GrooveBack Magazine 002

quello marcatamente bruckneriano. Ma quali possono essere i momenti memorabili di questa sinfonia? I tre temi che formano l’architettura del primo tempo, quello che Bruckner, con un italiano maccheronico definì “Majestoso”: il primo tema, che si forma sotto il pulsare dei violoncelli e dei contrabbassi, straordinariamente solenne, e che lascia poi campo al secondo tema, il quale colpisce per la sua indubbia cantabilità e la cui lentezza espositiva rappresenta quasi una specie di trampolino dal quale prende slancio il terzo tema, contraddistinto da un clima eroico, il cui incipit è dato da un fff di tutta l’orchestra. Alcuni aspetti dell’Adagio che segue, poi, sembrano già presagire le atmosfere magiche, ipnotiche, atemporali di quello della Sinfonia n. 7, anche se qui la materia sonora vira improvvisamente in una desolata marcia funebre. Lo Scherzo è un piccolo, mirabile capolavoro, originale nella sua esposizione, con una prima enunciazione in cui la sezione dei violini, sotto il pulsare sommesso dei bassi, viene “disturbata” dai continui interventi dei legni, prima che irrompa un episodio la cui massa timbrica coinvolge tutta l’orchestra. Infine, il Finale, il quale non è stato esente da critiche (giustificate) per via di una costruzione non immune da pecche formali e stilistiche. Questo perché i tre temi dai quali è formato tendono a sovrapporsi talvolta in modo disordinato, poiché il gioco di pesi e contrappesi che sovrintende le idee esposte sfugge di mano a Bruckner, senza però svilire l’essenza più pura di tutta la sinfonia. Per introdurre la Sinfonia n. 7 in mi maggiore , ci possono ancora aiutare le parole al vetriolo che, tanto per cambiare, Eduard Hanslick scrisse in sede di critica l’indomani della prima esecuzione dell’opera a Vienna nel 1886, dopo quella assoluta, avvenuta alla Neues Gewandhaus Großer Saal di Lipsia il 30 dicembre 1884. «Certo non era mai capitato a nessun compositore di esser chiamato alla ribalta quattro o cinque volte dopo ciascun movimento. Bruckner è il nuovo idolo dei wagneriani. [...] Ammetto senza giri di parole di non essere in grado di giudicare con equilibrio questa Sinfonia di Bruckner, tanto mi sembra innaturale, rigonfia, malaticcia e putrescente. Come tutte le composizioni maggiori di Bruckner, anche la Sinfonia in mi maggiore contiene intuizioni geniali, passi interessanti, persino belli - qui sei, là otto battute - tra questi lampi però si spalanca un buio impenetrabile, una noia pesante come piombo e un’eccitazione febbrile». Al di là della consueta perfidia, il temuto critico viennese colse nel segno, poiché è indubbio che questa sinfonia presenta, e visto che parliamo di Bruckner potrà apparire a dir poco incredibile, un sentore quasi malsano, se non addirittura intriso di un’insospettabile sensualità, cosa che rappresentò il tipico fiammifero acceso all’interno di una polveriera, se teniamo conto del putiferio che scoppiò, quando questa sinfonia fu eseguita in Germania e in Austria, tra i paladini wagneriani (ormai già morto e sepolto) e, conseguentemente, bruckneriani, e quelli che parteggiavano per Brahms e, quindi, per Hanslick. Inoltre, non si devono dimenticare i motivi che portarono un regista quale Luchino Visconti, raffinato cultore della musica mahleriana e bruckneriana in un momento storico in cui nel nostro Paese i nomi di questi due compositori erano ancora quasi del tutto sconosciuti ai più, a scegliere proprio passaggi di questa sinfonia come colonna sonora nel 1954 per il suo film Senso . Ma, a dirla tutta, questa sinfonia avrebbe potuto essere perfino la colonna sonora ideale, in termini letterari, per accompagnare quel capolavoro della letteratura scapigliata qual è Fosca di Igino Ugo Tarchetti, trionfo dell’amore malsano, patologicamente irresistibile, che spinge un giovane ufficiale dell’esercito sabaudo a innamorarsi perdutamente di

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