GrooveBack Magazine 002

enigma misterioso e affascinante, la cui unicità storica rischia di essere ancora fraintesa. D’altronde, indagando sugli eventi che hanno contraddistinto la sua vita e la sua opera, non ci si può meravigliare del fatto che il musicista di Ansfelden ebbe solo pochissimi amici che cercarono di sostenerlo a ritagliarsi il suo spazio nel mondo della musica di quell’epoca, in un ambiente così colmo di rivalità, di invidia, di gelosia e di vendetta, al punto da spingerlo, in un momento di grande delusione e di profonda amarezza, nonostante la sua incrollabile fede cattolica, a pensare addirittura al suicidio. Quel piccolo nucleo di sinceri estimatori, di cui fecero parte un giovane Gustav Mahler e i direttori d’orchestra Hermann Levi, Arthur Nikisch, Felix Mottl e Ferdinand Löwe, riuscì infine a farlo apprezzare al pubblico del tempo, specialmente a Monaco, cercando allo stesso tempo di creare anche una sorta di “cordone sanitario” per preservarlo dagli attacchi, a volte perfino meschini, che i sostenitori brahmsiani, acerrimi oppositori dell’universo musicale bruckneriano, così come l’influente Liszt dalla sua “roccaforte” di Weimar e il famoso direttore d’orchestra Hans von Bülow, oltre al temuto “critico dei critici”, Eduard Hanslick, periodicamente gli lanciarono. Questi strali furono lanciati contro un uomo decisamente remissivo, un artista rimasto ancorato alla cultura contadina del Vorarlberg, il territorio a nord dell’Austria nel quale era nato, dotato di una cultura limitata e senza alcuna pretesa intellettualistica e che, a livello musicale, oltre alla già citata cerchia di amici e ammiratori, fu difeso solo dal critico viennese Theodor Helm. Ma, al di là del fatto che solo alcune sinfonie di Bruckner cominciarono ad essere apprezzate soltanto verso la fine della vita del compositore, è indubbio che la sua fama di artista fu solo postuma, grazie ai diversi circoli bruckneriani che dopo la sua morte su sono diffusi e moltiplicati un po’ ovunque nel vecchio continente. Così, a duecento anni dalla sua nascita e a centoventotto dalla sua morte, è il caso di fare finalmente un po’ di chiarezza sulla grandezza della figura bruckneriana, che si può condensare con una sentenza dello stesso compositore austriaco, che suona come un ironico ossimoro, ossia un “genio senza talento”, liberandolo da inevitabili luoghi comuni accumulatosi inevitabilmente nel tempo e fissando meglio, prima di affrontare il suo corpus sinfonico, quei punti sui quali si basa la sua unicità creativa. È indubbio che le nove sinfonie di Bruckner (anche se il loro numero effettivo è di undici, se consideriamo la Sinfonia n. 00 in fa minore risalente al 1863 e la Sinfonia n. 0 in re minore detta Die Nullte , composta sei anni più tardi) si fondano e si riallaccino sotto l’egida della grande tradizione classica austriaca e più precisamente a quella schubertiana ma, a differenza della visione del compositore viennese, risulta lampante in Bruckner una strumentazione orchestrale più roboante e marcata, anche per via del fatto che il musicista di Ansfelden fu influenzato da Wagner nell’elaborare una tecnica armonica più ricca e articolata, plasmata anche dall’uso di particolari strumenti della famiglia degli ottoni, come il corno-tuba e la tuba bassa, capaci di esaltare quella tipica forma architettonica votata alla grandiosità e alla magniloquenza. Questa peculiarità, applicata alla materia sinfonica, ha fatto sì che la musica di Bruckner in tale genere musicale rappresentasse un unicum , un’unicità che, come si è già accennato, il musicista austriaco ha pagato a carissimo prezzo (non è un mistero che, prima di una fredda, diplomatica e tardiva conciliazione avvenuta durante un pranzo, Brahms

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