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La concezione di campo dinamico è emersa anche come risposta alle preoccupazioni metodologiche ed epistemologiche dei Baranger riguardo ai problemi di indagine clinica e di validazione della psicoanalisi. In un suo precedente lavoro, Métodos de objetivación en la psicoanalitica [Metodi per raggiungere l'obiettività nell'indagine psicoanalitica], Willy Baranger (1959) aveva passato in rassegna, tra gli altri, i contributi di Glover (1952), Escalona (1952), Bellak e Brewster Smith (1956). Egli proponeva di abbandonare i metodi quantitativi, a suo avviso meccanicistici, propri delle scienze naturali. Al contrario, considerava la psicoanalisi una ‘scienza del dialogo’ nella cornice di una ‘psicologia bi-personale’, ritenendo che essa poteva trovare i propri principi di oggettività e di validazione. Così scriveva: "La psicoanalisi deve, sulla base della sua pratica clinica, scoprire i propri principi di obiettività e accettare il suo ruolo di scienza - per molti versi privilegiata - dell'umanità. Deve accettare il suo carattere di scienza del dialogo - cioè di psicologia bi-personale - il suo carattere di scienza interpretativa... con leggi e tecniche di validazione sostanzialmente originali e diverse da quelle che governano le scienze naturali. Il primo compito dell'indagine epistemologica è quello di formulare le condizioni che assicurino la validità delle nostre interpretazioni" (Baranger W. 1959, p. 27; citazione tradotta per questa edizione, N.d.T.). Tuttavia, precisando che la sua non è una posizione soggettivistica o interpretativa e considerando lo scopo dell'analista quello di creare un'interpretazione, Baranger scrive: "L'esame sistematico di ciò che avviene nella situazione analitica bi-personale è l'unico mezzo per accedere a un ideale di validazione della conoscenza che sia veramente pertinente alla psicoanalisi. Questo ideale, così come lo intendiamo ora, è stato raggiunto - anche se non formulato - in vari articoli degli ultimi anni che forniscono una descrizione molto esaustiva della situazione analitica con le interpretazioni e le modificazioni che si verificano in ‘insiemi temporali’ limitati" (Baranger W, 1959, p. 29; citazione tradotta per questa edizione, N.d.T.). Secondo de Leon de Bernardi (2008), questa prospettiva si basa sulla cornice concettuale della fenomenologia della percezione di Merleau Ponty (1945/2005) e sulla nozione di Heinrich Racker dell'analista come osservatore partecipe. Entrambe descrivono l'interrelazione dialettica tra soggetto e oggetto, enfatizzando le funzioni dell'osservazione e della percezione e le prospettive sulla realtà esterna. Racker ha sottolineato la necessità che l'analista sia capace di auto-osservazione in merito ai diversi aspetti della sua partecipazione. Secondo Willy Baranger (1961-1962), le idee di Racker hanno portato a un ampliamento della capacità percettiva e riflessiva dell'analista rispetto alla situazione interpersonale dell'analisi. Rispetto al lavoro di Racker sulla comprensione del controtransfert, Willy Baranger sottolinea che l'Io dell'analista deve porsi ‘attraverso un processo di relativa divisione, come un osservatore della situazione interpersonale’ (Baranger W, 1961-62, p. 168). Di conseguenza, “poiché l'osservazione da parte dell'analista è allo stesso tempo osservazione del paziente e correlativa auto- osservazione, può solo essere definita come osservazione di questo campo" (Baranger M e Baranger W, 1961-62/2008, p.796; citazione tradotta per questa edizione, N.d.T.). In seguito, i Baranger svilupparono la nozione di ‘bastione’ e proposero che l'analista dovesse rivolgere un ‘secondo sguardo’ sul campo analitico, soprattutto per quanto riguarda gli ostacoli al processo che coinvolgono entrambi i partecipanti: “Questo ci ha portato a proporre l'introduzione di diversi termini: 'campo', 'bastione', 'secondo sguardo'. Quando il processo inciampa o si arresta, l'analista può solo interrogarsi sull'ostacolo, avvolgendo in un secondo sguardo, in una visione totale, se stesso e il suo analizzando, Edipo e la Sfinge: questo è il campo" (Baranger M., Baranger W. e Mom, 1979, p. 1; citazione tradotta per questa edizione, N.d.T.).
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