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mondane) che implicavano la presenza della corte medesima. E la corte dei viceré di Napoli era di sicuro la più ricercata, la più grandiosa, la più fastosa tra quelle appartenenti alla corona del re di Spagna. Dobbiamo allo scrittore francese François Maximilien Misson (1650?- 1722), autore del suo celebre Voyage d’Italie avec un mémoire contenant des avis utiles à ceux qui voudront faire le mesme voyage , una testimonianza diretta di questa intensa attività legata alla pratica musicale delle istituzioni

Il cortile interno del Complesso monumentale dei Girolamini, dove Antonio Nola ebbe modo di operare, creando pagine musicali di incommensurabile bellezza e profondità.

religiose napoletane, quando afferma che «ce qui nous a paru le plus extraordinaire à Naples, c’est le nombre et la magnificence de ses églises; je puis vous dire sans exagérer, que cela surpasse l’imagination». A trarre i maggiori benefici da questa incessante richiesta di musica, erano senza dubbio i numerosi compositori che operavano a Napoli in quegli anni, i quali potevano contare su un’offerta di lavoro pressoché illimitata, per non dire, inesauribile. Si spiega in tal senso il continuo passaggio da un incarico all’altro che maestri di cappella, strumentisti, cantanti compivano alla ricerca della migliore retribuzione e del posto di lavoro di maggior prestigio. I musicisti più autorevoli e, dunque, quelli più richiesti, riuscivano a svolgere, contemporaneamente, diversi incarichi e a mantenere il proprio ruolo principale, senza soverchie difficoltà. Nel corso del Seicento e del Settecento, sono questi straordinari artisti a creare il mito di Napoli come capitale della musica in Europa e della sua Scuola napoletana come esempio di uno stile unitario, di un’identità di linguaggio inconfondibile, facilmente identificabile, di un metodo d’insegnamento oggetto di emulazione, ovunque. Basti pensare che un personaggio come Jean-Jacques Rousseau, protagonista indiscusso della scena musicale di quel tempo, nel suo celebre Dictionnaire de musique (Paris, Chez la Veuve Duchesne, 1768) esortava con veemenza «a correre, a volare a Napoli per ascoltare i capolavori di Leo, di Durante, di Jommelli, di Pergolesi», onde farsi un’idea di quel che volesse veramente dire essere un genio musicale. D’altra parte, a Napoli, quella del musicista era considerata una professione ambita, sicura e ricercata che si raggiungeva frequentando uno dei quattro Conservatorî attivi in città. E per essere ammessi a frequentare queste scuole altamente specializzate, nelle quali insegnavano i migliori compositori e strumentisti in attività, bisognava dimostrare di possedere attitudini musicali non di poco conto. Dopo una media di una decina d’anni di studio, chi completava il cursus studiorum , entrava a far parte di un ’élite di musicisti fra i più preparati e apprezzati del tempo.

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