GrooveBack Magazine 002

realtà, l’album si potrebbe definire, almeno per la prima metà, un esempio di rock cameristico, ma anche una sorta di world music ante litteram, oltre che un potente condensato di ciò che significò, a cavallo della metà degli anni Sessanta, vale a dire il blues bianco britannico. Potremmo continuare ad elencare le qualità precipue di questa perla discografica, ma varrà forse la pena di conoscere meglio i suoi singoli brani per rilevare la forza dirompente che scaturì da quelle sessioni. La scaletta è dominata dalla scrittura di Jack Bruce, che si avvaleva per i testi della collaborazione di un poeta come Pete Brown; qualche brano è firmato da Baker, in tandem con Mick Taylor (anch’egli uscito dalla corte dei Bluesbreakers di Mayall); altri appartengono alla tradizione del blues americano; nessuno a firma di Clapton. Quest’ultimo, che potrebbe sembrare dunque sacrificato nella pianificazione e nella realizzazione dell’album, in realtà contribuì alla qualità eccelsa del progetto con un’intensità, un rigore, una duttilità strumentale difficilmente riscontrabili nel resto della sua produzione, troppo spesso appiattita su un melenso registro pop . La sessione in studio si apre con l’esotica, misteriosa, imperiosa White Room , con un Clapton ancora molto lontano dal calligrafismo di maniera degli ultimi anni. Si prosegue con il blues “sbiancato” di Sitting on Top of the World , con la chitarra sdoppiata e sovraincisa un poco arretrata rispetto allo stage sonoro. Passing the Time , di Baker, è un temino infantile punteggiato dal glockenspiel dell’autore e dalla viola del producer Pappalardi, che si apre repentinamente in un tempo duro e con un muro di suono, per poi ritornare alla nenia iniziale. L’acustica As You Said , di Bruce, si avvale dell’impasto timbrico di chitarra e viola. Pressed Rat and Warthog , cantata da Baker, sembra una melodia medievale punteggiata da una tromba, che si staglia sullo sfondo e che prepara l’entrata in scena di Clapton che nel finale travolge. Politician è un altro blues stracolmo di f eeling , che mette in luce Bruce in una delle sue performance più sentite, Baker che affonda col suo drumming apparentemente greve e Clapton che giganteggia in un dialogo con sé stesso da pelle d’oca. Those Were The Days è l’esempio più lampante

di come gli stilemi del rock fossero applicati, nella musica dei Cream, a una scrittura possente, epica. Born Under a Bad Sign , di Booker T. Jones, è un rock blues che scortica la pelle bianca e rivela l’anima nera della loro musica: il brano si regge quasi interamente sul lavoro maiuscolo di Clapton. Deserted Cities of the Heart è altro tema tipico di Bruce, completamente acustico, con un Baker perfetto nella scansione del tempo e, in un finale sfumato, con un altro capolavoro di Clapton, acido, mobilissimo, sorretto dalla solita viola di Pappalardi. Il live parte con un blues-rock al fulmicotone, Crossroads , in cui Clapton

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