GrooveBack Magazine 002

il suo contributo musicale che propone sia nel genere classico, sia in quello più prettamente jazz. Nato nel 1971, Vijay Iyer è stato nominato Artista dell’anno 2015 dalla prestigiosa rivista DownBeat e Pianista dell’anno 2014. Sempre nel 2014 ha avuto un incarico permanente di docenza presso il dipartimento di musica dell’Università di Harvard. Al di là del suo lavoro didattico, Vijay Iyer ha pubblicato venti album che vanno a coprire territori musicali dalla classica al

A sinistra, il sassofonista John Stubblefield (© Jimmy Katz) e, a fianco, la pianista Geri Allen. Di queste due icone jazz, Vijay Iyer ha ripreso e condensato due loro celebri brani, rispettivamente Free Spirits e Drummer’s Song.

jazz, passando attraverso le colonne sonore (non per nulla, il suo lavoro più ambizioso è rappresentato dal soundtrack di Radhe Radhe , l’ultimo film del regista americano Prashant Bhargava). Queste informazioni succinte sono sufficienti per comprendere che ci troviamo di fronte a un artista totale, a tutto tondo, capace di plasmare la materia sonora sotto diversi e molteplici aspetti, andando a sondare più territori sonori mediante un uso originale e geniale della struttura armonica, attraverso la quale riesce a far affiorare un coinvolgente e affascinante edificio melodico. Una lampante e illuminante dimostrazione di tali capacità viene esemplificata proprio in Compassion , un lavoro discografico formato da dodici brani, nove dei quali farina del sacco del nostro musicista, mentre gli altri tre provengono rispettivamente da Stevie Wonder ( Overjoyed ), dal mentore di Vijay Iyer, ossia Roscoe Mitchell ( Nonaah ), e da John Stubblefield & Geri Allen ( Free Spirits/Drummer’s Song ). Cominciamo proprio da questi ultimi tre pezzi. La versione che Iyer dà di Overjoyed , un classico di Stevie Wonder, nasce da un’occasione speciale, ossia quando nel 2022 il pianista e compositore di Albany ricevette in dono il pianoforte posseduto da Chick Corea, morto l’anno precedente. Proprio con quello strumento, Corea aveva tenuto il suo ultimo concerto e tra gli ultimi pezzi da lui presentati c’era anche quello di Stevie Wonder; così, Vijay Iyer ha voluto riproporlo nel suo disco come una sorta di ideale testimonianza, restituendo di fatto la tipica elettricità musicale dell’artista di Saginaw, un profluvio sonoro in cui la cascata timbrica è tale che quello che il trio riesce a sprigionare a livello volumetrico sembra quello proposto da una band ben più corposa. Dal pop fantasmagorico di Stevie Wonder allo sperimentalismo acceso e provocatorio di Roscoe Mitchell: un abisso li separa, ma Vijay Iyer se ne fa un baffo e trasforma il suo pianoforte come se fosse timbricamente un’estensione del sax del musicista di Chicago; sotto le sue dita la tastiera diviene una scala i cui pioli si scompongono, giocano mallarmémente a dadi con Dio, rotolano per terra per essere ripresi uno ad uno dal pianista di Albany, che non perde mai la matassa armonica, prodigiosamente sorretto dalla batteria di Tyshawn Sorey che tratta le bacchette come se fossero due mazze da baseball. Infine, come ideale

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