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quando si dimostra insufficiente la prima linea costituita dall’esplorazione diretta del transfert…” (pp. 265-266; corsivi aggiunti; citazione tradotta per questa edizione N.d.T.). Complessivamente, i punti di vista di Kernberg (1965, 1975) sul controtransfert si sono gradualmente evoluti, in direzione del riconoscimento di una sua importanza vitale, specialmente nel lavoro coi pazienti borderline. Mentre nel 1965 egli metteva in guardia contro il pericolo di un allargamento del concetto di “controtransfert” che arrivasse ad includere tutte le risposte emozionali nell’analista (in tal modo rischiando che il concetto perdesse ogni specifico significato), nel 1975 egli ha riconosciuto ed evidenziato il carattere costruttivo del lavoro analitico di interpretazione del controtransfert. Specialmente nel lavoro coi pazienti borderline l’analista deve affrontare e gestire (a volte) proprie forti reazioni interne alle proiezioni di relazioni oggettuali altamente primitive da parte del paziente . Nella sua recente Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP), egli tratteggia il paradigma di una esplicita focalizzazione sulle risposte transferali del paziente borderline, al tempo stesso monitorando internamente in modo attento il controtransfert dell’analista. In questo modello, l’analista interpreta dalla posizione del ‘terzo’ , commentando tramite interpretazioni l’interazione di entrambi i partecipanti al dialogo (Kernberg, 2015). Figura feconda a cavallo tra le teorie delle Relazioni Oggettuali e quelle Relazionali, Mitchell (1993, 1997) trasmette il deciso convincimento che gli affetti controtransferali sono motori per il movimento psichico . Le sue vignette cliniche spesso colgono la coppia analitica in momenti di totale disperazione. Mitchell sostiene che, senza quella esperienza di disperazione, l’analista non sarebbe spinto a compiere il lavoro necessario per comprendere il processo attraverso il quale avvengono tali impasse. Nella sua teorizzazione, l’autorità è riconosciuta ad entrambi i membri della coppia analitica. La situazione attuale all’interno della tradizione classica ampiamente condivisa è costituita da un dibattito in corso dentro e tra i vari orientamenti riguardo allo status, alla funzione ed ai limiti dell’analisi del controtransfert (Gabbard, 1982, 1994, 1995). L’originale lavoro teorico di Jacobs (1993) sugli usi del controtransfert dell’analista attinge dalle teorie delle relazioni oggettuali, dei freudiani contemporanei (Sandler, 1976) e della psicologia del Sé. Con Jacobs, il controtransfert emerge nelle più floride e molteplici forme , a suo modo ricco e problematico come il transfert. Nel suo lavoro tutta la strumentazione analitica, l’uso creativo del corpo, della mente, della fantasia e del vissuto interpersonale è di importanza cruciale per il lavoro analitico. Ora il controtransfert non è inteso come un problema bensì come parte di una soluzione, una valvola di regolazione necessaria per il lavoro analitico. Inserito tra le ipotesi di Jacobs sull’ uso della soggettività analitica , vi è l’assunto delle comunicazioni implicite e pervasive – a livello metacomunicativo, consce, preconsce e inconsce – che costituiscono una rete di sottofondo delle esperienze di tutte le coppie analitiche. Il fatto che la costruzione del significato sia così molteplicemente co-costruita richiede inevitabilmente che l’analista comprenda ed esplori molto profondamente la propria parte in queste complesse comunicazioni. Per Jacobs (1991, 1999, 2001) e Smith (1999, 2000, 2003), e per gli analisti più orientati verso la teoria delle relazioni oggettuali come Ogden (1994, 1995) e Gabbard (1994), nonostante le differenze tra di loro, la soggettività dell’analista risulta cruciale per l’auto-analisi che in definitiva fa procedere il lavoro analitico. In questa linea di pensiero,
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