con l’organo?
Una recente immagine di Roberto Loreggian, seduto davanti al suo clavicembalo.
R.L.: Domanda difficilissima, ma cerco di rispondere. Due sono i tipi di persone che si incontrano. Il primo tipo di persona è il docente e l’altra invece è il collega. Per quanto riguarda la parte della docenza io non vorrei escludere nessuno, però logicamente io sono sempre stato affascinato dal mio grandissimo maestro Ton Koopman che mi ha sempre stupito e che tuttora continua a stupirmi con la sua energia e il suo modo di suonare il cembalo estremamente personale. L’altro rapporto è con dei colleghi e allora qui la schiera di persone è lunghissima. Parto da musicisti di grandissimo valore come Mario Folena, Sergio Azzolini, Mario Brunello, tutte persone con una grande personalità che sono state in grado di relazionarsi con il clavicembalo in ogni suo aspetto e ciò porta a delle richieste che probabilmente non sarebbero possibili da realizzare. Quando però il musicista con cui suoni ti chiede delle dinamiche, ti chiede delle articolazioni, ti chiede delle cose più adatte alla musica, inevitabilmente tu sei spronato a cercare di più da uno strumento che potrebbe sembrare inespressivo o privo di dinamica, come dicono alcuni; in realtà durante le registrazioni io vedo l’onda sonora del cembalo registrato nel basso continuo e assicuro quella dinamica necessaria. Vi sono poi collaborazioni periodiche e costanti con alcuni amici musicisti; cito Francesco Galligioni e Federico Guglielmo, con il quale facciamo parte dell’ensemble Arte dell’arco con i quali ormai è facile suonare insieme, perché alla fine parliamo la
Il manoscritto originale del celeberrimo Canone di Johann Pachelbel, con la parte dedicata al fondamentale apporto del basso continuo.
semplicemente con un’alzata di spalle, aggiungendo: «E perché no?». Questo fu per me una cosa molto illuminante, perché significa che l’idea della “esecuzione storicamente informata” dev’essere un ausilio, non un limite. Dev’essere ausilio al musicista, il quale cercherà di ricostruire un suono più plausibile, ma con una sensibilità che è condizionata dal musicista che vive il presente. Con ciò voglio dire che l’esecuzione storicamente informata non deve diventare un limite, poiché in questo potremmo correre il rischio di essere solo degli “archeologi” e questo non è possibile, soprattutto per musica, come quella del Seicento, quella denominata, tanto per intenderci Affektenlehre, che doveva muovere gli affetti e gli animi. L’esecuzione delle Toccate di Frescobaldi oppure di una sua improvvisazione davanti a migliaia di persone all’interno della Basilica di San Pietro affascinate e incantate da questo grandissimo genio musicale potrebbe essere immaginata, proiettata come una sorta di “Festival di Sanremo” trasposto al 1625; se immaginiamo ciò, allora
50 | GRooVEback004
51 | GRooVEback004
Made with FlippingBook flipbook maker