Puccini: una discografia alternativa
Sonnambula, che ripropone l’eterna storia di lei e di lui; dall’altra è il quadro di un mondo che è già remoto in Puccini stesso, che accoglie memorie sfiorite come il rosa antico e i dagherrotipi. È traversata dalla malinconia, dal tempo che passa inesorabile sulla giovinezza e la ingrigisce, la trasforma, la fa amara o cinica. Inoltre, si porta addosso quella che allora era una macchia indelebile: la tisi, la stessa per cui muore Violetta e che, in un certo modo, pur senza averne il carattere di aberrazione comportamentale, rappresenta la malattia di gente equivoca ed equivale a qualcosa di simile all’Aids. Un mondo piccolo, dunque, del quale Puccini riesce a musicare anche le più semplici iterazioni, le più svagate domande, gli incisi più folgoranti, intridendo di melodia anche un accento, un punto interrogativo e sviluppando le arie in modo totalmente eterodosso, in una stupefacente fusione di recitativo e arioso. Nel 1946, celebrandosi il mezzo secolo di vita di Bohème, Toscanini - che ne aveva diretto la prima - registrò la sua versione alla NBC. Ne venne l’edizione ancor oggi più scioccante di quest’opera: espressionista, violenta, frammentata e priva di qualunque concessione a un lirismo di maniera. Era così che la voleva Puccini? Nessuno credo che possa dirlo. Va comunque conosciuta. Le due edizioni di cui parlo non mancheranno di sembrare remote, e lo sono, per quanto entrambe godano di ottima presa del suono. Ma hanno, entrambe, un pregio non indifferente: riproducono con tenerezza, e addirittura con delicatezza, quel piccolo mondo dissolto di cui parlavo all’inizio, non lo duplicano, non lo interpretano: si limitano a cantarlo, in uno stupefacente processo di osmosi tra gli attori e una vicenda che, trascorsi quei primi anni Cinquanta, dopo sarà molto difficile incarnare. Dopo verranno i divi, i grandi ricreatori, la storicizzazione. So perfettamente che non è possibile paragonare i risultati di un Karajan con quelli di un Santini, o confrontare Pavarotti con Prandelli (per quanto la Tebaldi del 1951 resti la più grande Mimì della storia); ma, per quanto grande, l’edizione Decca del 1973 diretta da Karajan fa già parte della riproduzione di un mondo, ma non è quel mondo, lo imita alla perfezione con fibre di vetro e materiali plastici, ma in essa non odi il passo dei cavalli, non ci senti l’odore della cenere nei camini, non avverti il freddo acre degli abbaini. Qui, invece, nella Decca ’50 e nella Cetra ’51, sì: soprattutto in quest’ultima, nella quale le voci dei protagonisti, ovvero quelle di Tagliavini, Taddei, Carteri, Siepi sono di una tale bellezza, d’una tale esattezza.
di Riccardo Mainardi
Riccardo Mainardi affronta, sotto una diversa angolatura, alcune registrazioni storiche riservate a quattro capolavori del grande compositore lucchese, La Bohème, Tosca, Madama Butterfly e Turandot, evidenziandone pregi e difetti.
Quando morì, probabilmente Puccini non si rese conto di essere colui al quale era stato demandato un compito ingrato ma solenne: quello di apporre la propria firma sotto la richiesta di liquidazione del teatro d’opera europeo. Infatti, dopo Turandot nessuna nuova opera è più entrata saldamente in repertorio, e da allora sono passati cent’anni. Lasciando perdere le arie più famose di Puccini, che da subito furono preda di tenori e soprani sin dal tempo delle registrazioni acustiche, la prima edizione discografica dei capolavori pucciniani è la seguente: La Bohème , 1928; Madama Butterfly , 1939; Manon Lescaut , 1930; Tosca , 1930, Turandot, 1937. Le altre dovranno attendere invece il secondo dopoguerra. È una chiara indicazione della fama mondiale di Puccini il fatto che un decennio dopo la sua morte, e con i mezzi arcaici della registrazione a 78 giri, si producessero già versioni complete delle sue più note creazioni. Da allora la situazione non è cambiata, anzi: delle suddette opere si sono avute svariate edizioni, addirittura in versioni russe e tedesche, tra le quali - stando a quelle in italiano del periodo che va dal 1930 al 1980 circa - diciassette incisioni tanto di Bohème quanto di Madama Butterfly, mentre Tosca arriva addirittura a ventuno, e senza contare produzioni destinate a vendite speciali. È evidente che con tale messe non è possibile dare indicazioni che non riflettano autentiche fascinazioni personali. Mi limiterò, per quanto possibile, a tracciare quindi qualche profilo di una discografia pucciniana, magari addentrandomi negli anni e cercando di non fossilizzarmi su mitologie spesso prodotte solo per uso commerciale.
La Bohème è l’opera della giovinezza, quella di un mondo fatto di piccole cose, di cavalli alla posta, di lucerne, di sartine che vanno a messa e di artisti che gelano in soffitta. È il mondo dei nostri bisnonni, e il problema della ricreazione di quest’opera, soprattutto nei limiti della registrazione audio, sta proprio nel livello di non-stilizzazione che ne va fatto. Insomma, quanto si deve essere aderenti al reale, quanto “inventare il vero”, secondo la prescrizione verdiana? Da una parte è una fiaba lacrimevole, non meno bagnata di quella di
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