La Sonata in re per clarinetto e pianoforte è un gioiello di equilibrio e di efficacia timbrica; il primo tempo, un Allegretto scorrevole, vede i due strumenti dialogare ed esporre i temi attraverso una luminosa cantabilità. Questa atmosfera, che a volte diviene trasognata, viene bruscamente annullata con l’irruzione dell’Andante quasi adagio, che dona subito un connotato misterioso al dispiegarsi delle linee melodiche, le quali sono evidenziate dal basso sincopato del pianoforte e da un più disteso cantare del clarinetto che assume a tratti contorni di mestizia. Al contrario, l’Allegro scorrevole finale vede ancora i due strumenti riproporre, in toni decisamente più vivaci e ironici, la relazione di dialogo che si era stabilita nel primo tempo. Ma è sicuramente l’ultimo brano, il rarissimo Lo spiritismo nella vecchia casa per clarinetto solo, a rappresentare il vertice di questa registrazione. Come spiega Luca Lucchetta nelle note di accompagnamento, il clarinetto per cui Nino Rota scrisse questo pezzo era uno strumento diverso da quelli in uso attualmente, in quanto disponeva di un fusto inferiore allungato e di una chiave in più, il che gli permetteva di ampliare verso il grave di un semitono la propria estensione. Così, per fini del tutto pratici, l’edizione moderna della composizione, desunta dalla copia del manoscritto conservato presso la biblioteca della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, è stata trasposta per permettere agli strumenti attualmente in uso di poter eseguire il brano, anche se inevitabilmente in questo modo si è persa la profondità di suono delle note gravi a cui Rota si era sicuramente ispirato per rendere più suggestiva questa composizione. Inoltre, la presente registrazione di questo brano è stata possibile grazie a un clarinetto messo a disposizione dalla casa costruttrice Buffet & Crampon di Parigi, che è dotato del meccanismo necessario per avvicinarsi il più possibile al timbro dello strumento originale. Suddiviso in due parti, ossia Sei variazioni e Tre suggestioni , questo pezzo scava in fondo nel mistero compositivo di Nino Rota, in quanto fa capolino un sapore agrodolce che non sempre traspare nella sua opera, ma che si identifica perfettamente, epidermicamente con l’estetica cinematografica felliniana. Qui, virtuosismo, tecnica, e allo stesso tempo, espressività e ricerca timbrica dello strumento (forse il più amato da Nino Rota, nel quale timbricamente sembrava riconoscersi) la fanno da padrone, obbligando l’interprete a un dominio assoluto della struttura e dei mutevoli cambiamenti che permettono di visionare varie tonalità di grigio, tali da sondare in profondità l’animo dell’ascoltatore. La lettura fatta dai tre interpreti avrebbe, a mio modo di ascoltare, suscitato ammirazione nello stesso Nino Rota, in quanto il loro articolarsi tra i meandri di un’armonia, che deve viaggiare sul filo del rasoio con una melodia in cui si possa cogliere sia la mestizia, sia l’ironia, sia l’amarezza camuffata dell’umano vivere, è pienamente convincente. La leggerezza, a volte la spensieratezza, con la quale riescono a riempire il dato ritmico, è davvero encomiabile, frutto di una piena comprensione dell’estetica del musicista milanese e delle sue partiture. Luci e ombre si susseguono in modo incalzante, dispensando manciate di felicità e di filosofia spicciola, quella che serve per affrontare le afflizioni della vita quotidiana, perché in fondo, lo scopo di Nino Rota è stato di far capire che la sua musica, che fosse per il cinema o meno,
89 | GRooVEback002
Made with FlippingBook flipbook maker