GrooveBack Magazine 002

convenzionali ) secondo un ordine seriale precedentemente stabilito, dall’altra parte il severo vincolo dell’adozione di procedimenti compositivi tradizionali di derivazione fiamminga come l’ aggravamento , la diminuzione , l’ inversione , la retrogradazione , svelano la natura intrinseca della dodecafonia: e cioè nulla più che una teoria totalitaria e reazionaria. I danni che Schönberg ha arrecato con la dodecafonia alla storia della musica sono, dal mio punto di vista, incommensurabili: sebbene le correnti avanguardistiche successive abbiano rapidamente relegato il serialismo tra i ferrivecchi, ne hanno ciononostante conservato il blando armamentario teoretico che configura il “comporre” esclusivamente come l’atto di imprimere un ordine al “materiale musicale”, di conferirgli una disposizione che ne coordini o subordini gli elementi secondo una certa prospettiva e dando vita a un genere di musica basata sul presupposto che il valore della composizione si fondi esclusivamente sulla preziosità di una struttura matematicamente esatta che trascura, o giudica del tutto irrilevante, l’aspetto edonistico della realtà sonora. Insomma, l’invenzione di Schönberg ha rappresentato, a mio parere, il tipico caso nel quale la soluzione si è rivelata peggiorativa del problema o, detto diversamente, nel quale la cura ha avuto un effetto più fatale della malattia. A.B.: Nei suoi testi, Maestro Fontanesi, lei non punta il dito solo nei confronti di diversi compositori del Novecento, responsabili, a suo dire, di aver provocato la morte della vera Musica, ma anche contro quei teorici e critici militanti, a partire da Theodor Wiesengrund Adorno, che hanno appoggiato, difeso e propagandato il corso della cosiddetta Neue Musik. Non dico certamente qualcosa di nuovo, se affermo che nel corso del tempo, e questo soprattutto a causa di precisi eventi storici, ossia la Seconda guerra mondiale, con i suoi vincitori e con i suoi vinti, si è venuta a determinare una sorta di posizione manichea; da una parte, il fronte “progressista” nel quale si sono riconosciuti i paladini delle avanguardie, della Seconda scuola di Vienna e dei nascenti corsi estivi di Darmstadt, dall’altra il fronte “conservatore” in cui sono confluiti i superstiti fedeli del “sorpassato” linguaggio tonale. Il tutto ulteriormente rafforzato dal conseguente passaggio allo scontro ideologico, in cui la visione politica di sinistra ha fatto propria la “nuova musica”, mentre una visione politica di destra, pur nelle sue diverse sfumature e particolarità (l’esempio di un “tradizionalista” come Julius Evola che esaltava il jazz e stigmatizzava la musica classica la dice lunga), ha difeso a spada tratta la dimensione “passatista” del linguaggio tonale. A quel punto, la critica militante si è spaccata, dando vita a una disputa “politico-musicale” che in determinati Paesi, come l’Italia e la Germania e parzialmente in Francia, ha assunto connotati particolarmente accesi (Paolo Isotta, dopo aver assistito alla Scala a una rappresentazione del Prometeo di Luigi Nono, scrisse testualmente in un elzeviro del Corriere della Sera: “Signore e signori, la musica è finita”). In parte posso già intuire la sua risposta, ma non crede che la proliferazione della cosiddetta “musica degenerata” (espressione, questa, non inventata dai nazisti, come comunemente si crede, ma dalla critica viennese dei primissimi anni del Novecento, allorquando ascoltò e valutò le prime composizioni cameristiche di Schönberg) sia soprattutto il frutto di una connotazione squisitamente ideologica camuffata da analisi musicale? D.F. : Ritengo che più che una dicotomia tra destra e sinistra, nel clima del dopoguerra abbia giocato un ruolo cruciale la smania dei compositori di voler contribuire allo sviluppo politico, sociale e filosofico, anziché limitarsi a custodire, affinare e

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