GrooveBack Magazine 004

eguale intelligenza drammatica. Ciò rende ancora oggi la loro registrazione del 1965 imprescindibile per la conoscenza di quest’opera, alla quale concorrono notevolmente anche Renata Scotto come Liù e Bonaldo Giaiotti come Timur, non meno, è ovvio, dell’orchestra solida e a tratti tetragona di Molinari-Pradelli. Più coloristico, invece, è Leinsdorf, che peraltro ha a che vedere con un tenore privo del tonnellaggio di Corelli, quel Björling che morrà quello stesso anno distrutto dall’alcol: un Calaf dolce, a tratti indeciso ma ammaliante nel timbro e mai inutilmente sopra le righe. Una versione ideale di Turandot forse l’avremmo però avuta se, con un cast ideale, l’avesse incisa Toscanini, dandole - e qui sarebbe stato perfetto - quel taglio feroce che impone a Bohème. Quegli accordi a lama di ghigliottina, quegli spessori orchestrali densi, quei fortissimi compatti come angoli di pietra, avrebbero smussato il colorismo con cui troppo spesso anche fior di interpreti ricacciano questa misteriosa creatura nel mondo di Cio-Cio-San, senza mai capire che più Turandot è spoglia, più è livida, più è gelida più è Turandot: che nessun amore, aldilà del happy end di prammatica che conclude l’opera, può strappare dal gelo che la avvolge.

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