GrooveBack Magazine 002

Jagdscherzo , oltre ad essere il tempo più famoso di tutta la sinfonia, è anche quello che si avvicina maggiormente al genere della musica a programma. Attraverso un tempo Mosso ( Bewegt ), agli occhi di chi ascolta si delinea una fantastica scena di caccia, simile a quelle raffigurate dal già citato von Schwind, con la muta che insegue la preda, le fanfare degli ottoni che richiamano i corni da caccia e i richiami dei cacciatori. All’inizio dello Scherzo, sono i corni a emergere su un tipico tremolo degli archi, culminante in un fff in cui ai corni si uniscono anche i tromboni e la tuba. Da ricordare anche il Trio centrale, formato da un Ländler dai consueti richiami rustici e agresti. Il Finale è il tempo più esteso della sinfonia e porta l’indicazione Mosso, ma non troppo veloce ( Bewegt, dock nicht zu schnell ) e prende avvio dapprima su una frase nebulosa, quasi indistinta, che ben presto viene sostituita da un’affermazione orchestrale di chiara matrice eroica. Degno di nota (e di ammirazione) lo sviluppo di proporzioni vastissime, il quale è genialmente assemblato dapprima dai singoli segmenti motivici che poi vengono riproposti modificando i loro principi armonici, alternati da telluriche esplosioni timbriche. La Coda si presenta con un tema esposto dalla tromba e dalla tuba e porta alla visionaria conclusione della sinfonia, basata ancora sul prorompente intervento “eroico” dei corni che va a investire tutta la massa orchestrale. Se, in certo senso, la Sinfonia n. 4 fece da spartiacque tra le prime tre e le cinque che vennero dopo, permettendo a Bruckner di uscire finalmente e timidamente dal dimenticatoio in cui lo aveva confinato l’ establishment musicale viennese, con Hanslick alla testa della muta dei paladini brahmsiani, è anche vero che la Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore , composta tra il 1875 ed il 1877, rappresenta una sorta di presenza isolata rispetto al resto del corpus sinfonico del musicista di Ansfelden. A puro titolo di esempio, proprio per far comprendere come questa sinfonia sia stata in parte travisata e fraintesa, basterà ricordare che dai contemporanei fu definita “fantastica”, oppure “tragica”, fino alla denominazione di “Sinfonia dei pizzicati”. Queste definizioni, tutte votate ad esprimere concetti opposti, ci fa capire come la Sinfonia n. 5 sia in fondo una sorta di “ibrido”; giustamente, il più grande studioso italiano della musica bruckneriana, Sergio Marinotti, ha fatto notare come nella Quinta Sinfonia convivano «accesi contrasti timbrici e dinamici» con «una altrettanto avveduta e puntigliosa attenzione contrappuntistica, un’altrettanta accurata connessione tematica», dando così modo di focalizzarne la sua essenza in una composizione, decisamente imponente ed estesa, che «appare quasi paradossalmente più sobria e severa, anche più segreta, insomma più classica». Ma per Bruckner il valore e il significato del termine “classico” ha un aspetto che aderisce con quello di “etico”, una specie di richiamo all’ordine, sia in ambito artistico, sia in quello esistenziale. E che questa sinfonia si distacchi in ciò da tutte le altre lo dimostra anche da come il compositore di Ansfelden la fa iniziare, quasi fosse un porgere la guancia in ossequio al tipico formalismo di impronta viennese, così caro a Hanslick, ossia con un’introduzione lenta nella quale l’autore, attraverso un apparato contrappuntistico, presenta di volta in volta tutti quegli elementi tematici inseriti nel contesto di questa sinfonia. A questa introduzione segue un ampio Allegro che presenta tre temi distinti, ma sottilmente concatenati, in modo da offrire all’ascolto una sorta di flusso ininterrotto; se il primo tema, pur contraddistinto dal “tradizionale” tremolo d’archi, si lascia andare a improvvisi impeti timbrici, il secondo è invece più

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