Newsletter di Ateneo n°6 #limite
UNINEWS TORVERGATA
Dicembre 2025 n°10
#metropoli
SOMMARIO
#Metropoli
In apertura di Nicola Blefari Melazzi La metropoli come aula di Francesco Fabbro Metropoli digitali o “cittadini analogici”? di Elisabetta Corapi Dai satelliti un aiuto per le città del futuro di Fabio Del Frate L’epitelio respiratorio nelle città inquinate di Paola Rogliani e Gian Marco Manzetti L’esposoma urbano di Andrea Piano Mortari Innovazione, il salvavita delle città di Amadeo Balbi
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Direttrice responsabile Lucia Ceci
Progetto grafico Adriana Escobar Rios
UNINEWS TORVERGATA Contatti: uninews@uniroma2.it Web: https://n9.cl/uninewstv
Photo editor Riccardo Pierluigi
Web Scilla Gentili
Redazione Amadeo Balbi, Thomas M. Brown, Maria Novella Campagnoli, Marilena Carbone, Francesco Cirulli, Claudia Roberta Combei, Tommaso Continisio, Maria Rosaria D’Ascenzo, Adriana Escobar Rios, Francesco Fabbro, Scilla Gentili, Francesca Grandi, Emanuela Liburdi, Federica Lorini, Michela Rustici, Andrea Sansone, Sabina Simeone
Chiuso in redazione: 9 dicembre 2025
di Nicola Blefari Melazzi* In apertura
Le metropoli di oggi non sono solo luoghi fisici, ma nodi intelligenti di una rete globale in cui l’intelligenza artificiale sta assumendo un ruolo sempre più centrale. Il futuro della città dipenderà anche da come sapremo distribuire questa intelligenza: non più solo confinata nei grandi data center, ma diffusa ai bordi della rete, nei quartieri, negli edifici, nei dispositivi che usiamo ogni giorno. L’AI diventerà parte dell’infrastruttura urbana, un motore invisibile capace di rendere i servizi più fluidi, adattivi e personali. I nostri telefoni non saranno più raccolte di applicazioni, ma semplici interfacce verso sistemi intelligenti in grado di comprendere linguaggio, gesti e contesto. Basterà far capire o dire o scrivere ciò di cui si ha bisogno e l’intelligenza distribuita della città risponderà, restituendo il servizio richiesto. In questo scenario, la metropoli si trasforma in un grande organismo cognitivo, dove ogni dispositivo e ogni abitante diventano parte di una rete di pensiero condiviso. Le metropoli del nostro tempo assomigliano sempre più a organismi viventi. Respirano, si ammalano, comunicano, pensano. Nei loro polmoni scorre l’aria inquinata dei motori e dei riscaldamenti, nelle vene digitali circolano dati e informazioni, e nei loro spazi si intrecciano storie umane, culturali e tecnologiche. I contributi provenienti da Medicina, Economia, Giurisprudenza, Ingegneria, Lettere e
Filosofia e Scienze MM.FF.NN raccontano una stessa realtà da prospettive diverse: la città è diventata il laboratorio dove si sperimentano le forme del futuro. Il respiro delle città Il punto di partenza è il corpo. Le città si riflettono nei nostri polmoni, come un microcosmo biologico che risponde agli stimoli dell’ambiente. L’epitelio respiratorio, sottile barriera tra il dentro e il fuori, combatte ogni giorno contro le particelle sottili e i gas che fluttuano nell’aria urbana. È una frontiera fragile ma viva, capace di difenderci e al tempo stesso di infiammarsi. Quando l’aria è malata, anche la città lo è. Prendersi cura dell’ambiente urbano diventa così un atto di salute pubblica, un modo per proteggere i corpi individuali e quello collettivo.
*Delegato del Rettore all'Innovazione digitale - blefari@uniroma2.it
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L’esposoma urbano: come la città ci modella Il contributo economico amplia questa visione, ricordandoci che la salute non nasce solo negli ospedali. Tutto ciò che viviamo – l’aria che respiriamo, i suoni che ci circondano, la presenza di alberi, la distanza dai servizi, le strade che percorriamo – modella nel tempo la nostra vita biologica e sociale. È ciò che i colleghi chiamano esposoma urbano: il mosaico di esperienze ambientali che ci accompagna. In questa prospettiva, i dati raccolti dai sensori, dalle mappe e dagli strumenti digitali non sono solo numeri, ma tracce della nostra esistenza condivisa. Se gestiti in modo equo, possono diventare la chiave per costruire città più sane, democratiche e accessibili. La città intelligente e il diritto alla libertà Ma la tecnologia, se non governata, può trasformarsi in sorveglianza. Le smart cities promettono efficienza, sostenibilità, comfort, ma raccolgono anche una quantità inedita di informazioni personali. Il diritto deve allora reinventarsi per difendere la libertà nella rete urbana. L’idea di Habeas Data – estensione moderna dell’ Habeas Corpus – ci ricorda che ogni informazione su di noi è parte del nostro corpo civile. Proteggere i dati significa proteggere la dignità. La città del futuro, per essere davvero
intelligente, dovrà essere anche una città dei diritti.
Lo sguardo dallo spazio Dall’alto, i satelliti osservano le città come tessuti pulsanti. Le immagini raccolte dai programmi IRIDE e Copernicus raccontano dove il calore si concentra, dove l’inquinamento soffoca, dove i ponti e le case mostrano segni di fragilità. La tecnologia permette oggi di vedere ciò che fino a pochi anni fa era invisibile e di reagire. Ma la conoscenza, per essere utile, deve essere condivisa: la formazione e la cultura scientifica diventano strumenti civici per leggere il paesaggio urbano e orientare le scelte collettive. La città come aula La riflessione delle scienze umane riporta tutto al cuore dell’esperienza. Marshall McLuhan e i suoi collaboratori immaginavano la metropoli come un’aula diffusa, dove ogni strada, schermo o cartellone diventa occasione di apprendimento. Vivere nella città significa imparare a leggere i segni che essa produce, decifrare i suoi media e i suoi linguaggi, riconoscere come la tecnologia modella il pensiero e la percezione. L’educazione non è più confinata nelle scuole, ma si espande nella vita quotidiana: la città è maestra e specchio, spazio di esplorazione e di dialogo.
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Come cambiano le città crescendo Infine, le Scienze MM.FF.NN mostrano che le città possono essere analizzate attraverso leggi di scala: molte grandezze urbane – produttività, innovazione, reddito, infrastrutture, consumi – variano in modo distinto al crescere della popolazione. Le metropoli non sono semplicemente versioni ingrandite delle piccole città, ma sistemi che accelerano grazie alle interazioni sociali, generando più innovazione. Al contrario, infrastrutture come strade, reti idriche o fognarie aumentano meno che proporzionalmente, rendendo le città maggiori relativamente più efficienti. I consumi e i bisogni individuali, invece, crescono proporzionalmente alla popolazione. Questa prospettiva aiuta a comprendere perché le metropoli siano insieme motori di sviluppo e contesti vulnerabili, in un equilibrio dinamico. Un organismo chiamato metropoli Dalla scienza alla filosofia, dal diritto alla tecnologia e alla medicina, emerge una visione comune: la metropoli è un organismo complesso fatto di corpi, dati, relazioni e sogni. Governarla non significa solo gestire infrastrutture, ma curare la sua salute e quella dei suoi abitanti. Le città del XXI secolo saranno davvero sostenibili solo se sapranno unire innovazione e giustizia, conoscenza e partecipazione. In fondo, ogni metropoli racconta ciò che siamo: un intreccio di vita, intelligenza e fragilità che continua a reinventarsi, giorno dopo giorno, tra cemento, alberi e bit.
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LA METROPOLI COME AULA
di Francesco Fabbro*
A distanza di quasi mezzo secolo dalla sua pubblicazione, il volume City as a Classroom. Understanding Language and Media (1977) di Marshall McLuhan, Kathryn Hutchon ed Eric McLuhan sembra ancora in grado di offrire alcuni spunti pedagogici e didattici per comprendere e sostenere i processi di apprendimento negli attuali contesti urbani sempre più saturi di media.
Quest’opera di Marshall McLuhan e collaboratori si differenzia, per intenti e stile, dalle sue pubblicazioni di gran lunga più note come The Gutenberg Galaxy (1962) e Understanding Media (1964) in cui ritroviamo alcune espressioni per le quali il massmediologo canadese è ancora oggi ricordato, da «il medium è il messaggio» al «villaggio globale». Sebbene anche ne La città come aula , come in tutte le opere di McLuhan, l’argomento corrisponda sempre agli effetti psico-sociali dei media, in questo caso l’intento non è meramente teorico-speculativo ma esplicitamente pedagogico e operativo. Oltre a ciò, lo stile espositivo immaginifico, dissociato e dissociante tipico di McLuhan lascia il passo ad una scrittura lineare e didascalica che generalmente caratterizza i manuali
scolastici. Il volume, infatti, può dirsi a tutti gli effetti una guida di educazione critica ai media che, per certi versi, ha anticipato alcune intuizioni epistemologiche, pedagogiche e metodologiche sviluppate successivamente nel campo della Media Literacy Education. Il presupposto di fondo de La città come aula è che l’educazione si debba inevitabilmente confrontare con l’ambiente dei media. In particolare, l’educazione dovrebbe favorire una presa di coscienza critica della varietà dei contesti mediatici in cui siamo immersi, della forma e della grammatica dei diversi media e delle dinamiche di potere sottese. In un mondo che si trasforma ad una velocità crescente e di cui le metropoli
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*Professore associato di Pedagogia sperimentale - francesco.fabbro@uniroma2.it
contemporanee sono l’emblema, l’«analisi figura-sfondo» è proposta come opzione metodologica per studiare i problemi in rapporto all’evoluzione dell’ambiente (urbano e mediale) in cui si situano. Considerando che ogni esperienza accade in un ambiente (sfondo) e non in isolamento da esso, lo sfondo o struttura sottostante all’esperienza fornisce le condizioni per cogliere coscientemente ogni elemento che si presenta come figura. Da questa prospettiva, l’educazione si configura come ricerca ed esplorazione della metropoli mediatizzata. Nello «spazio acustico» del «villaggio globale» e della «città magnetica», per riprendere il lessico macluhaniano, l’individuo è chiamato a partecipare attivamente, attraverso la totalità dei sensi, all’esplorazione dell’ambiente. Ne La città come aula , si invita ad esplorare l’ambiente circostante, attraverso una serie di domande ed esercitazioni di gruppo per comprendere proprietà ed effetti di diversi media sulla vita e sulle abitudini a casa, a scuola e nell’ambiente sociale dello studente esploratore. Si tratta di una strategia didattica in cui l’esplorazione attiva dell’ambiente si alterna ricorsivamente al dialogo tra esploratori. In continuità con la pedagogia attiva di Dewey, l’educatore non impone valori ma cerca di favorire la
ricerca e lo sviluppo delle capacità critiche. In tal senso, l’analisi dei media deve anche portare a chiedersi quali fenomeni sociali produce la presenza dei media, perché su base storica se ne sono sviluppati alcuni e non altri, che rapporto esiste tra questo sviluppo e le forze politiche, economiche e sociali presenti in un determinato contesto. Giulia Conti, nella nuova edizione italiana presenta una sperimentazione didattica del metodo mcluhaniano con studenti e studentesse universitari/e, agire efficacemente come leva concettuale e interpretativa per portare l’apprendimento su un livello inedito di complessità. Della sperimentazione si evidenzia in particolare come tale approccio abbia favorito l’ agency dei discenti nel processo di co-costruzione della comprensione critica dei media. In tal senso, come si affermava nel manuale del 1977, forse anche nelle metropoli-aule contemporanee «comprendere le strutture (dei media) ci mette tutti in grado di evitare la sensazione di impotenza e frustrazione che ci fa desiderare di gridare “Fermate il mondo! Voglio scendere!”».
Fonti
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“CITTADINI ANALOGICI”? METROPOLI DIGITALI O
L’Agenda ONU per il 2030 e l’Accordo di Parigi del 2015 riconoscono il ruolo determinante rivestito dagli insediamenti umani e in particolare dai contesti urbani: oggi la metà della popolazione mondiale vive in metropoli che occupano complessivamente il 2% della superficie terrestre ed emettono l’80% dei gas serra. L’Obiettivo 11 dell’Agenda ONU esige di “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” e, tra i vari progetti che permettono di perseguirlo efficacemente, si annoverano quelli incentrati sulla realizzazione delle Smart Cities , che sono finalizzate allo sviluppo e al benessere dei cittadini attraverso soluzioni intelligenti, basate sull’utilizzo delle nuove tecnologie economicamente, ecologicamente e socialmente sostenibili. Si pensi ai progetti sullo smart mobility e traffic management , ai servizi pubblici digitalizzati, o anche alla gestione intelligente dello smaltimento dei rifiuti, della qualità dell’aria e della fornitura di acqua ed energia rinnovabile. È evidente che in questo contesto digitalizzato i dati dei cittadini sono il vero motore dello sviluppo delle Smart Cities e dei servizi pubblici e privati che potranno in futuro essere offerti. Pensiamo ad esempio alla domotica nell’arredo urbano delle Smart Cities , o all’ubiquità di sensori installati nei contesti più disparati: dagli impianti di raccolta dei rifiuti urbani ai sistemi di gestione del traffico, del parcheggio e dell’illuminazione, alla pubblicità digitale e poi alla geolocalizzazione energetica, al tracciamento telefonico, nonché alla sorveglianza con videocamere e al riconoscimento facciale. Tuttavia, la conseguenza di tutto questo è un’incessante raccolta e trattamento di dati personali di residenti o di transitanti per la
di Elisabetta Corapi*
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*Professoressa associata di Diritto Privato Comparato - corapi@juris.uniroma2.it
città intelligente. Ciò richiede di analizzare i rischi connessi all’utilizzo illecito di tali dati o per finalità ulteriori rispetto a quelle dichiarate ai cittadini (soprattutto quelli connessi a big data, cloud e IoT). Come ricordato profeticamente da Stefano Rodotà, proprio da qui nasce l’invocazione di un Habeas Data , indispensabile sviluppo di quell’ Habeas Corpus , da cui, dalla Magna Carta in poi si è storicamente sviluppata la libertà personale. Ogni trattamento di singoli dati deve dunque essere considerato come se si riferisse al corpo nel suo insieme e in questo nuovo mondo la data protection adempie alla funzione di
assicurare quel principio di Habeas Data che i tempi mutati esigono, diventando così, come è avvenuto con l ’Habeas Corpus, un elemento inscindibile dalla civiltà. Si impone pertanto una riflessione sulle misure di sicurezza e protezione dei dati da adottare in futuro e più in generale sull’evoluzione dei concetti di privacy e dignità nei nuovi scenari delle Smart Cities , quale passaggio ineludibile per definire i caratteri che la democrazia sta assumendo nel bilanciamento con il necessario sviluppo sostenibile e le sue varie forme di realizzazione.
Fonti
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PER LE CITTÀ DEL FUTURO SATELLITI AIUTO UN DAI
di Fabio Del Frate*
all’infrarosso e sistemi radar, per acquisire e analizzare dati e immagini contenenti una varietà di informazioni su come le città cambiano e su come reagiscono agli stress antropici. Di fatto, IRIDE si aggiunge al programma Copernicus, finanziato e gestito dall’Unione Europea, che già alcuni anni fa aveva rappresentato un enorme balzo in avanti nell’uso delle piattaforme satellitari per la generazione di servizi informativi in tema di ambiente e di gestione del territorio. Ma vediamo, con alcuni semplici esempi, come queste tecnologie possono concretamente supportare la pianificazione di soluzioni in grado di migliorare la nostra qualità della vita di cittadini e cittadine. Nei centri urbani in estate spesso si verifica un fenomeno microclimatico, detto isola di calore, che comporta un surriscaldamento locale rispetto alle zone periferiche o alle campagne. Questi aumenti di temperatura possono avere un forte impatto sulla
La città è un sistema esteso nello spazio con forti disomogeneità.
Aggrega luoghi con caratteristiche molto distanti da vari punti di vista: sociale, architettonico, ambientale. Per valorizzare in maniera efficace queste diversità, così da progettare ambienti più vivibili e sostenibili, è senz’altro necessario dotarsi di strumenti in grado di fornire delle visioni sinottiche, che permettono cioè analisi comparative, e allo stesso tempo oggettive, tra le varie componenti geografiche che formano il tessuto urbano. Possiamo dire che, oggi, questi strumenti ci sono. L’Italia in particolare ha investito una parte importante delle risorse del PNRR per sviluppare una capacità di osservazione del territorio senza precedenti, e, potremmo dire con orgoglio, senza pari al mondo. Si tratta del programma IRIDE, fino a 60 satelliti messi in orbita con strumentazioni di vario tipo, basate su sensori ottici,
*Professore Ordinario di Campi elettromagnetici - fabio.del.frate@uniroma2.it
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In Europa, la scarsa qualità dell’aria è ritenuta responsabile di centinaia di migliaia di morti premature ogni anno. Le immagini sulle città acquisite dallo spazio possono monitorare le concentrazioni di inquinanti molto pericolosi come il PM10 e il PM2.5, mostrando in particolare quali siano le aree più esposte, dove i livelli variano e superano anche le soglie raccomandate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Con una ripetitività di acquisizione sulla stessa area fino a 10 minuti, i satelliti possono anche essere molto utili nella gestione delle emergenze dovute a fenomeni naturali, quali le alluvioni o i terremoti, permettendo non solo il monitoraggio immediato dei danni nelle aree più colpite ma anche la realizzazione di mappe di rischio a fini preventivi. Quelli presentati sono solo alcuni esempi in cui l’uso del dato satellitare può fornire preziose indicazioni per le città del futuro, efficienti e rispettose dell’ambiente. A questi possono aggiungersi applicazioni riguardanti la gestione del traffico, l’identificazione di coperture con materiali pericolosi quali l'amianto, il controllo della stabilità di ponti ed edifici. Tuttavia, i dati di Osservazione della Terra rimangono ancora non di immediata interpretazione o utilizzo per diventare un significativo strumento per il supporto alle decisioni. Per questo è auspicabile che lo sviluppo e la messa in esercizio di questa preziosa tecnologia sia sempre accompagnato da un adeguata attività di formazione.
Figura 1. Le temperature della superficie di Roma, in Italia, il 17 luglio 2023, misurate dallo spazio alle 22:23. Credit NASA
Figura 2. Prima immagine della costellazione IRIDE su Roma (ritaglio su Quartiere Prati, Monte Mario, Basilica di S. Pietro), acquisita il 5 Marzo 2025. Credit: IRIDE
salute pubblica, con effetti particolarmente gravi sulle persone più vulnerabili. Generano anche un maggiore carico sulle reti di distribuzione dell’energia elettrica, con conseguente incremento di costi ed emissioni inquinanti. In tale contesto il monitoraggio da satellite permette di individuare le zone in cui il riscaldamento è più acuto e pianificare quindi i necessari interventi di mitigazione, per esempio aumentando la presenza di aree vegetate, che favoriscono dinamiche di raffreddamento. Un altro elemento essenziale per la qualità della vita nelle città riguarda l’inquinamento atmosferico.
Fonti
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RESPIRATORIO L’EPITELIO
INQUINATE
NELLE CITTÀ
di Paola Rogliani e Gian Marco Manzetti*
Il nostro organismo necessita di elevate quantità di ossigeno per svolgere le sue funzioni vitali e, al tempo stesso, deve eliminare in modo efficiente l’anidride carbonica prodotta dal metabolismo cellulare.
Anche in condizioni di lieve attività fisica, si stima che il consumo giornaliero di ossigeno possa superare i 500 litri. Per soddisfare questa esigenza, l’apparato respiratorio dispone di una superficie estremamente estesa per lo scambio gassoso. Secondo diverse stime, la superficie totale degli alveoli polmonari può raggiungere i 140 m², quasi quanto un campo da tennis. Tale estensione rappresenta la più ampia superficie del corpo umano direttamente esposta all’ambiente esterno e, dunque, a tutto ciò che respiriamo. Questa caratteristica garantisce un’efficiente ossigenazione, ma rappresenta anche una via d’accesso per microrganismi, fumo di sigaretta e sostanze inquinanti, sia indoor che outdoor. Una condizione particolarmente rilevante nelle aree urbane con elevati livelli di inquinamento atmosferico.
Per proteggere questa superficie sensibile, l’apparato respiratorio è dotato di numerosi meccanismi di difesa, che ostacolano il passaggio diretto degli agenti esterni nello spazio respiratorio. In questo sistema, l’epitelio delle vie aeree svolge un ruolo cruciale: non è solo una barriera meccanica, ma una struttura dinamica e attiva dal punto di vista immunologico. Le cellule epiteliali sono infatti capaci di riconoscere stimoli dannosi e di rispondere producendo molecole segnale, come le allarmine, che attivano il sistema
*Professoressa ordinaria di Malattie dell’Apparato Respiratorio, – paola.rogliani@uniroma2.it Dottorando di Ricerca in Medicina Sperimentale e dei Sistemi – gianmarco.manzetti@alumni.uniroma2.eu
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immunitario richiamando i globuli bianchi (immunità cellulo-mediata) o stimolando la produzione di anticorpi (immunità umorale). L’epitelio respiratorio, dunque, è un elemento chiave nell’immunità di barriera. Tuttavia, in presenza di stimoli irritativi persistenti, come quelli presenti nell’aria nquinata, la sua attivazione può diventare eccessiva, favorendo l’instaurarsi di processi infiammatori cronici. Un esempio rilevante è rappresentato dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), caratterizzata dalla progressiva distruzione degli alveoli (enfisema) e dall’infiammazione cronica dei bronchi (bronchite cronica). Sebbene storicamente associata al fumo, studi recenti indicano che, nei Paesi a basso e medio reddito, fino al 50% dei casi può essere attribuito all’inquinamento atmosferico. Particolato fine (PM10, PM2.5), ozono, ossidi di azoto e metalli pesanti sono tra i principali agenti
implicati. Le cellule epiteliali, in particolare, sembrano avere un ruolo centrale nell’innesco e nel mantenimento dell’infiammazione. Anche nell’asma, malattia infiammatoria cronica con ostruzione reversibile delle vie aeree, l’epitelio svolge un ruolo determinante.
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La cui disfunzione contribuisce alla persistenza dell’infiammazione e alla variabilità del flusso aereo, soprattutto nelle forme più gravi. L’epitelio delle vie aeree non è quindi un semplice rivestimento, ma una componente attiva e specializzata del sistema di difesa polmonare. Sebbene essenziale nella protezione da agenti patogeni e sostanze irritanti, una sua attivazione prolungata può contribuire alla progressione di patologie respiratorie croniche. Questo ambito rappresenta oggi una delle frontiere più attive della ricerca. Un farmaco anti-allarmine è già stato approvato per l’asma grave, e strategie simili sono in fase di sperimentazione per la BPCO. La crescente conoscenza del ruolo dell’epitelio respiratorio sta aprendo nuove prospettive terapeutiche, mirate non solo al controllo dell’infiammazione, ma anche alla salvaguardia della barriera respiratoria.
In questo contesto la protezione dell’apparato respiratorio, inteso come sistema integrato, rappresenta una priorità di sanità pubblica. Ridurre l’esposizione agli inquinanti, rafforzare le difese epiteliali e intervenire precocemente sui processi infiammatori è essenziale per prevenire e limitare l’impatto delle malattie respiratorie croniche, soprattutto nelle popolazioni esposte ai rischi ambientali delle aree metropolitane.
Fonti
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L’ESPOSOMA URBANO
di Andrea Piano Mortari *
disturbi respiratori e mentali. Studi europei mostrano che i quartieri ricchi di servizi e facilmente percorribili favoriscono l’attività fisica, i legami sociali e una migliore salute metabolica e cognitiva. Ricerche condotte in diverse città europee rivelano che chi vive in aree più “camminabili” compie in media 1.100 passi in più al giorno, con benefici duraturi sul benessere e sulla mente, soprattutto per gli anziani e le persone vulnerabili. Questa nuova prospettiva sulla salute nasce dai progressi della scienza dell’esposoma, che consente di analizzare non un solo fattore, ma l’intero mosaico di esposizioni. Grazie a mappe ad alta risoluzione, sensori personali e analisi di big data, oggi possiamo monitorare con precisione l’inquinamento, il rumore, la temperatura e la presenza di spazi verdi. Strumenti come l’Indice di Prossimità NEXI, ispirato al modello della città dei 15 minuti , e il nuovo indice europeo di camminabilità ad alta risoluzione aiutano a misurare la qualità urbana e a progettare città più sane, accessibili e sostenibili.
La salute non dipende solo dai medici, dai farmaci o dai geni. I geni spiegano infatti solo una piccola parte del perché ci ammaliamo: molto dipende anche dagli ambienti in cui viviamo e dai nostri stili di vita. Gli scienziati chiamano esposoma l’insieme di tutti i fattori ambientali – sociali, fisici e chimici – che influenzano la salute nel corso della vita. E poiché oltre metà dell’umanità vive in città, gran parte del nostro esposoma è ormai urbano. L’esposoma urbano comprende tutto ciò che nelle città incide sul benessere: aria e rumore, temperatura, qualità degli edifici, spazi verdi e blu, possibilità di muoversi a piedi o in bici, accesso ai servizi, condizioni sociali e persino gli ambienti digitali. Questi fattori interagiscono nel tempo, modellando abitudini, stili di vita e processi biologici. Le esposizioni urbane sono oggi tra i principali motori delle malattie croniche come diabete, patologie cardiovascolari,
Per comprendere davvero l’esposoma
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*Ricercatore Tenure Track in Scienza delle Finanze - andrea.pianomortari@uniroma2.eu
urbano serve però un uso equo dei dati. Molte informazioni su mobilità, qualità dell’aria o consumi energetici sono ancora controllate da attori privati. Il Blueprint New Hanse , sviluppato con la Città di Amburgo, propone di trattare i dati urbani come un bene comune, a beneficio di tutti i cittadini. Questa visione collega la gestione dei dati alla democrazia, alla sostenibilità e al diritto alla salute.
Figura 2. Illustrazioni di Mario Magaña — WeDo Projects Intelligence Made Easy, S.L.
Anche l’Italia contribuisce in modo determinante a questo sforzo. L’Università di Roma Tor Vergata è al centro di due progetti Horizon Europe: LONGITOOLS, che studia come l’esposoma esterno influenzi le malattie cardiometaboliche lungo l’arco della vita, e STAGE, che collega ricerca sull’esposoma e invecchiamento per promuovere una longevità sana. Insieme, questi progetti mostrano come la ricerca europea stia ridefinendo il modo in cui comprendiamo il legame tra città, ambiente e salute. L’esposoma urbano ci ricorda che la salute non nasce solo negli ospedali, ma anche nelle strade, nei parchi, nelle case e nei luoghi di lavoro. Unendo scienza, politiche pubbliche e una gestione democratica dei dati, possiamo costruire città che non solo riducono le malattie, ma generano salute, equità e sostenibilità per tutti.
Figura 1. Illustrazioni di Mario Magaña — WeDo Projects Intelligence Made Easy, S.L.
A livello europeo, la scienza dell’esposoma è sempre più riconosciuta come pilastro di una politica sanitaria preventiva. Il Parlamento Europeo, attraverso il gruppo STOA, stima che fino al 90% dei rischi di malattie croniche sia legato a esposizioni ambientali evitabili. Le reti International Human Exposome Network (IHEN) e European Human Exposome Network (EHEN) lavorano per armonizzare i dati, collegare i grandi progetti di ricerca e trasformare le scoperte scientifiche in politiche concrete, integrando l’esposoma nelle strategie su clima, mobilità e pianificazione urbana.
Fonti
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INNOVAZIONE, IL SALVAVITA DELLE CITTÀ
È la domanda che si pose, ormai quasi due decenni fa, un gruppo di ricercatori in un articolo del 2007, intitolato Growth, innovation, scaling, and the pace of life in cities, divenuto rapidamente un classico. Il lavoro presentava una vasta raccolta di dati che mostrava come molti indicatori urbani – demografici, sociali, economici – variassero con le dimensioni delle città secondo leggi di scala comuni a nazioni e periodi storici diversi. Lo studio prendeva le mosse da una metafora ricorrente, quella tra le città e gli organismi viventi, chiedendosi se, al di là dell’analogia suggestiva, esistessero connessioni più profonde. Sappiamo che i sistemi biologici manifestano regolarità fisiologiche che trascendono le differenze strutturali: frequenza cardiaca, metabolismo, durata della vita dipendono in buona approssimazione dalla massa corporea. Ad esempio, ogni mammifero è in buona sostanza la versione più grande o più piccola di un mammifero “ideale”, le cui caratteristiche derivano dalla necessità di distribuire risorse in modo efficiente attraverso una rete interna. È naturale allora domandarsi se le città – anch’esse reti complesse costituite da innumerevoli componenti – non siano sottoposte a vincoli simili. Lo studio suggeriva proprio questo. Grandezze urbane come il consumo di energia, l’attività economica, la demografia, le reti infrastrutturali e perfino alcuni schemi di comportamento umano seguivano leggi di scala regolari, dipendenti quasi esclusivamente dalla popolazione. Risultati analoghi sono stati confermati da molti studi successivi. Si può immaginare una scienza delle città? Non nel senso dell’urbanistica – disciplina nobile che ha già una lunga storia – ma nel senso di una scienza in grado di trattare gli insediamenti umani alla stregua di sistemi governati da leggi e regolarità, descritti da precise relazioni matematiche.
di Amadeo Balbi*
*Professore associato di Astrofisica, Cosmologia e Scienza dello spazio - amedeo.balbi@roma2.infn.it
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Le quantità socio-economiche – reddito, brevetti, occupazione in ricerca e sviluppo, ecc. – crescono in modo più che proporzionale: le città più grandi sono, pro capite, più produttive e innovative. Al contrario, infrastrutture come strade, stazioni di servizio, reti idriche e fognarie aumentano meno che proporzionalmente, rendendo le metropoli relativamente più efficienti. I consumi e i bisogni individuali, invece, crescono in modo proporzionale alla popolazione. La spiegazione proposta combina due elementi: da un lato, l’aumento delle interazioni sociali innesca un effetto moltiplicativo che favorisce creatività e ricchezza; dall’altro, i costi delle connessioni fisiche possono essere ottimizzati man mano che la città cresce. Si ottiene così una sorta di “super-organismo sociale” che accelera con la scala, in contrasto con gli organismi biologici che rallentano. Ma a differenza degli organismi, le città non invecchiano: possono crescere indefinitamente, purché innovino. Le città più grandi, però, richiedono innovazioni sempre più
frequenti per evitare la crisi – nel traffico, nell’inquinamento, nei costi energetici, nella criminalità. È una “corsa sul tapis roulant ”: bisogna innovare senza sosta per restare in equilibrio. Queste idee offrono un quadro utile per interpretare il comportamento degli aggregati urbani. Le metropoli generano più reddito e innovazione, ma anche più congestione, più vulnerabilità sanitaria e un maggior impatto ambientale. Inoltre, l’esigenza di un ritmo accelerato di innovazione solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine. Naturalmente esistono limiti e deviazioni: le leggi forniscono aspettative medie, non previsioni precise, e i risultati dipendono anche da come definiamo i confini urbani. Ma in un mondo in cui la maggior parte dell’umanità vive ormai in grandi centri, comprendere le regolarità delle città significa comprendere meglio il nostro futuro, aiutandoci a fare scelte più consapevoli.
Fonti
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Le rubriche
L’Orto Botanico di Tor Vergata: foresta urbana
di Roberto Braglia *
Roma è una delle metropoli più verdi d’Europa, ma il suo equilibrio tra costruito e natura resta fragile. Le grandi città oggi non possono più permettersi di ignorare il ruolo del verde urbano: è un’infrastruttura essenziale, capace di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, migliorare la qualità dell’aria e restituire spazi di benessere alla comunità. In questa visione si inserisce il progetto FOR US – FOResta Urbana per l’Orto Botanico dell’Università di Roma Tor Vergata, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica nell’ambito del Programma sperimentale per la riforestazione urbana e attuato in collaborazione con Città Metropolitana di Roma Capitale.
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*Coordinatore dell’Orto Botanico dell’Università di Roma Tor Vergata - roberto.braglia@uniroma2.it
L’Orto Botanico di Tor Vergata, infatti, ospita già da anni nuclei forestali maturi e collezioni arboree che coprono diverse tipologie di habitat regionali. Il progetto FOR US nasce per ampliare e integrare questi boschi esistenti, rafforzando il loro ruolo come laboratorio ecologico e come infrastruttura verde al servizio della metropoli. L’obiettivo è quello di estendere la superficie forestata con nuovi impianti che fungeranno da rifugio di biodiversità, serbatoio di carbonio e spazio educativo per la cittadinanza. Il progetto prevede la messa a dimora di migliaia di alberi e arbusti autoctoni, che ricostruiscono ambienti tipici del Lazio come i boschi di roverella (Quercus pubescens) , cerro (Quercus cerris) e frainetto (Quercus frainetto) , insieme ad altre specie caratteristiche dei boschi misti e delle siepi mediterranee, come il carpino orientale ( Carpinus orientalis ), l’acero campestre ( Acer campestre ), il sorbo domestico (Sorbus domestica) , il corniolo (Cornus mas) , la fillirea (Phillyrea latifolia) e il biancospino ( Crataegus monogyna ). piantumazioni permetteranno di sequestrare circa 70 tonnellate di CO ₂ all’anno e di rimuovere inquinanti atmosferici come ozono e particolato fine (PM ₂ . ₅ ), contribuendo in modo concreto alla resilienza ecologica del territorio urbano. Queste nuove Tra le immagini che accompagnano l’articolo si possono vedere le diverse fasi del progetto: le prime operazioni di campo, con il posizionamento delle bandierine tramite GPS nei punti in cui verranno messe a dimora le giovani piante, sullo sfondo dei boschi già cresciuti piantati dieci anni fa; le fasi di piantumazione, con i
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ricercatori e il personale dell’Orto Botanico impegnati nella messa a dimora; e le immagini del boschetto realizzato negli anni scorsi, che oggi mostra chiaramente i risultati della forestazione. È inoltre visibile la tavola progettuale che illustra nel dettaglio l’intero piano di riforestazione, con la distribuzione delle diverse tipologie di boschi e habitat ricostruiti all’interno dell’Orto Botanico. In una metropoli che cambia, la foresta urbana è una promessa di futuro: un invito a ripensare il rapporto tra verde e architettura, tra ecosistemi e comunità, tra ricerca e cittadinanza.
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La rivoluzione verde dell’IoT
di Gaetano Marrocco*
L’Internet delle Cose (IoT) sta popolando il nostro ambiente di sensori invisibili: dispositivi integrati nei luoghi di lavoro, nelle abitazioni, nei campi agricoli, nei cibi e perfino nei dispositivi medici. Raccolgono dati su temperatura, umidità, posizione, qualità dell’aria, condizioni biologiche fornendo la materia prima all’Intelligenza Artificiale. Elaborando tali dati, l’AI potrà fornire strumenti di decisione su scala urbana, industriale e sanitaria, rendendo le nostre società più intelligenti e resilienti. Ma questa rivoluzione digitale porta con sé una sfida cruciale: come rendere sostenibile il tessuto fisico dell’intelligenza distribuita? Milioni di sensori, se realizzati con materiali tradizionali – metalli, silicio, plastiche – generano infatti un impatto ambientale significativo. Il loro smaltimento è complesso e, in ambiti medici o alimentari, richiede requisiti di biocompatibilità e non tossicità che i materiali convenzionali spesso non garantiscono. Le tecniche produttive oggi più diffuse – sia additive , come la deposizione di inchiostri conduttivi, sia sottrattive , come l’incisione meccanica o chimica – comportano un elevato consumo di risorse e di scarti. Il riciclo è altrettanto complesso: occorre separare la parte polimerica dai conduttori metallici, un processo spesso
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*Ordinario di Campi Elettromagnetici - gaetano.marrocco@uniroma2.it
costoso e non sostenibile. Questi processi, nati in un’epoca in cui la sostenibilità non era una priorità, risultano oggi incompatibili con la visione di una società digitale rispettosa dell’ambiente. Da qui la spinta verso un’elettronica eco- compatibile, realizzata con materie prime naturali, capaci di dissolversi o reintegrarsi nell’ambiente senza lasciare residui. A questa sfida risponde una tecnologia innovativa: il Laser-Induced Graphene (LIG) che viene perfezionata presso il Wireless Lab dell’Università di Roma Tor Vergata. Il processo consente di trasformare materiali polimerici ricchi di carbonio in conduttori di grafene irradiandoli con un fascio laser. L’energia rompe i legami chimici del materiale di partenza, liberando gli atomi di carbonio che si riorganizzano in una struttura reticolare esagonale.
Parallelamente, la ricerca affronta il tema dei substrati, la base dei circuiti. Vengono sperimentati supporti naturali e biodegradabili come il PLA, stampabile in 3D e dissolvibile in acqua, o film a base di amido ottenuti da scarti di patate o riso. Su questi supporti vengono trasferiti circuiti in grafene con tecniche semplici, realizzando antenne e sensori completamente green. Si può allora immaginare una generazione di dispositivi – imballaggi intelligenti, cerotti wireless biodegradabili, protesi sensorizzate biodissolvibili – che imitano cicli della natura, unendo innovazione, rispetto ambientale e responsabilità sociale.
Il risultato è un circuito conduttivo ottenuto senza solventi o reagenti, conforme ai principi della sostenibilità. Il laser può incidere direttamente diversi materiali – polimeri, carta, legno – offrendo grande libertà di progettazione.
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Un’intelligenza artificiale di cui fidarsi
di Elena Sofia Ruzzetti*
Allora raccontavo quanto fosse difficile per un algoritmo comprendere il ricchissimo e ambiguo linguaggio umano; oggi sembra quasi naturale che possa persino generarlo in modo convincente. Oggi modelli di linguaggio come ChatGPT sono parte della vita quotidiana, e le conversazioni di tre anni fa in cui cercavo di spiegare il mio lavoro sembrano ormai preistoriche. Il problema basilare che i modelli di linguaggio sono addestrati a risolvere è predire quale sia la parola più probabile sulla base delle precedenti, in un processo iterativo. Moderni modelli di linguaggio riescono a predire bene quale sia la risposta corretta. Ma la correttezza di un algoritmo non è mai stato l’unico parametro di giudizio. Per essere davvero utile, un sistema deve anche essere affidabile: ecco perché si parla di Trustworthy AI, cioè un’IA di cui possiamo fidarci. L’UE ne ha definito i principi nel 2019: perché possa essere definito affidabile, un sistema di IA deve rispettare sette pilastri.
Nelle linee guida viene evidenziata la centralità dell’essere umano , che deve sempre poter controllare e
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*Dottoranda in Data Science - elena.sofia.ruzzetti@uniroma2.it
comprendere le decisioni di sistemi di IA. Lo Human-Centric ART Group del prof. Zanzotto, gruppo nel quale porto avanti la mia ricerca nel dipartimento di Ingegneria dell'Impresa "Mario Lucertini", si fonda su questa idea. L’IA deve essere sicura e tecnicamente affidabile . Nell’attività di ricerca insieme al gruppo, ho affrontato più volte il tema della valutazione anche in domini diversi da quelli di addestramento, cercando di quantificare quanto le performance di questi sistemi siano influenzate dall’aderenza dei test ai dati di training e quanto siano robusti anche a test meno scontati. È essenziale la protezione dei dati e il rispetto della privacy : i dati devono essere trattati con cura e trasparenza, e se informazioni sensibili vengono erroneamente incluse nei dati di addestramento, opzioni per la rimozione di queste informazioni dovrebbero essere disponibili. Recentemente abbiamo proposto e presentato una tecnica di rimozione di tali informazioni (Private Memorization Editing).
Nonostante questi sistemi siano spesso completamente opachi, la trasparenza dei processi che portano a una predizione dovrebbe essere favorita. Sviluppando tecniche di interpretabilità cerchiamo di tracciare il processo che ha portato ad una certa predizione, e potenzialmente di alterarla quando errata. I sistemi devono essere equi e non discriminatori : quantificare quanto questi modelli siano stati esposti a stereotipi e pregiudizi è fondamentale per non perpetrarli. Infine, l’IA deve contribuire al benessere sociale e ambientale , e qualora sia necessario dovrebbero essere chiare le responsabilità sugli effetti e sui rischi che comporta. I sistemi di IA dovrebbero, come qualsiasi strumento, essere usati e realizzati con attenzione, rispetto e senso etico perché possano davvero essere utili: la ricerca può proporre soluzioni concrete perché siano davvero degni di fiducia.
Fonti
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è lo scambio culturale Il motore di crescita
di Federica Lorini, Emanuela Liburdi*
Le grandi metropoli non sono solo luoghi dove convivono milioni di persone: sono crocevia di idee, lingue e prospettive.
La loro forza nasce proprio dall’incontro tra differenze che si riconoscono e dialogano. In questo scenario, l’università può rappresentare uno dei laboratori più fertili di scambio culturale, capace di trasformare la diversità in conoscenza condivisa e innovazione. Un microcosmo del futuro urbano, quindi, un luogo dove la diversità non divide, ma genera valore; dove l’identità locale non si dissolve, ma si arricchisce attraverso il confronto. È qui che la metropoli si reinventa come spazio di cooperazione e non di competizione. I dati del QS World University Rankings 2026 confermano che l’Università di Roma Tor Vergata si sta affermando come polo di riferimento internazionale: seconda in Italia per numero di studenti stranieri, con 3.874 iscritti provenienti da 130 Paesi, e ottava a livello nazionale per risultati complessivi. L’ateneo entra così nel primo quarto del ranking mondiale, segno di una crescita costante e di una strategia orientata all’apertura e alla collaborazione globale. Dietro questi numeri ci sono storie, percorsi e visioni che riflettono una città universitaria, la nostra, sempre più metropolitana, capace di accogliere e valorizzare la pluralità. Programmi come Erasmus+, lo
*Ufficio Comunicazione di Ateneo - federica.lorini@uniroma2.it, emanuela.liburdi@uniroma2.it
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Student Ambassador Program o il Buddy Programme favoriscono l’incontro quotidiano tra culture e stili di vita diversi, creando una comunità universitaria più ricca, consapevole e multietnica. La presenza di studenti e studentesse, ricercatori e ricercatrici internazionali, docenti e studiosi/studiose non solo alimenta il dialogo culturale, ma contribuisce anche alla reputazione globale dell’ateneo: porta nuove competenze, stimola innovazione, rafforza le connessioni con il territorio. Allo stesso tempo, mette alla prova la capacità di accoglienza dell’istituzione e della comunità locale. Diventare un’università interculturale significa quindi saper trasformare la mobilità in opportunità reciproca, passando da un’idea di ospitalità a una di coabitazione nella conoscenza. Ogni studente che arriva a Tor Vergata porta con sé una storia, una lingua, un sogno diverso. E proprio da questi incontri nasce il valore autentico di una metropoli universitaria: un luogo dove le differenze diventano ponti non muri.
Chi sceglie il nostro ateneo sceglie di far parte di una comunità internazionale che crede nel sapere come strumento di dialogo e innovazione. Qui si cresce non solo come professionisti/e, ma come cittadini/e del mondo, capaci di muoversi con curiosità, rispetto e competenza in una società globale. I successi nei ranking internazionali non sono, quindi, solo numeri: sono il riflesso di un ateneo che guarda lontano, che investe nei giovani e che costruisce ogni giorno un ambiente inclusivo, dinamico e stimolante nella profonda convinzione che una metropoli che accoglie nasca anche da un’università che ispira, forma e unisce.
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#Go-Create: EAIE 2025 Tor Vergata at
di Francesca Grandi *
Tor Vergata University of Rome joined the 35th Annual EAIE Conference and Exhibition in Gothenburg in September 2025.
The event brought together thousands of higher education professionals from around the world to discuss international cooperation and explore new opportunities for collaboration. Tor Vergata’s participation highlighted its commitment to global engagement and its role within European alliances.
From 9 to 12 September, Gothenburg hosted the EAIE Conference, organized by the European Association for International Education and supported by the European Commission. More than 7,000 participants from over 100
*Dir. II – Divisione “Ricerca internazionale” - francesca.grandi@uniroma2.it
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countries visited more than 1,000 booths hosted by universities and academic organizations. Among them was also Tor Vergata, which showcased its initiatives within the “Study in Italy” pavilion, organized by INDIRE in collaboration with Uni-Italia. The University was represented by its International Area, specifically the Erasmus+ Office, which shared experiences and best practices with international institutions and established new partnerships. Italian university representatives also met with Lorenzo Solinas, Deputy Ambassador of Italy in Stockholm, to discuss higher education collaboration between Italy and Sweden. Tor Vergata participated at the event also as a member of the European alliance UNIVERSEH, one of the 35 alliances at the conference. UNIVERSEH is the only European University dedicated to Space Education that aims to create the European Space University. The project involves all major areas of the participating universities, allowing students from the seven-member institutions across Europe to benefit from a geographically distributed educational offer. It demonstrates how European cooperation drives innovation, creates growth opportunities for students, and enhances institutional competitiveness. Launched in 2019, the EU’s European Universities Initiative now brings together 65 alliances and over 570 institutions to promote innovation, mobility, and inclusiveness in higher education. Tor Vergata has been part of the UNIVERSEH Alliance since 2023.
address present and future challenges, with student mobility at the core of these alliances. Professor Bianca Sulpasso, Delegate for Internationalization at Tor Vergata University, emphasized: Our participation at EAIE was an invaluable opportunity to showcase Tor Vergata’s commitment to international cooperation while reinforcing our role within UNIVERSEH. This framework enables us to develop innovative projects that benefit our students and academic community. Together, we are building a more inclusive, interconnected, and competitive European Higher Education Area.
The conference theme, #GO-Create, invited participants to shape new forms of cooperation, build networks, and
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UNLOCK YOUR
CREATIVITY Contest Fotografico
Lascia il segno contribuisci* con le tue creazioni alla
REALIZZAZIONE DELLA COPERTINA della newsletter del tuo ateneo
*entro il 8 gennaio 2026
ATTRAZIONE è il focus tematico del prossimo numero. Se desideri contribuire con una foto o un approfondimento dedicato al tema, invia la tua proposta (titolo e abstract di massimo 150 parole) a uninews@uniroma2.it entro il 8 gennaio 2026 . La tua partecipazione è importante per noi!
"Il legame più forte non è fatto di carne e ossa, ma di pensieri condivisi, di risate non dette e di silenzi che non hanno bisogno di essere interrotti.”
Virginia Woolf
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