GrooveBack Magazine 004

va riconosciuta l’idea di partenza, un nome sicuramente noto nell’ entourage musicale, pianista, compositore, musicologo e direttore del gruppo strumentale Sentieri selvaggi.

e, contemporaneamente, iniziarono a circolare le sue registrazioni artigianali su musicassetta. Vysotskij le realizzava di nascosto, su un supporto che, per quanto considerabile a bassa qualità audio, aveva il vantaggio di essere più facile da diffondere e duplicare, immesso poi in un circuito sostanzialmente clandestino, poiché Vladimir era persona invisa al regime. Tali musicassette mal si conciliano ovviamente con l’eccellenza qualitativa raggiunta oggi da questo doppio LP, anche se in virtù del loro essere di caratura Low-Fi, o forse proprio per questo, proiettano le sue poesie in musica in uno scenario rude quanto ammantato di leggenda, cogliendo a mio parere in modo

È stato in seguito elaborato un vero e proprio lavoro di squadra che ha coinvolto anche il compositore Filippo del Corno, curatore dei nuovi arrangiamenti di stampo classico, e il già citato gruppo strumentale cameristico Sentieri Selvaggi, fondato nel 1997 da Carlo Boccadoro, Filippo Del Corno e dal giornalista Angelo Miotto. Ma i contorni della narrazione assumono maggior definizione con l’aggiunta di

Il compositore e direttore d’orchestra Carlo Boccadoro circondato dagli elementi dell’ensemble Sentieri Selvaggi.

Ancora Vladimir Vysotskij in un’immagine che precede di poco la sua morte, avvenuta a Mosca nel 1980.

ulteriori imprescindibili particolari, come il titolo dell’album, che corrisponde alla traduzione in italiano fatta da Sergio Secondiano Sacchi dell’originale in russo del brano omonimo di Vladimir Vysotskij, il grande cantautore moscovita. Dalla sua produzione cantautoriale e poetica lo stesso Secondiano Sacchi e Finardi hanno estrapolato undici brani. Il cantante al microfono è dunque frutto di una registrazione fatta negli studi Velut Luna di Preganziol, una produzione che per mettere d’accordo i tanti impegni di tutti è stata realizzata in soli cinque giorni, subito prima del Natale 2007. Il rilascio sul mercato è poi avvenuto alla fine del gennaio 2008, prima in sola versione CD e successivamente in una prima edizione in vinile standard 33 giri, per un totale di cinquecento copie che sono andate quasi subito esaurite. Potremmo considerare questo disco come “teatrale”? Sicuramente, non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello della sua alba ideativa. È stato nel teatro dell’Elfo, infatti, che Filippo del Corno durante una pausa lavorativa ha conversato con il regista Elio De Capitani sulla mitica figura di Vladimir Vysotskij, vero epicentro di questo lavoro. Artista dal vissuto sofferto, in un’epoca brezneviana fortemente insofferente - e repressiva - nei confronti di ogni pensiero che fosse in contrasto con il temibilissimo apparato burocratico del PCUS. Un artista che è riuscito nella non facile impresa di cavare dalla sua afflizione una poesia autentica, palpitante, espressa in tante intense e mai banali canzoni. Nato a Mosca nel 1938 e in questa stessa città scomparso nell’estate del 1980, è stato un cantautore, attore, poeta e dissidente sovietico, considerato uno dei maggiori cantautori dal secondo dopoguerra a oggi. Nel 1960 galeotto fu l’incontro con il poeta e cantante Aleksandr Galič, una conoscenza che lo indusse a dedicarsi alla chitarra, iniziando così a comporre e a cantare canzoni sui diseredati, sugli sconfitti dalla vita che però non hanno alcuna intenzione di arrendersi. Risale al 1961 la composizione della sua prima canzone

singolare la cifra espressiva dell’autore. In alcuni video su YouTube si può ascoltare la voce graffiante di Vladimir Vysotskij, la pennata quasi rabbiosa sulla chitarra, quasi a voler scaricare, evocandola, l’insostenibile tensione di un animale braccato. Tali video sono interessanti anche per un’altra ragione: danno contezza di quanto sarebbe inopportuno un confronto diretto tra Vysotskij e Finardi. Nei due vinili il cantautore milanese non si avventura in stereotipate emulazioni o epigonismi, piuttosto emerge la sua forte personalità, quella di un artista che ha avuto l’abilità e la schiena dritta di rielaborare tutto il materiale indossandolo come un abito fatto su misura per lui. Questo gli va riconosciuto, anche perché la sua interpretazione è omogenea con il vissuto artistico che gli è proprio, sempre oscillante tra grinta ed estrema tenerezza, simbolizzato in canzoni come, per esempio, Musica ribelle e Non è nel cuore . Questi i suoi due poli espressivi. Gli eventi politici nell’Unione Sovietica portarono a misure drastiche, che di fatto boicottarono l’operato di quegli artisti che non si mostrarono obbedienti alle direttive governative. Avvenne anche con Vysotskij, ostacolato nella sua espressione e non ammesso all’Unione degli scrittori. Già nel 1979 la sua fine si avvicinò a grandi passi, poiché in quell’anno rischiò di morire per una crisi cardiaca, dovuta a una salute minata dagli eccessi alcolici cui si aggiungeva la dipendenza dalla morfina. Il 25 luglio 1980 Vladimir Vysotskij morì per un arresto cardiaco. Testimonianze dell’epoca riportano che nell’estate di quell’anno, in occasione del suo funerale, senza che ne fosse stata data notizia alla popolazione, centinaia di migliaia di persone si radunarono per rendergli un sentito omaggio. La sua poetica s’intreccia con quella di Eugenio Finardi in modo talmente credibile da non lasciare quasi adito a soluzioni di continuità, se non quelle che ci possono essere tra due artisti non disposti a cedere un grammo della loro peculiare indole. È

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