GrooveBack Magazine 002

ampliare la propria sapienza artistica per renderla realmente costruttiva. Il valore musicale della composizione passava allora in secondo piano e gli veniva anteposto il proclama ideologico e programmatico che, in effetti, come lei ha sottolineato, era quasi esclusivamente di orientamento progressista. In realtà, sarebbe bastata un’analisi avveduta e nemmeno troppo approfondita per dimostrare come la stragrande maggioranza delle partiture scritte in quel periodo non fossero che degli autentici bluff . Purtroppo, in mani non metafisiche l’analisi musicale smette di essere strumento di verità per trasformarsi invece in strumento di menzogna che riveste l’opera mediocre di intenzionalità fasulle e di pregi inesistenti. Venendo alla Scuola di Darmstadt, penso fosse caratterizzata da un radicalismo e da uno spirito di intolleranza tali da arrivare ad imporre un unico modello linguistico come punto di riferimento (sancendo così la morte della grande tradizione musicale tedesca) perché era una diretta emanazione di Adorno, una sua gemmazione, come una sua creatura era peraltro anche Schönberg. Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, il compositore tedesco più importante e prestigioso era universalmente considerato Hindemith, non certo Schönberg. Adorno, imbevuto del marxismo della Scuola di Francoforte, ormai disperava che il sovvertimento dell’ordine sociale potesse avvenire ad opera della rivoluzione proletaria. E così decise di perseguirlo con altri mezzi. Schönberg vedeva nel sistema dodecafonico uno strumento per esercitare un controllo assoluto sull’universo sonoro. Adorno vi intravede qualcosa di diverso: la dissonanza generalizzata era la via privilegiata per istituire un ordine opposto a quello naturale della scala diatonica e se ne appropria per i suoi scopi di destrutturazione di una società come quella europea di allora, da lui giudicata tradizionale, borghese, moralista, basata sulla famiglia e sull’ordine gerarchico. Nella volontà di propugnare una teoria musicale allo scopo di “estinguere virtualmente il soggetto” e, di conseguenza, mirare alla dissoluzione dei valori a fondamento dell’organizzazione civile, più che un intento politico ci scorgo un intento demoniaco. A.B.: Leggendo i suoi tre saggi e dando un’occhiata ai loro indici dei nomi, mi sono reso conto che nella sua disamina relativa ai compositori del Novecento, soprattutto di quel Novecento musicalmente a lei caro, non sono minimamente presi in considerazione tre autori che invece, in un certo senso, le avrebbero “fatto gioco”, intendo dire Leoš Janáček, Carl Nielsen e Charles Ives. Il primo ha spinto le sue tecniche compositive, esaltando la dimensione dissonantica sulla base dell’asperità della lingua ceca, che utilizzò per i suoi capolavori operistici, pur senza ricorrere a sperimentalismi di sorta, mentre il secondo, purtroppo ancora pochissimo conosciuto ed apprezzato nel nostro Paese, ha saputo evolvere la materia sinfonica senza mai abbandonare il linguaggio tonale, dando così vita a partiture di assoluto valore. Infine, il compositore americano ha sfruttato parzialmente la sua sperimentazione senza però installarsi stabilmente nell’alveo di coloro che tagliarono di netto il cordone ombelicale collegato al linguaggio tonale (personalmente, lo considero, alla faccia di coloro che definiscono Gershwin il migliore prodotto della musica statunitense “colta”, il più importante musicista americano di tutto il ventesimo secolo). Per quali motivi non li ha presi in considerazione per portare ulteriore acqua al suo mulino? D.F. : Janáček, sinceramente, l’ho sempre considerato un autore tardoromantico; certo, con un pensiero senza dubbio originale, melodie basate sulla ripetizione e variazione

61 | GRooVEback002

Made with FlippingBook flipbook maker