con il tempo conclusivo, il Finale, che questa sinfonia raggiunge il climax assoluto; la sua struttura e la sua drammaticità portano l’orchestra a dare vita a picchi timbrici di straordinaria efficacia, i quali lasciano poi campo a un segmento cantabile atomizzato dall’irruzione di un portentoso fugato, la cui funzione porta a una conclusione nella quale l’orchestra raggiunge il punto massimo di espansione timbrica. Con la Sinfonia n. 2 in do minore si viene a realizzare uno dei classici modi di operare in ambito sinfonico da parte di Bruckner, ossia la volontà di revisionare diverse delle sue opere in questo genere musicale, dando origine a differenti versioni di uno stesso lavoro. Nello specifico, questa sinfonia fu realizzata fra il 1871 e l’anno successivo, mentre nel biennio 1875-76 fu sottoposta a una revisione radicale da parte dell’autore con l’aiuto
di Johann von Herbeck e una terza ed ultima versione fu ancora apprestata nel 1877, la quale rappresenta quella che viene normalmente eseguita e registrata. Ora, rispetto alla Sinfonia n. 1, questa seconda opera rappresenta un passo indietro, in quanto Bruckner dovette far fronte a problematiche non indifferenti, le quali possono essere riassunte nella perniciosa influenza degli ambienti intellettuali viennesi e, di conseguenza, nel timore di agire in contraddizione con lo spirito conservatore incarnato dagli esponenti della cultura accademica dell’epoca, senza dimenticare la preoccupazione da parte del nostro autore di rendere il proprio linguaggio troppo difficile attraverso una scrittura strumentale alla quale gli orchestrali del tempo non erano di certo avvezzi. Alla luce di questi fattori, risulta chiaro il fatto che Bruckner dovette sentirsi in un certo senso “paralizzato” nel poter esprimere ancora quello stile aggressivo e “rivoluzionario” che aveva caratterizzato la sua Prima sinfonia. Questa specie di “paralisi” creativa può essere chiaramente percepita dal fatto che Bruckner si preoccupò di semplificare il flusso del discorso strumentale ricorrendo all’espediente di usare ampie pause nel corso della divisione dei singoli elementi o nello sviluppo tematico (ecco perché
Due direttori d’orchestra che contribuirono alla diffusione delle sinfonie bruckneriane; a sinistra, Hermann Levi e, a fianco, Felix Mottl.
quest’opera fu ben presto soprannominata dalla critica Pausen-symphonie ). Ma, con il senno del poi, non dobbiamo forzatamente considerare tale espediente un limite, ma inquadrarlo sia nei confronti della sinfonia in questione, sia in una prospettiva futura a largo raggio, nel senso che tale artificio fu argutamente utilizzato da Bruckner senza castrare la sostanziale originalità che contraddistingue l’intera arcata della Sinfonia n. 2, così come considerando l’espediente della pausa in sé quale elemento equilibratore del quale fece ampiamente uso nelle sinfonie successive. Ma, al di là
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