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fondamentale” (Balint, 1968), “disturbi precoci della personalità”, “debolezza strutturale dell’Io” (Furstenau, 1977). L’ipotesi del deficit si basa sul presupposto di traumi gravi ed incisivi che avvengono nella prima infanzia, a volte non chiaramente percepibili, e spesso causati da un deficit di risonanza, contenimento e holding da parte dell’adulto di riferimento; i sostenitori di questa ipotesi ritengono che dopo l’esordio psicotico il trauma assuma la funzione di un deficit. In questa prospettiva teorica i pazienti sono visti come influenzabili dagli eventi e vittime delle circostanze esterne, non avendo sufficienti capacità per farvi fronte. Di conseguenza, la terapia mira prevalentemente ad una funzione di supplenza e di effetto psicoeducativo. In contrasto con questa concettualizzazione di conflitto evolutivo , altri posizioni teoriche ritengono che perfino i processi psicotici siano determinati da conflitti intra-psichici. Profondissime contraddizioni interne, che vanno bel oltre al conflitto nevrotico propriamente detto, si instaurano fra due istanze incompatibili portando a scissioni, alla perdita della capacità di simbolizzare, ed all’azione concreta; non viene tralasciata l’influenza dei traumi precoci (Kapfhammer, 2012a, 2012b). Il modello teorico del conflitto non vede il trauma in quanto tale come causa della psicosi, ma considera il funzionamento psicotico il punto di arrivo di un processo in cui l’apparato mentale, utilizzando massicciamente la scissione psichica subito dopo un evento traumatico, cerca di trovare soluzione alle incompatibilità interne che minacciano l’esistenza. Si suppone quindi che la capacità del paziente di modulare la progressione dei sintomi verrà rafforzata dal trattamento analitico e dal conseguente instaurarsi di una lingua e di una realtà condivisibili, che sapranno favorire la simbolizzazione e l’integrazione del non pensabile. La psicoanalisi è nata come teoria del conflitto, inteso come una componente costante ed universale della natura umana, una specie di carburante per lo sviluppo della psiche. Considerato il fulcro di una disciplina che mirava a svelare e risolvere i conflitti inconsci, questo concetto nucleare finì per essere dato talmente per scontato da divenire un implicito della visione psicoanalitica, fino al punto di non richiedere più una indagine specifica. Con l’approfondirsi della ricerca sul mondo interno ed il conseguente svilupparsi di nuove vie per la comprensione della dimensione inconscia della mente l’importanza del conflitto nel pensiero psicodinamico è diminuita. Malgrado esso sia ancora considerato il concetto portante della psicoanalisi, l’attenzione si è rivolta verso altri campi di indagine che tengono conto di nuovi modelli teorici e clinici. Dopo il grande cambiamento nella concezione del ruolo del conflitto alla metà del XX secolo - conseguente alla comparsa del concetto di Hartmann di “ funzioni dell’Io libere da conflitti ” (Hartmann, 1939) - l’attenzione della teoria e della tecnica psicoanalitica si rivolse a nuovi territori al di là del modello del conflitto. Il conflitto assunse un ruolo secondario nella comprensione della psicopatologia e nella valutazione della sua utilità terapeutica; ciò avvenne soprattutto a causa del crescente interesse per i livelli pre- conflittuali dello sviluppo e per il peso attribuito alla relazione nel produrre un cambiamento terapeutico. Tuttavia, la diminuzione dell’interesse per il conflitto non riguarda in egual misura tutte le scuole psicoanalitiche. Supponendo in via semplificata e schematica che tutti i modelli
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