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paziente farà in modo che l’analista commetta un errore, com’è necessario che avvenga nell’area dell’onnipotenza infantile normale, e cioè nel transfert. In ogni caso Jacobs non fu il primo. Hans Loewald aveva già usato precedentemente il termine in “ Psychoanalysis as an Art and the Fantasy Character of the Psychonalytic Situation” (1975). Egli scriveva che “..[.il] processo in cui paziente ed analista sono reciprocamente coinvolti ...implica una riattualizzazione ( “re-enactment”), una drammatizzazione di aspetti della storia della vita psichica del paziente, creata e messa in scena insieme con l’analista e sotto la sua direzione “. (p. 278-9 citazione tradotta per questa edizione N.d.T.). Paziente ed analista creano insieme un’illusione all’interno della nevrosi di transfert. Il paziente prende l’iniziativa di questa ricreazione della fantasia, come se si trattasse di un’opera teatrale. Il ruolo dell’analista si svolge su più piani. Lui, o lei, è sia il regista che l’interprete di vari personaggi nella vita del paziente. Paziente ed analista sono co-autori di questo drammatizzazione, che viene sperimentata allo stesso tempo come fantasia e come realtà. Anziché semplicemente assumere questi ruoli l’analista li rispecchia, finchè il paziente riesce ad avere accesso alla propria vita interiore e gradualmente ad assumere su di sè la responsabilità della regia e della sceneggiatura. Il concetto aristotelico di “imitazione dell’ azione sotto forma di azione” corrisponderebbe, in termini psicoanalitici, tanto alla riattualizzazione (“re- enactment”) quanto alla ripetizione. Analogamente Schafer (1982), all’epoca collega di Loewald, credeva che le multiple narrative del sè o “storylines” potevano essere considerate come differenti versioni della storia dell’analizzando messa in scena con un analista ( ad esempio come drammi di imprigionamento, di rinascita o di rivalità edipica). Sandler (1976) focalizzò l’attenzione sull’induzione reciproca tra i membri di una diade e sulle risposte spontanee dell’analista alle stimolazioni inconsce del paziente, che egli definì responsività di ruolo. Gradualmente l’uso del concetto di enactment andò ampliandosi ed i dibattiti su questo tema divennero più frequenti nella letteratura psicoanalitica (McLaughlin, 1991; Chused, 1991; Roughton, 1993; McLaughlin & Johan,1992; Ellman & Moskovitz, 1998; Panel, 1999). Per alcuni enactment semplicemente sostituì il termine acting out, sebbene vada ricordato che acting out è l’equivalente inglese della parola tedesca Agieren. In tedesco “er agiere es” corrisponde all’inglese “but acts it out” ( bensì lo traduce in azioni ) :... l’analizzato non ricorda assolutamente nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso, egli piuttosto li mette in atto”. Freud, 1914. p. 355). In alcune culture psicoanalitiche il termine acting out iniziò a definire azioni, più o meno occasionali ed impulsive, che irrompevano bruscamente nel flusso delle libere associazioni, restringendo in questo modo il significato dell’ Agieren. Al tempo stesso il termine iniziò ad essere utilizzato per etichettare certi comportamenti di personalità impulsive e psicopatiche. Le connotazioni moralistiche dell’ acting out contaminarono il linguaggio dei professionisti della salute mentale e del diritto. La sostituzione della parola acting out con quella di enactment
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