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intenzioni coscienti a causa di motivazioni inconsce ed egli, quando si osserva più attentamente, non si sente a posto...’(Chused, 2003, p. 678 citazione tradotta per questa edizione N.d.T) Nel 1995 Judith Mitrani coniò il termine ‘esperienza non mentalizzata’, riferendosi a situazioni della prima infanzia che successivamente trovano espressione in analisi attraverso il processo dell’enactment. A quel punto possono essere interpretate nel transfert e dare una forma significativa alle nostre costruzioni immaginative. Successivamente (Mitrani, 2001), ella arrivò alla conclusione che la parola ‘esperienza’era inappropriata in questo contesto, dal momento che ci dev’essere una consapevolezza psichica e quindi qualche forma di mentalizzazione per poter sperimentare qualcosa. Ella quindi ha sottolineato la distinzione tra qualcosa che è successo ad un individuo, rispetto a qualcosa che egli ha sofferto , e che successivamente è entrato nel dominio della coscienza con l’aiuto di un oggetto contenitore; in altri termini una ‘cosa’che ha raggiunto un certo grado di significazione nella mente. In questo Mitrani si rifà a Federn (1952), Bion (1962) e Winnicott (1974). Federn (1952) operò un’importante distinzione tra soffrire un dolore e sentire un dolore. Per lui soffrire è un processo attivo dell’Io, nel quale l’evento che provoca dolore - ad esempio la frustrazione o la perdita dell’oggetto - viene accettato e riconosciuto in tutta la sua intensità. In questo modo subisce una trasformazione e lo stesso accade all’Io. Nel sentire un dolore, al contrario, l’evento che induce il dolore non può essere tollerato né elaborato dall’Io. Il dolore non viene contenuto ma tocca soltanto i confini dell’Io e ne viene respinto. Ogni volta che si ripresenta, il sentimento doloroso colpisce l’Io con la stessa intensità e lo stesso effetto traumatico. La distinzione tra “avvenimenti” ed “esperienze” era già stata affrontata in precedenza da Winnicott (1974) in “The Fear of Breakdown” (“La paura del crollo”) - un crollo avvenuto nella prima infanzia ma che non era stato sperimentato. Una rilevanza, seppur indiretta, può rivestire qui anche laTeoria del Pensiero di Bion (Bion, 1962) secondo cui nel periodo dell’infanzia, quando psiche e soma sono ancora tra loro indistinguibili, le impressioni sensoriali grezze/elementi beta vengono registrate nel corpo ed affrontate a livello corporeo fino a che, con l’aiuto dell’azione contenitiva della funzione alfa materna, diviene possibile una loro rappresentazione psichica. A giudizio di Mitrani un simile ‘ avvenimento non mentalizzato’, di un dolore sentito ma non sofferto, registrato ad un livello sensoriale o corporeo, cui non è ancora stato assegnato alcun significato simbolico, potrebbe essere all’origine di molti enactment in analisi. Quando l’analista fa un buon uso degli enactment il corpo acquista una seconda possibilità di venire rappresentato simbolicamente, dal momento che entra in relazioni di senso con altre rappresentazioni psichiche. La prospettiva neurobiologica sul ruolo del corpo nell’enactment attraverso le memorie somatiche è stata studiata e revisionata, tra gli altri, da Van der Kolk e Van der Hart (1991). La loro discussione spazia dalle prime posizioni neurobiologiche tra loro correlate di Janet e Freud, fino alle ipotesi attuali di codificazione somatica delle memorie traumatiche nel cervello. Per la Scuola Relazionale l’enactment è un concetto centrale nella teoria della mente e nella comprensione dell’azione terapeutica nell’analisi clinica. I teorici relazionali sono attivi negli USA dagli anni ’80. Uno di loro, Anthony Bass, descrive così il loro approccio:
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