Lee Morgan, intorno ai vent’anni, almeno prima di soccombere al vizio dell’eroina, era in grado di suonare costantemente full barrel , senza mai perdere il contatto con la superficie sonora, in forma e sostanza, indipendentemente dal registro, dal tempo e dalla complessità melodica. Sebbene Morgan fosse un trombettista dotato e rappresentativo, se non più, almeno quanto, Miles Davis e Freddie Hubbard, molte delle sue produzioni non sembrano lasciare un’impronta così duratura sugli ascoltatori, e tutto ruota intorno al vendutissimo The Sidewinder . A partire da Search for the New Land egli avrebbe tenuto a freno l’esuberanza giovanile del suo indomito stile, distillando alcune opere più riflessive, persino minimaliste, che fornirono precise indicazioni su ciò che il trombettista sarebbe potuto diventare, se non fosse morto prematuramente. Va detto, per verità storica, che la Blue Note, nonostante avesse prodotto una serie interminabile di capolavori, era sempre in difficoltà economiche e sull’orlo di un tracollo finanziario. Sovente i dischi che vendevano bene, andavano a finanziare altri progetti a rischio, tentando di compensare taluni insuccessi commerciali, che nulla avevano a che fare con il livello qualitativo o artistico di certe opere. In effetti, sfogliando il nutrito catalogo della Blue Note, ci si avvede che alcuni tra i dischi più riusciti ed innovativi sono tutt’altro che successi in termini di vendite, poiché basati su una maggiore complessità compositiva e una struttura ritmico-armonica più avant-garde , meno immediati, friabili e fruibili da quanti si aspettavano un boogaloo alla settimana da parte di Lion e soci. Non a caso, fra il 1956 e il 1963, pur essendo considerato un musicista importante in casa Blue Note, il rapporto del trombettista con l’etichetta di Alfred Lion e Francis Wolff fu piuttosto inquieto e altalenante: in quel lasso di tempo Lee non raggiunse mai un determinato livello di vendite e un traguardo commerciale soddisfacente. Infatti, tra Morgan e la Blue Note ci fu una specie di iniziale amore-odio di lascia e piglia e alcuni suoi album uscirono con ben altre cinque differenti etichette: Savoy, Speciality, Vee-Jay, Roulette e Jazzland. A sostegno di questa tesi abbiamo voluto scegliere tre album del trombettista che non sempre compaiono nelle classifiche di gradimento e nelle segnalazioni di critici ed esperti: City Lights è il primo disco in cui Morgan cerca un elemento diversificatore o sperequativo rispetto al più tradizionale asset bebop . Non si dimentichi che mentre il trombettista di Filadelfia era proiettato all’interno di una erigenda carriera come solista, faceva ancora parte dell’ entourage di Dizzy Gillespie. Qualche settimana più tardi, nel settembre dello stesso anno, la collaborazione con Coltrane rafforzò in lui taluni convincimenti, almeno un desiderio di cambiamento, che rimase però sempre in nuce : Lee Morgan restò per tutta la sua carriera mirabilmente intrappolato - e sottolineo mirabilmente - nel tipico schema di gioco bebop-hard-bop , su quell’asse cartesiano che univa in maniera ortogonale Gillespie e Blakey. Specie in tale circostanza, fu assai difficile per il diciannovenne Morgan svincolarsi dall’idea di essere, sempre e comunque, il Charlie Parker della tromba deciso a suonare come Clifford Brown. Nel corso di questa sessione il trombettista di Filadelfia intercettò alcune intuizioni che saranno sviluppate, purtroppo in un futuro tardivo, quando egli era già logorato dagli eccessi e prematuramente precipitato in una fossa a causa di eventi non del tutto estranei al suo caotico e sregolato stile di vita. Una prima linea con tre strumenti a
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